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Intervista a Francesco Toiati: una vita di fotografia, avventure e musica

“Ho talmente visto tante cose che le sto scrivendo in un libro, perchè non si rischi di dimenticare cosa ha passato l’Italia e Roma negli anni 80”  (Francesco Toiati)

Abbiamo incontrato Francesco Toiati, uno dei più importanti fotoreporter italiani. Francesco ha "per musa la fotografia e nell’animo la cornamusa", cosa che capirete leggendo questa intervista esclusiva.
Con il suo lavoro racconta frammenti di storia e realtà che colpiscono nel profondo ognuno di noi.

Come è nata la tua passione per la fotografia?

Si perde un po' tra le nebbie del tempo, ma i complici sono stati due: mio padre, che a 14 anni mi regalò una macchina tedesca la Beirette: pellicola, telemetro e totalmente manuale. Con quella me ne andavo in giro insieme a lui per una Roma che ormai non esiste più, a fotografare scorci, gente, una Trastevere inedita (che lui detestava essendo nato dall’altra parte del fiume a via Monterone, ma questa è un’altra storia), chiese, fontane, case storiche. Passavamo parecchio tempo a parlare, passeggiando e fotografando.

Alcuni anni dopo, mio fratello, che aveva allestito una piccola camera oscura in una casa di Piazza Paganica che divideva con altre persone (erano gli anni ’70 e le case al centro storico si chiamavano comuni e venivano condivise tra amici e studenti), mi insegnò a sviluppare e stampare. L’avventura proseguì al Liceo Artistico, dove un professore affinò la tecnica di ripresa e di sviluppo. In quegli anni non esistevano corsi di fotografia e si imparava ascoltando e guardando chi ne sapeva più di te, con una buona dose di umiltà e desiderio di apprendimento.attentato falcone borsellino foto di francesco toiati

FOTO: Attentato a Paolo Borsellino

I tuoi inizi nel giornalismo fotografico

Inizi a vent’anni a Paese Sera per poi nel 1994 passare al Messaggero. Sono gli anni in cui inizi a documentare i grandi avvenimenti di cronaca del nostro Paese. Sempre in prima linea durante le più importanti vicende storico-politiche nazionali e le maggiori catastrofi naturali che hanno messo in ginocchio il nostro paese. Quali sono i servizi che ti hanno segnato particolarmente?

Quando entrai a Paese Sera era il 1984, quasi fine terrorismo nazionale e inizio di quello internazionale. A vent’anni sei sensibile a tutto e i nervi sono ancora scoperti. Iniziai con una vicenda orribile di una ragazzina di 16 anni, Chaterine Skerl, assassinata ai Castelli. Poi è stato un susseguirsi di eventi terribili in cui Roma si dibatteva in quegli anni di piombo. Mi sono rimasti dentro l’anima l’attentato a Fiumicino dove sono morte più di 30 persone, quel giorno fu terribile guardare la scena dall’alto del ballatoio, sembrava un film con un tragico finale. Tarantelli ucciso all’università, Il Canaro che trovammo ancora bruciava in una piazza della Magliana, l’attentato al Caffè de Paris in via Veneto, dove arrivammo io e Barillari unici testimoni di un massacro a opera dei terroristi palestinesi, il pianto degli agenti per i loro compagni uccisi dalle BR in via Prati di Papa, l’aereo precipitato di notte vicino Fiumicino, bambini chiusi in gabbie dai genitori, la banda della Magliana e le esecuzioni in pieno giorno, di nuovo gli attentati terroristici nelle ambasciate, nelle sedi delle compagnie aeree, la fuga rocambolesca finita in una sparatoria a San Basilio di una banda di assassini, il palazzo di Piazza Vittorio venuto giù come burro.
banda maglia a toiati

FOTO: Armi e soldi della banda della Magliana

L'importanza di documentare la storia

Ho talmente visto tante cose che le sto scrivendo in un libro, perché non si rischi di dimenticare cosa ha passato l’Italia e Roma negli anni '80. Sono arrivato al 26esimo capitolo, andando a ripescare i servizi iniziati con Paese Sera. Ho passato molto tempo nell’emeroteca della Biblioteca Nazionale, posto bellissimo, raccogliendo foto e notizie, di cose di cui anche io non mi ricordavo di aver fatto.

Cogliere l'attimo nella fotografia

Le tue fotografie sono oggi racconti di vita quotidiana, immagini che colgono emozioni e le trasmettono, frammenti di vissuto che colpiscono. Qual è il segreto per cogliere l’attimo giusto?

