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Giovanni Barella: un personaggio milanese

giovanni barella milanoIl personaggio di cui vi voglio raccontare è Giovanni Barrella, che nasce a Milano nel novembre del 1884 e muore in quel di Erba nel 1967.

Scrittore, commediografo e attore italiano è considerato un punto di riferimento della letteratura milanese del Novecento.

Figlio di madre milanese e padre campano si appassionò sin da piccolo al teatro, grazie al nonno materno Giovanni che aveva ideato e allestito "El teatrin di Morigg", frequentato da molti attori dell'epoca.

Il Barrella frequentò anche l'Accademia di Belle Arti di Brera e, in contemporanea la Scuola di Recitazione dell'Accademia dei Filodrammatici. Studi però interrotti per entrare nella Compagnia teatrale Carlo Rota e poi in quella di Edoardo Ferravilla, che fu suo grande maestro.

Nel 1927 costituisce una nuova Compagnia teatrale ottenendo successo con la commedia "El nost Milan". Recita anche in vari teatri italiani, andando persino in Colombia come rappresentante della Casa Cinematografica Milanese Cavenaghi & C. Dal 1950 si dedicherà prevalentemente alla regia teatrale a alla poesia in dialetto milanese.

Nel 1931 viene nominato Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia e nel 1963 e 1966 viene insignito del Premio Porta. Le opere del Barrella attraversano diversi generi: cronaca, paesaggistico, storico, umoristico. La sua capacità di autoironismo lo porta a mettere, fuori dalla sua porta di casa, una targa con la scritta "Bar Rella", che significa "Bar della Penuria".

Termino questa brevissima cronologia perché desidero riportare alcune parti di sue poesie in dialetto meneghino che trovo davvero ricche di umanità. La prima si intitola:

Barbon.

Sont vun di cent barbon, che

chi a Milan,

ormai hinn diventaa

on'istituzion.

Commerci in cicch e in bagol

de toscan

che peschi per i strad cont el baston,

mangi in di fraa, per lett gh'hoo

ona banchetta

e per compagna e amisa, la bolletta.

Non si può dire che non rispecchia la figura del Barbone. L'invito è quella di leggerla ovviamente tutta.

La seconda di cui riporto solo la prima strofa mi riporta a quando ragazzino ero ospite per le vacanze scolastiche da una mia zia che possedeva una stalla con alcune mucche. La descrizione riflette proprio l'animo e la tensione del pastore. Il titolo è:

La Stalla

Ol Pedar, l'è lì soll dent in la stalla

perchè la vacca l'ha de fà el vitell

e l'era già dò nott che per curalla

el pisoccàva dentr'in del stabièll

sù on mucc de stramm de guardia 'me on gendarma,

pront a saltà per ari al primm alarma.

(pisoccàva vuol dire dormicchiava; Stabièll è la stalla).

Anche se alle feste natalizie mancano ancora quattro mesi, nel leggere la poesia mi è venuta voglia di mangiarne una fetta. Una fetta di cosa? Ma di panettone diamine! Infatti questa poesia s'intitola proprio La lauda del panatton, di cui riporto la prima e l'ultima strofa.

La lauda del panatton

Oh, buongiorno!...Leverissi...

Hinn content che son rivaa?

(Vaa che bestia?... mì i stremissi...)

Si, son mì quell che ha parlaa!...

Mi!...chi' dent el scatolon...

Son mi, sciori!... El panatton!

..................................

Son squisito?... El soo anca mi!

Mai mangiato de inscì bon?

E, savii perchè l'è insci?

Perchè sont el panatton,

on bombon de cà, a la man,

che l'è bon 'me 'l sò Milan.

Scommetto che anche a qualcun altro è venuta la voglia di una bella fetta di fresco panettone milanese.

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