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Toni Capuozzo parla della fotografia come strumento per raccontare la guerra in Ucraina

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Toni Capuozzo, storico inviato di guerra di Mediaset, è stato ospite a Palazzo Leone da Perego nella serata di martedì 18 aprile, all’interno degli eventi del Festival Fotografico Europeo, organizzato da AFI, Archivio Fotografico Italiano.

Capuozzo, inviato di guerra per diverse testate giornalistiche televisive, ha scritto per Reporter e per i periodici Epoca e Panorama Mese. Vicedirettore del TG5, e conduttore della trasmissione giornalistica settimanale “Terra!”. Ha seguito i conflitti nei Balcani, in Somalia, in Medio Oriente, in Afghanistan, in Iraq. Autori di diversi libri.

A presentare Capuozzo è stato Claudio Argentiero, Presidente di AFi che ringraziandolo per la sua presenza ha voluto dedicare l’incontro alla memoria di un amico, Nino Leto, fotoreporter e testimone attento dei fatti del mondo.

“Stasera ho voluto essere con voi proprio per ricordare questo caro amico” – ha esordito Toni Capuozzo –” non voglio insegnare nulla ai fotografi, ritengo invece che essi abbiano un peso importante quando si parla di fotogiornalismo. La mia esperienza è stata sicuramente nel settimanale Epoca. Li imparai che l’immagine è più importante del testo, li capii che senza la foto giusta non ci può essere la storia”

E prosegue. “La televisione ha la pretesa di raccontare la realtà, ma la gente si dimentica che la TV non è oggettiva ma frutto di un montaggio.

Meglio la fotografia. Fissa per sempre un momento reale. Ecco la fotografia mi ha servito a capire che un’immagine deve essere accompagnata sempre da un testo breve perché, ricordiamoci, che l’immagine non è al servizio della parola. La fotografia, l’esperienza della fotografia, mi ha dato l'esperienza della televisione. “

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Tra aneddoti della sua esperienza e storie di vita vissuta, il famoso giornalista ha portato il pubblico presente alla serata a riflettere su quello che sta avvenendo in Ucraina presentando il suo libro “Giorni di guerra. Russia e Ucraina, il mondo a pezzi”, edito da Signs Publishing, dove il giornalista raccoglie tutte le sue riflessioni sul conflitto tra Ucraina e Russia.

Un vero e proprio diario di guerra, suddiviso per giorni, fatto di appunti. Un volume arricchito da numerose illustrazioni e da una lunga galleria di fotografie di reporter italiani dal fronte: Fausto Biloslavo, Gabriele Micalizzi, Francesco Semprini e Vittorio Nicola Rangeloni.

“Nei reportage, il giornalista deve fare un passo indietro, deve accompagnarti alla notizia. La pace è come la salute: fin quando non la perdi, non sai cos’è. Oggigiorno noi non sappiamo cosa sia la pace, perché non sappiamo cosa sia la guerra.”

E invita tutti gli ospiti presenti a delle riflessioni profonde. “Ma cos’e per noi occidentali la pace? Cosa ci può essere dopo questa guerra Ucraina? Pace? Con un armistizio? Con un cessate al fuoco? Ricordatevi che i crimini li fanno da entrambi le parti. Questa è guerra. Nelle guerre non bisogna avere illusioni. Nelle guerre il bene e il male è mescolato, non puoi giudicare. Ci sono sempre colpe da distribuire, nessuno è completamente innocente, se non i civili. Sono scettico sul ruolo che l’Occidente sta giocando. Siamo pronti a combattere, ma fino all’ultimo ucraino. È in gioco la democrazia, è in gioco l’Occidente, si mettono tutti l’elmetto però, poi, marcano visita al momento di andarci per davvero… in guerra”.

E prosegue. “Ho imparato che gli orrori di una guerra non sono mai da una parte sola.  Voglio sempre ricordare che la Seconda guerra mondiale, una guerra che non poteva non essere combattuta, è stata chiusa nel Pacifico da noi, dai buoni, dagli alleati, con due bombe atomiche su due città. In guerra, anche i “buoni” commettono i loro crimini, i loro orrori, perché è la guerra stessa che è un crimine. Allora nasce una domanda: ma ne valeva davvero la pena? Ripenso a quando mi reco a Redipuglia e vedo tutti quei nomi. Vite strappate prematuramente. Come giornalista ho sempre cercato di dare un volto, un nome, un passato a chi è stato strappato alla vita. L’odore della guerra è terribile. Lo risento. E mi accorgo avendo vissuto luoghi di guerra quanto siano importanti le cose semplici, la quotidianità. La normalità”. 

“A me sembra che oggi ci sia una fotografia che non rivoluziona. Guardate le foto che giungono dall’Ucraina. Non rivoluzionano, sono foto schierate. Oggi ci troviamo in un contesto dove il fotogiornalismo è senza dubbio cambiato. Si denota l’utilizzo della fotografia che si schiera e diviene uno strumento di propaganda. La foto ora è uno strumento di propaganda. Non esiste la foto innocente. Oggi è solo propaganda, per farvi pensare.

Ma chi ha invaso chi? Chi? Chi ha invaso Iraq? Somalia? Afganistan? Chi? Non ho simpatia per Putin, ma non bisogna provocarlo. Cosa sta facendo l’occidente? Sta facendo bene o male? Io vedo solo male.”

Prima di concludere l’incontro, il famoso giornalista ha ricordato l’incontro avvenuto molti anni prima con Borges.

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