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Le vecchie osterie di Milano

C'erano una volta, per la verità se cerchi attentamente e con pazienza ne puoi trovare qualcuna anche oggi, le vecchie osterie. Quelle osterie, per intenderci, che si vedono illustrate sulle pagine di vecchi libri, in alcune cartolina in bianco e nero o in qualche ormai ingiallita fotografia.vecchia osteria milano

Oggi ci sono i più moderni bar, i ristoranti, ma non è la stessa cosa: cambiano i profumi, gli odori, i modi; le vecchie osterie degli anni 50-60-70 erano un’altra cosa. Innanzi tutto erano più modeste, più accoglienti, a volte senza troppe pretese, non come certi bar di oggi, super moderni, super accessoriati che paiono imitazioni di sale infermieristiche, asettiche.

Allora a trionfare era il caldo, robusto legno, quasi impregnato dagli umori degli avventori. Se arrivavi a una certa ora, vicino al mezzogiorno, ti giungeva, dalla cucina, un invitante profumo di sugo o di trippa, quella che i milanesi chiamano “busecca”, che ti metteva appetito, anche se ne avevi poco.
Se invece ci capitavi nel tardo pomeriggio, magari dopo una salutare pedalata lungo quelle stradette sterrate che costeggiano il Naviglio Pavese, o seguendo una stradicciola di campagna che si apriva tra le risaie, ti potevi gustare un piatto di rane nostrane o una frittura di pesciolini appena pescati nelle acque dei Navigli di Milano o in qualche fosso nei pressi. Ai tavoli, rigorosamente di legno e a volte coperti da una tovaglia a quadretti rossi-bianchi o verdi-bianchi, si sentivano, ancor prima di vederli, i giocatori di carte, con le loro imprecazioni e i loro calici di nero vicino e mai vuoti.

Ogni tanto capitava di imbattersi anche in qualche giocatore di “morra”, benché questo tipo di gioco fosse vietato dalla Legge. Spesso, confuso con gli odori della cucina e della mescita, vi era anche quello di sigaro che qualche avventore consumava tra una chiacchiera e l’altra.

Un personaggio capace di accendere l’allegria era il suonatore di fisarmonica o dell’organino che, quando capitava, non si sottraeva a dare sfoggio della propria abilità, subito seguito da cantanti improvvisati. Sull'imbrunire ecco un altro personaggio attirare l’attenzione, era quello battezzato “grass de rost”, il piantagrane di turno per intenderci, divenuto tale per aver alzato un po’ troppo il gomito.
I bambini si perdevano nei loro giochi e nei loro schiamazzi, bevendo spuma, nera o bionda, o gazzosa, chiamata dal popolino: “lo champagne de la baleta”. La “baleta” era la biglia di vetro che stava all'interno della bottiglietta. Le signore chiacchieravano fra loro del più e del meno, non perdendo mai d’occhio i propri pargoli. Qualche osteria offriva anche la possibilità del “gioeugh di bòcc”; un bel gioco questo, oggi purtroppo un po’ fuori moda. Ma di questo ne parleremo un’altra volta.

Il Barbapedana

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