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Primo Maggio: Ricordando gli EROI NASCOSTI del lavoro

  • Gaetano Tirloni

primo maggio milano

Primo  maggio: festa del lavoro e di chi lo implementa.  Festa di coloro che - e sono milioni - han dedicato la loro vita ad una professione e in essa vi han immerso il proprio io e la propria soddisfazione.

Celebrazione soprattutto di quanti, anonimi,  hanno  immolato  la loro esistenza sull'altare del dovere, senza pubblicità, con immensi sacrifici, nel nascondimento di una prova, talvolta, al limite del possibile.

E siccome al vostro cronista non piacciano i panegirici di massa ma preferisce  la  personalizzazione, eccolo virare su un esempio, il  più nascosto  possibile, ma luminoso per le sue implicazioni etiche.

Nell'anno 1906 nasceva un uomo, Antonio, nelle terre grondanti sudore della bergamasca.  A cinque anni restò orfano di padre e la madre, onde racimolar pranzo e cena,  migrò nel  Milanese, sospinta dal cognato, anch'esso vedovo, che poi  sposò. 

Un  matrimonio  imposto  dalla necessità  e dalle convenienze del tempo, che  lasciò  Antonio con l'amaro in bocca.  Amava  sua  madre - lui,  l'ultimogenito di quattro fratelli -  alla  follia ;  ma  non approvò  mai quest' unione, causa di  vessazioni e litigi.  Infatti  - come  quasi sempre accade -  il patrigno  favoriva i  pargoli del  primo  letto,  dispoticamente  emarginando  gli altri.  

A otto anni  interruppe  gli studi ( terza elementare), sebbene amasse i libri più del pane.  E  s'intruppò  in un  manipolo di  braccianti  al soldo  di un latifondista di  Cesano Boscone.  Però presto gettò zappa e aratro alle aride zolle per diventar un meccanico provetto.

A  sedici anni era già  un coordinatore,  superando  il  pregiudizio della giovinezza con un talento puro. Cambiò diverse  fabbriche, nel desiderio di migliorarsi  tecnicamente  ed  economicamente.

E  venne la seconda  guerra mondiale. La sua fabbrica venne rasa al suolo da uno di quei bombardamenti che chiamare terroristici è un eufemismo.  Dovette, per qualche anno, riciclarsi come muratore, facendo il possibile per sventare le retate che le autorità e i repubblichini intensificavano man mano che il conflitto peggiorava nel suo esito. 

Nel  1949 prese moglie.  Dopo la morte della madre, assistita  per anni nella sua angosciosa infermità.  E siccome alle gioie piace il destino  associare il dolore, si ritrovò disoccupato.  Sei mesi di inferno.  Finché  la sua fama  lo consegno ad un'industria della Bovisa come tornitore di classe.

Nel 1952 gli  nacque il suo  primo   e  unico  bimbo.  Per  deliziare  la   famiglia delle nuove  e  indispensabili  comodità, lavorava con  impegno tutti i giorni, domeniche  comprese, senza che un lamento uscisse  dalle sue labbra. 

La  sua  comodità era l'officina dove metteva il suo ingegno al servizio dell'impiantistica, affinché  il mondo  migliorasse e maturassero  i presupposti  per un Paese più sano.

Desiderava faticare sino alla morte.  In questo sorretto dal suo principale e da una legislazione creativa, depurata dai vincoli di una burocrazia  asfissiante. 

Ma a 64 anni dovette smettere.  Uno  scompenso aveva minato  il "tornio della  sua vita", come soleva definire il suo cuore. 

E da quel giorno la tristezza lo penetrò,  avvolgendolo  in  una depressione senza uscita.

Si congedò da questa valle di lacrime dopo tre anni per  un caso di mala sanità. Ricoverato al  Policlinico di  Milano con fortissimi  dolori addominali, gli venne diagnosticata una colica.  Invece  era  un'appendicite acuta,  da operare immediatamente.  Trascorso  un giorno in corsia,  il primario al fine si accorse dell'errore. Però era  troppo tardi.  Mentre  le campane  rintoccavano  l'Angelus  serale del 28 giugno 1973,  Antonio si spense.

E con la sua dipartita la schiera dei lavoratori anonimi ma nobili s'impoverì. Giusto ricordarlo il primo maggio 2016, insieme a tutte le persone  che hanno la loro foto stampata nel mausoleo (eterno) del lavoro.

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