Battaglia di Melegnano 8 giugno 1859
LA BATTAGLIA DI MELEGNANO DELL’8 GIUGNO 1859 E LA SECONDA GUERRA D’INDIPENDENZA.
Si è molto parlato, in occasione del centenario dell’inaugurazione del Monumento Ossario, della Battaglia di Melegnano combattuta l’8 giugno 1859 tra le truppe francesi dell’Imperatore Napoleone III (1808-1873), alleati con i piemontesi di Re Vittorio Emanuele II (1820-1878), e quelle austriache dell’Imperatore Francesco Giuseppe (1830-1916).
Essa riveste, nel quadro della seconda guerra d’Indipendenza un’importanza marginale, ma questo non vuol dire che, per quanto riguarda Melegnano, essa non rappresenti un contributo alla storia del nostro Risorgimento. Ma come si è arrivati al fatidico 8 giugno? Come e perché scoppiò la 2° Guerra d’Indipendenza?
Bisogna fare un passo indietro e precisamente alla fine della Guerra di Crimea, nel 1856, combattuta contro la Russia dello Zar Nicola I (1796-1855), alla quale aveva partecipato anche un contingente di 18000 uomini dell’esercito piemontese al comando dei fratelli Alfonso e Alessandro Ferrero della Marmora (l’uno ministro della guerra, l’altro fondatore, nel 1836, del Corpo dei bersaglieri), i quali avevano avuto modo di distinguersi sul campo nella Battaglia della Cernaia, il 16 agosto 1855.
La volontà di Camillo Benso conte di Cavour, Primo ministro piemontese (1810-1861) era manifesta: con il partecipare alla guerra di Crimea egli intendeva far parte del novero delle grandi potenze vincitrici, Francia ed Inghilterra; aumentare il prestigio del Regno di Sardegna come Stato costituzionale, in contrapposizione “all’ottuso e tirannico” Impero austriaco e portare alla conoscenza della Conferenza di Pace che si sarebbe inaugurata, il 30 marzo 1856, a Parigi il “Problema italiano”, proponendo come soluzione la “liberazione” degli Stati italiani dall’Austria.
La Conferenza di Parigi del 1856 servì se non altro a porre le basi per una maggiore conoscenza da parte dell’Inghilterra del problema Italiano, sollevato tra l’altro dal ministro inglese Lord Clarendon, e di un suo appoggio velato che, in futuro, sarà gravido di conseguenze per il nostro Risorgimento. La Guerra di Crimea e la Conferenza di Pace costituirono un grande successo diplomatico del Piemonte ed in particolare di Cavour, “questi aveva tratto a Parigi preziosi insegnamenti per il futuro” e anche se i risultati furono scarsi, l’aver posto le basi per una futura amicizia tra la Francia e L’Inghilterra da una parte ed il Piemonte dall’altra fu vista come un vero smacco diplomatico dall’Austria e dal proprio Imperatore Francesco Giuseppe. Giustamente S. Bertoldi, autore di un’opera sui Savoia “Ascesa e caduta di una dinastia”, spiega come la storia non sia fatta solo sui campi di battaglia o nei gabinetti dei ministri ma anche nei salotti e nelle alcove; se la Francia decise di scendere in guerra contro l’Austria, a fianco dell’alleato piemontese, lo si deve anche, è proprio il caso di dirlo, alle grazie, messe in bella vista, della contessa Virginia di Castiglione (1837-1898), spedita nel febbraio 1856 dallo zio conte di Cavour in quel di Parigi perché, come una sirena incantatrice, servisse alla causa italiana adescando all’amo l’Imperatore Napoleone III, notoriamente sensibile al fascino femminile. Il successo arrise tanto alla bella, spregiudicata e intelligente contessa che allo scoppio della guerra ebbe a dire: “Sapete come ho convinto l’Imperatore ad entrare in guerra? Con questo, con questa e con queste, [toccandosi le parti che, a suo dire, avevano fatto spalancare gli occhi e qualcos’altro a Napoleone III]”.
Un’altra pietra miliare fu rappresentata dall’attentato di Felice Orsini. Quest’ultimo, uno dei tanti repubblicani rivoluzionari che vivevano all’estero, la sera del 14 gennaio 1858 lanciò tre bombe sul corteo che accompagnava Napoleone III e l’imperatrice Eugenia all’opera, provocando tre morti e 150 feriti, mentre i reali rimasero illesi; durante la detenzione, prima di salire sulla ghigliottina, l’Orsini scrisse una lettera all’Imperatore in cui lo invitava ad intervenire per liberare l’Italia dal giogo straniero; questo fatto turbò Napoleone III, memore del suo passato da carbonaio in gioventù nelle Romagne. La tela tesa dal Cavour per costringere l’Austria ad entrare in guerra si stava pian piano dipanando: lo spiega in modo molto approfondito Denis Mack Smith, nel suo Il Risorgimento italiano, “Dall’esperienza del 1848-49, Cavour ed altri avevano tratto la preziosa lezione che l’interesse generale dell’Europa non avrebbe permesso che il Piemonte, anche se sconfitto militarmente, subisse perdite territoriali. Tale consapevolezza facilitava enormemente il progetto cavouriano di un’altra guerra contro l’Austria. Con il suo acuto spirito di osservazione, Cavour, al congresso di Parigi, era stato in grado di valutare l’ansia di Napoleone III di capovolgere gli accordi del 1815, e di restaurare in Europa il predominio francese, come ai tempi di suo zio Napoleone il Grande.
La Francia e il Piemonte, in quanto potenze revisioniste, avevano di fatto interessi comuni, per cui una futura alleanza contro l’austria appariva più che probabile”. Frutto del lavoro diplomatico di Cavour fu l’incontro di Plombières; servendosi di conoscenze personali, come ad esempio Henri Conneau, medico personale di Napoleone III e tralasciando i normali canali diplomatici, (in effetti entrambi i governi erano all’oscuro delle manovre di Cavour e dell’Imperatore “cospiratori nati”, ma lo era Re Vittorio Emanuele II al quale il suo Primo ministro mandava frequenti ragguagli sullo sviluppo degli eventi), essi si ritrovarono nella bella cittadina termale dei Vosgi il 20 luglio 1858. L’intento era quello di arrivare finalmente a suggellare l’alleanza tra i due paesi “con la comune decisione di dichiarare la guerra all’Austria”; la proposta di Napoleone era quella di far sollevare i ducati di Massa e Carrara allora sotto il governo degli estensi, imparentati con gli absburgo e di cui Francesco Giuseppe si era dichiarato protettore; una volta che i due ducati si fossero dichiarati favorevoli all’annessione al Piemonte si sarebbero innescate rivolte a catena che avrebbero cacciato gli Absburgo dalla Penisola.
Sempre secondo Napoleone III, una volta tolti di mezzo gli Absburgo, l’Italia avrebbe dovuto comprendere: al nord, il Regno di Sardegna, comprendente il Lombardo-Veneto, le legazioni pontificie di Bologna e Ferrara più le Romagne; al centro lo Stato della Chiesa, limitato alla sola Roma e ad un piccolo territorio, un Regno del Centro , comprendente i ducati di Lucca, Modena ed il Granducato di Toscana (le cui dinastie appartenevano ai vari rami degli Absburgo) ed un Regno del sud, dove al posto dei Borboni avrebbero governato i Murat, imparentati con l’Imperatore francese (la sorella di Napoleone, Carolina, aveva sposato Gioacchino Murat che aveva regnato su Napoli fino al 1814).
Federico Bragalini
Vedi anche la Storia di Milano