Il Calamaio, la scuola negli anni cinquanta
Il calamaio, chi se lo ricorda? Sicuramente chi ha fatto la prima elementare negli anni 54/55, quando sul banco di scuola era posato il calamaio, e tu avevi nella cartella la cannuccia con una serie di pennini e la carta assorbente che dovevi, quando scrivevi, sistemare sul quaderno per evitare di macchiarlo e subire la ramanzina del maestro e dei genitori a casa.
Il nome calamaio deriva dal greco antico “calamos”, calamo, che era l’asticella appuntita di una penna d’uccello, d’oca preferibilmente, che si attingeva nell’inchiostro. Nel nostro dialetto meneghino, calamaio si dice “carima”, mentre il porta calamaio è il “carimarera”, se invece dico “carimarada”, voglio indicare un calamaio pieno d’inchiostro.
L’inchiostro, sempre nel dialetto milanese è detto “incioster o incoster, che poteva essere nègher, ross, bleu, violètt o de chinna. Se ti cadeva la macchiolina sul foglio, “l’era la maggia de incoster”.
Spesso un coperchio copriva il calamaio, questo per evitare evaporazione o la fuoriuscita, magari accidentale, dell’inchiostro.
Quest’ultimo era un liquido, di solito nero, ottenuto da pigmenti come il nerofumo, che è il nero di carbonio, da vari minerali o da bacche vegetali.
La sua storia risale agli Egizi, i quali praticavano in una tavoletta di legno, due vaschette, una contenente il colore nero e l’altra il rosso, in una ciotolina a parte vi era dell’acqua per stemperare i colori. I Romani, che prima dell’inchiostro usavano tavolette di cera che venivano incise, invece usavano dei vasetti, in parte impreziositi e di materiale diverso, in cui mettere l’inchiostro, nero e rosso.
Nel Medio Evo i calamai divennero più raffinati e preziosi, costruiti in materiale e forme diverse, come terracotta, marmo, piombo, bronzo o in oro decorato con gemme, muniti di coperchio. Spesso figure come impiegati, segretari, scrivani, si portavano il calamaio appeso alla cintura, potendolo così utilizzare alla bisogna. Ne abbiamo una descrizione nella sacra Scrittura in Ezechiele 9,3. Il Rinascimento impreziosì ulteriormente questi oggetti, dandogli anche forme nuove, a volte fantastiche, divenendo vere e proprie opere d’arte.
Vi erano anche calamai da viaggio, opportunamente provvisti di chiusura ermetica. Anche l’oriente annovera l’uso di quest’utile oggetto, ovviamente decorato con lo stile dell’epoca e della loro cultura. La storia del calamaio cambiò con l’inizio del XIX secolo, negli Stati Uniti, infatti, nacque l’idea di provare a mettere l’inchiostro in una penna anziché intingere questa nell’inchiostro, e fu così che si arrivò alla stilografica. E per il calamaio fu il declino.
Parlare di calamaio senza accennare al pennino è impossibile.
Quanti pennini! Mi ricordo i primi giorni di scuola, imparare a scrivere con un pennino intinto nell’inchiostro, era un’impresa, tra macchie e punte che si spuntavano dividendosi in due. Se poi considero che sono un mancino e dovevo per forza scrivere con la mano destra, la “tragedia” era completa. Eppure esistono anche pennini per chi è mancino, ma si vede che allora…
Un pennino è essenzialmente una lamina di metallo appuntito, con la parte posteriore a sezione circolare. Di pennini ne esistono di conformazione diversa, a punta larga, per scritture formali, a punta flessibile, adatti per il corsivo inglese, a punta tonda, usato nella calligrafia commerciale.
Oggi, ovviamente, non si usa più, tuttavia ritengo che il suo fascino rimanga intatto, e scrivere attingendo al calamaio è ancora un atto che provoca un sottile piacere.