Nessun segreto, se non quello di girare sempre con una piccola macchina al collo e di saper cogliere appunto “l’attimo”. Adesso la chiamano street photography, un nome troppo altisonante. Per me fin da piccolo è sempre stato fotografare la strada, quello che vedi e spesso quello che non vedi. Se passi con lo scooter e vedi più di tre persone guardare con il naso all’insù da una parte, vuol dire che sta accadendo qualcosa e mi fermo, sempre.

Esperienze come inviato di guerra

La tua fotografia ti ha portato come inviato di guerra in luoghi difficili. Hai mai rischiato la vita facendo il tuo lavoro?

Il primo servizio dove fui mandato dalla mia agenzia furono le Azzorre. Un aereo partito da Orio al Serio a Bergamo, con 175 italiani a bordo, era precipitato nella piccola isola. Ci mettemmo otto ore di volo per arrivarci e dentro il C130 (aereo militare) c’erano 175 bare vuote. Al ritorno erano state riempite con i resti delle vittime e molte avevano dei foglietti con dei punti interrogativi sul coperchio della bara. Da lì è stato un susseguirsi di eventi: Albania, Romania subito dopo che fucilarono Ceaușescu, lì ce la siamo vista brutta perché la Securitate cercava per Bucarest e dintorni tutti i giornalisti che potevano raccontare. Poi è scoppiata la guerra dei dieci giorni in Slovenia e ho iniziato a raccontare per immagini tutto quello che vedevo. Una volta tornando da Trieste per consegnare dei rullini in stazione, ci spararono molto vicino per impedirci di varcare la frontiera. Sarajevo è stato sicuramente il posto dove ho rischiato di più: gli snipers (cecchini) sparavano senza sosta a chiunque. Scoprimmo che c’era anche un “tariffario” su quanto valevano le vittime e un giornalista dell’ANSA scoprì un “safari Sarajevo” dove ricchi industriali nei fine settimana passavano il tempo pagando per uccidere qualcuno a caso. Ci sono stato per ben tre volte, poi al ritorno dell’ultima ho scoperto di essere diventato papà e mi sono voluto fermare.guerra bambini francesco toiati

FOTO: Funerale a Bucarest di un ragazzo ucciso dai carri armati nel secondo giorno della rivoluzione contro Ceaucescu

L'evoluzione della professione

Come credi sia cambiata la tua professione nel corso del tempo? Le nuove tecnologie hanno supportato il tuo lavoro?

All’inizio certamente sì, un conto è dover sviluppare i negativi in una camera d’albergo e doverli inviare con la macchina della “telefoto” e un altro con un portatile e una buona connessione, spedire tutto comodamente e al sicuro in qualche posto. Durante il terremoto ad Amatrice, spedivamo foto e video da un furgone e ci sono stati dei momenti con delle forti scosse, che abbiamo vissuto in diretta mentre trasmettevamo al giornale. Ora purtroppo la tecnologia ci rema contro: la nuova generazione di telefonini in grado di scattare e di girare video, ci sta lentamente “sostituendo”, i giornalisti sono più autonomi nel fare loro foto e video durante i servizi.  La nuova generazione di telefonini in grado di scattare e di girare video, ci sta lentamente “sostituendo” e questa cosa professionalmente mi fa davvero paura, oltrechè dispiacere.

Fotografie che raccontano

Quale tua foto ti rappresenta maggiormente?

Quella che amo di più è una foto in bianco e nero scattata in Slovenia. Si vede un soldato armato di fucile che controlla un ponte minato, mentre sta camminando una giovane mamma con la sua bambina sulle spalle, a sua volta la bimba tiene una bambola sulle spalle. Un momento, un attimo di vita in mezzo a una tregua di spari.

La passione per la cornamusa

Ti conosciamo come fotografo, ma sicuramente non possiamo non chiederti della tua passione; ci racconti come sei arrivato a scegliere la cornamusa come strumento musicale?

La musica mi ha sempre salvato e aiutato nella vita: è terapeutica! Ho iniziato flauto traverso a 15 anni fermandomi a 40 quando ho conosciuto un gruppo di scozzesi che vivevano a Roma. Da lì ho studiato, fatto esami, competizioni e altro. Attualmente, mi piace suonare in delle session con amici nei pub, esattamente come si fa in Scozia o in Irlanda.


francesco toiati foto famosa

FOTO: Sarajevo

E così, con la sua macchina fotografica sempre pronta e la cornamusa al fianco, Francesco Toiati continua a raccontare storie, mantenendo vivo il ricordo di un'Italia che non possiamo permetterci di dimenticare.

francesco toiati cornamusa

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