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Codici di Leonardo. Storia di furti, avventure e colpi di scena

  • Rossella Atzori

leonardo.ritrattoLeonardo da Vinci era solito mettere per iscritto appunti, idee, annotazioni e fare disegni e schizzi di qualsiasi cosa attirasse la sua attenzione, a testimonianza della vastità dei suoi interessi nei più svariati campi della conoscenza.

Si trattava sia di taccuini, che portava sempre con se per annotazioni veloci, sia di fascicoli più ordinati, a volte dedicati ad argomenti specifici, come la meccanica e l’anatomia.

Tutti questi scritti hanno carattere di studio, e sono caratterizzati dalla particolare grafia di Leonardo che, mancino, scrive da destra verso sinistra. Il loro numero è così grande che Antonio De Beatis, segretario del cardinale Luigi d’Aragona, dopo una visita fatta a Leonardo ad Amboise nel 1517, riferisce si tratti di “un’infinità di volumi”; tutti questi manoscritti, alla morte del genio fiorentino, nel 1519, vengono ereditati dal discepolo Francesco Melzi, che dalla Francia li riporta in Italia, nella sua villa di Vaprio d’Adda, dove li conserva gelosamente fino alla sua morte, nel 1570. Questa data segna l’inizio delle peripezie dei manoscritti di Leonardo, i codici, oggi ridotti a un quinto del materiale originario, il cui aspetto e la suddivisione attuale non sono certo quelli originari.

leonardo.codice.aUna storia fatta di furti, sparizioni e colpi di scena, che ha inizio quando questo immenso patrimonio cartaceo passa in eredità a Orazio, figlio di Francesco Melzi; Orazio non capisce minimamente l’importanza del lascito paterno, e anzi si dimostra disinteressato, tanto che inizialmente lasciò questi scritti in un sottotetto.

Dei 18 manoscritti elencati da Francesco Melzi nel Codice Urbinate, se ne è persa traccia di ben 12.   

Nel 1585 Gavardi D’Asola, che frequentava casa Melzi, ruba 13 manoscritti e li porta a Firenze e a Pisa. Tre anni dopo vengono rubati altri 13 manoscritti dal canonico Ambrogio Mazenta e dal fratello Guido; Orazio riesce a farsene restituire 7, che vende subito a Pompeo Leoni, scultore di corte a Madrid e grande appassionato di Leonardo. Leoni, nel 1590, porta con se in Spagna questi 7 manoscritti e altri 3 acquistati dal Mazenta, riuscendo a riunire un buon numero di scritti di Da Vinci.

Dei 3 manoscritti rimasti in mano ai Mazenta, 2 sono andati perduti: quello ceduto al duca di Savoia e quello ad Ambrogio Figino. Il terzo passò invece nel 1603 al cardinale Borromeo, che lo portò a Milano.

Alla morte di Pompeo Leoni, nel 1608, il materiale da lui raccolto viene ereditato da Polidoro Calchi, che lo smembra: alcuni codici, tra cui il Codice Atlantico, vengono acquistati tra il 1615 e il 1632 dal conte Galeazzo Arconati, che nel 1637 li cede alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, altri da Thomas Howard, conte di Arundel, che li porta in Inghilterra.

napoleoneLe peripezie sembrano però non finire mai. Nel 1795 Napoleone fa portare a Parigi gli autografi di Leonardo conservati all’Ambrosiana di Milano ( i mss. A-M e Codice Atlantico); alla sua caduta, dopo il Congresso di Vienna del 1815, il Codice Atlantico ritorna all’Ambrosiana, ma tutti gli altri restano a Parigi, dove sono tutt’ora conservati all’Institut de France. Nel 1840 scoppia poi il “caso Guglielmo Libri”: un funzionario della biblioteca francese riesce a sottrarre diversi fogli dai codici di Leonardo, e a rivenderli in Inghilterra, a lord Ashburnham (buona parte recuperati, alcuni perduti).

E’ documentato inoltre un altro codice, attualmente negli Stati Uniti, che non proviene dall’eredità di Francesco Melzi. Si tratta del Codice Hammer, documentato a Roma nel 1537 e di proprietà dello scultore Guglielmo della Porta. Acquistato intorno al 1590 da Giuseppe Ghezzi, questi lo rivende a sua volta, nel 1717, a Thomas Coke, conte di Leicester; messo all'asta nel 1980, fu acquistato dal petroliere statunitense Armand Hammer. Rimesso all'asta quattordici anni dopo, nel 1994, appartiene oggi a Bill Gates, fondatore e presidente onorario di Microsoft.

Purtroppo solo una piccola parte degli scritti di Leonardo è giunta fino a noi. Non si sa che fine abbiano fatto gli altri: distrutti per sempre, dimenticati chissà dove o in collezioni private? Non ci è dato saperlo. Ma a prova che non si possa mettere la parola fine alla questione sui Codici di Leonardo c’è il fortuito ritrovamento, nel 1966, di 2 manoscritti di Leonardo nella Biblioteca Nacional di Madrid. Per secoli se ne era ignorata l’esistenza a causa della catalogazione sbagliata, e oggi son tornati a costituire il corpo degli scritti leonardeschi.

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