La Civetta nella Simbologia
La Civetta, uccello notturno legato a superstizioni e racconti funerei, ma è davvero così? Proviamo a percorrere un excursus nelle varie tradizioni e a conoscere meglio il simbolismo ad essa legato.
Un primo riferimento è legato all’antico popolo ateniese, il quale nella civetta vedeva la dea Atena. Quest'ultima era detta “glaukõpis”, da glaùks, civetta, e “opé”, sguardo; ossia “dallo sguardo da civetta”: uno sguardo aperto e profondo che vede nella notte. Atena, sappiamo, è la personificazione della sapienza, della scienza e della prudenza, personificazione che fu attribuita alla civetta. Infatti, questa vede nel buio della notte ciò che agli altri uccelli sfugge, mentre di giorno, per il timore di essere braccata, si nasconde alla vista. In Minerva, la dea Atena dei Romani, la civetta era posta al tiro di un carro, e questo per la loro capacità di vedere anche al buio e quindi poter procedere nel cammino. Si sono trovate anche monete su cui vi era incisa una civetta. Sono state rinvenute, inoltre, immagini religiose in cui la civetta assumeva un ruolo significativo, immagini che vanno dalla Russia fino all’Asia Minore e sino al popolo Lappone.
Tuttavia, vi è anche un aspetto simbolico negativo della civetta, identificata nella notte, nell’oscurità, nelle tenebre e come annunciatrice di una morte. Al proposito, si racconta che Pirro, re dell’Epiro, mentre era a cavallo, lancia in resta, una civetta andò a posarsi proprio sulla punta della sua lancia, determinando la sua ingloriosa morte. Purtroppo, nell’antichità si era usi crocifiggere le civette e altri uccelli notturni, come il pipistrello e il gufo, per proteggere case e poderi; sicuramente una barbarie inutile legata alla superstizione e all’ignoranza.
Un’altra storia in vigore nell’antico tempo era la convinzione che un navigante o un viandante che avesse scorto una civetta, un barbagianni, un gufo o allocco, sicuramente avrebbe incontrato serie difficoltà. Vi era anche la convinzione che gli animali che vivono di notte mentre di giorno non fanno nulla, corrispondano a ladri o adulteri. Il profeta Isaia, nell’Antico Testamento, paragona la civetta e simili notturni, all’emblema della desolazione, tanto da scrivere: “l’occuperanno il pellicano e la civetta; vi abiteranno il gufo e il corvo”. Anche il Medioevo cristiano annovera la civetta in una precisa simbologia, evocando la notte, le tenebre, la morte, ma anche la pigrizia – poiché il pigro di giorno dorme come la civetta -, oppure l’avarizia, in quanto l’avaro non dorme neppure di notte per paura dei ladri, o ancora l’ignoranza in quanto l’ignorante preferisce il buio della non conoscenza. Dunque, la civetta come simbolo che annuncia la morte, convinzione non ancora scemata neppure ai giorni nostri.
Questa convinzione la si riscontra anche in una poesia del Pascoli che riporto. Dice così:
Morte, che passi per il cielo profondo,
passi con ali molli come fiato,
con gli occhi aperti sopra il triste mondo addormentato.
Morte, lo squillo acuto del tuo riso
unico muove l’ombra che ci occulta
silenziosa, e, desta all’improvviso
squillo, sussulta;
e quando taci e par che tutto dorma
nel cipresso, trema ancora il nido
d’ogni vivente: ancor, nell’aria,
l’ombra c’è del tuo grido.
La civetta fu anche considerata come simbolo del peccatore, di chi vive nelle tenebre dello spirito, così come di streghe, fattucchiere, maghi e diavoli.
La cristianità, però, annovera la civetta anche in un simbolismo positivo, attingendo alla vita del Cristo che illuminava le tenebre con la Sua luce. Appare considerata come emblema della sapienza divina, del Verbo che è stato inchiodato alla Croce e ha sofferto nella notte per ritornare trionfatore su di essa, la Morte, e salvare l’umanità. Nei monasteri è divenuta simbolo della meditazione. Per questo motivo, tanti ex libris hanno per tema una civetta o un gufo appollaiati sui libri.
Come io sono solito dire, quando si osserva una immagine in un dipinto o in una scultura, che è doveroso valutare il contesto in cui l’immagine è rappresentata; così, ad esempio, se in un chiostro o all’esterno di una chiesa si osserva una civetta piegata verso un libro o una pergamena, essa vuole rappresentare il monaco che medita o studia, se invece la civetta porta sulla testa o sul petto una croce vuole simboleggiare il Salvatore.
Termino, anche se vi sarebbe ancora parecchio da scrivere, con alcuni detti e proverbi sulla civetta.
Un detto che risale ai Greci recita: “portare civette ad Atene”, significando l’inutilità del gesto nel dare ad altri quanto già hanno in abbondanza. Si dice anche di una donna vanitosa e leggera, che manca di riservatezza e si esibisce per farsi vagheggiare dagli uomini, questo perché si pensava che la civetta attirasse la preda usando questo stratagemma. Nella prima guerra mondiale vi era poi la “nave civetta” che attirava in trappola navi nemiche. Altra “civetta” è l’auto della Polizia adoperata per attirare il malfattore in un tranello. Nel giornalismo si dice “civetta” il foglio che contiene stampati i titoli degli articoli più importanti, ed esposto per attirare i lettori. Un proverbio afferma: anche le civette impaniano, ossia anche i più furbi possono essere raggirati. Si dice anche rimanere impaniato, che è di persona che, cedendo a lusinghe, si mette in una situazione da cui non riesce più a uscire. Un altro modo di dire è: avere un naso a civetta, per indicare chi possiede un naso storto. Voglio terminare con questa breve, presa da un poema di Filippo Penanti che dice:
La civetta con tutti amabilissima,
sa le creanze, sa le convenienze,
e sembra dire ognor: Serva umilissima,
con belle e graziose riverenze.
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