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Inaugurazione del Monumento alle Vittime del Vajont a Legnano

Verrà inaugurato a Legnano, in piazza Vittorio Veneto, sabato 11 Maggio alle ore 11, il monumento dedicato alle vittime del Vajont, voluto da Giuseppe Calini, proprietario del mitico Welcome Hotel, rocker legnanese e da anni fedele custode di questa tragedia avvenuta nel 1963 e che è giunta fino a noi.

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“L’idea di realizzare e regalare alla città di Longarone, il comune travolto e demolito dalla furia dell’acqua quella notte del 9 ottobre 1963, un ricordo tangibile di quanto accaduto, rendendo giustizia e memoria a chi non ce l’ha fatta, era stata proposta anni fa, quando ancora in carica c’era il Sindaco Centinaio. Poi, la concretizzazione nero su bianco e l’idea di un progetto, quindi l’annuncio nell’aprile scorso, con l’indicazione di un IBAN per una raccolta fondi che terminava il 30 novembre 2023,” esordisce Calini, che i sopravvissuti hanno nominato loro “Ambasciatore”.

“Un’impresa che più volte ha vacillato, ma che oggi vede la luce della realizzazione. Il monumento nella sua totalità sarà rappresentato da un muro di calcestruzzo, lo stesso materiale usato per la diga, come sfondo. Rappresenta il passato, tutto quello che è stato.”

“L’acqua,” spiega Giuseppe, “scende delicatamente, come il passare del tempo, affievolisce il dolore che è stato, che è. Ma da quello sfondo, da quel passato, esce e rimane come monito perenne, la diga. La speranza è che la Storia insegni e che non si ripetano più queste tragedie, pagate con la vita da innocenti. Sotto la diga, i sassi originali del monte Toc, i sassi della frana, posati dai sopravvissuti, qui a Legnano. Questo è il nostro abbraccio alla gente del Vajont. Non abbiamo dimenticato e saremo sempre dalla loro parte.”

Abbiamo chiesto direttamente a Giuseppe Calini di come è nato il suo amore e il suo impegno per ricordare la tragedia del Vajont.

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“Questo monumento viene da lontano. Sono trascorsi tanti anni da quando passai da Longarone e vidi il cartello ‘diga del Vajont’. Sapevo poco, mi informai, lessi, studiai a fondo e più conoscevo, più capivo come tutto era stato premeditato e nascosto. Non si doveva sapere la verità. Doveva passare la notizia che era stato un disastro naturale, non causato dall’uomo, che invece dalla Natura era stato avvisato più volte. Ma la cosa che più mi dava fastidio era vedere come i sopravvissuti e i superstiti fossero trattati male, proprio così, trattati male. Da lì mi sono chiesto, cosa posso fare per loro? Pensate, avevano perso madri, padri, sorelle, fratelli, non solo, avevano perso la casa e addirittura il proprio paese. Al posto di Longarone c’era una distesa di sabbia. Lo stato minimo avrebbe dovuto offrire tutti gli aiuti possibili. Invece niente, oltre al dolore immenso hanno dovuto subire l’ingiustizia di non essere considerati. Organizzai la prima serata con Micaela Coletti, presidente del comitato sopravvissuti, a cui ne seguirono altre e venne prodotto anche un film documentario, in vendita su Amazon, il cui ricavato va interamente ai sopravvissuti. Feci fare una maglia lilla per l’AC Legnano che la squadra, grazie alla sensibilità del presidente Munafò, indossò per una partita, venne ritirata e messa all’asta. Demmo l’intero ricavato ai sopravvissuti, poi organizzai una pedalata con l’US Legnanese da Legnano fino al Vajont, il presidente di allora, Roberto Damiani insieme a amici e appassionati, partecipò anche Moser, andarono da Legnano a Longarone.”

“Vi aspettiamo numerosi alla sua inaugurazione sabato 11 Maggio alle ore 11,” conclude l’ambasciatore del Vajont legnanese.

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LA TRAGEDIA DEL VAJONT

Il disastro del Vajont si verificò la sera del 9 ottobre 1963, nel neo-bacino idroelettrico artificiale del torrente Vajont nell'omonima valle (al confine tra Friuli-Venezia Giulia e Veneto), quando una frana precipitò dal soprastante pendio del Monte Toc nelle acque del bacino alpino realizzato con l'omonima diga.

La conseguente tracimazione dell'acqua contenuta nell'invaso, con effetto di dilavamento delle sponde del lago, coinvolse prima Erto e Casso, paesi vicini alla riva del lago dove sorgeva la diga, mentre il superamento della diga da parte dell'onda generata provocò l'inondazione e la distruzione degli abitati del fondovalle veneto, tra cui Longarone, e la morte di 1.917 persone, tra cui 487 bambini e adolescenti.

Le cause della tragedia, dopo numerosi dibattiti, processi e opere di letteratura, furono ricondotte ai progettisti e dirigenti della SADE, ente gestore dell'opera fino alla nazionalizzazione, i quali occultarono la non idoneità dei versanti del bacino, a rischio idrogeologico.

Dopo la costruzione della diga, si scoprì infatti che i versanti avevano caratteristiche morfologiche (incoerenza e fragilità) tali da non renderli adatti ad essere lambiti da un serbatoio idroelettrico.

Nel corso degli anni, l'ente gestore e i suoi dirigenti, pur essendo a conoscenza della pericolosità, peraltro ritenuta inferiore a quella effettivamente rivelatasi, coprirono dolosamente i dati a loro disposizione con il beneplacito di vari enti a carattere locale e nazionale, dai piccoli comuni interessati fino al Ministero dei lavori pubblici.

Alle 22:39 del 9 ottobre 1963, circa 270 milioni di m³ di roccia (un volume più che doppio rispetto a quello dell'acqua contenuta nell'invaso) scivolarono, alla velocità di 30 m/s (110 km/h), nel bacino artificiale sottostante (che conteneva circa 115 milioni di m³ d'acqua al momento del disastro) creato dalla diga del Vajont, provocando un'onda di piena tricuspide che superò di 250 m in altezza il coronamento della diga e che in parte risalì il versante opposto distruggendo tutti gli abitati lungo le sponde del lago nel comune di Erto e Casso, in parte (circa 25-30 milioni di m³) scavalcò il manufatto (che rimase sostanzialmente intatto, pur avendo subito forze 20 volte superiori a quelle per cui era stato progettato, seppur privato della strada carrozzabile posta nella parte sommitale) e si riversò nella valle del Piave, distruggendo quasi completamente il paese di Longarone e i comuni limitrofi, e in parte ricadde sulla frana stessa (creando un laghetto).

Vi furono 1.910 vittime di cui 1.450 a Longarone, 109 a Codissago e Castellavazzo, 158 a Erto e Casso e 200 originarie di altri comuni.

Lungo le sponde del lago del Vajont vennero distrutti i borghi di Frasègn, Le Spesse, Il Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana, San Martino, e la parte bassa dell'abitato di Erto.

Nella valle del Piave vennero rasi al suolo i paesi di Longarone, Pirago, Faè, Villanova, Rivalta, e risultarono profondamente danneggiati gli abitati di Codissago, Castellavazzo, Fortogna, Dogna e Provagna. Vi furono danni anche nei comuni di Soverzene, Ponte nelle Alpi, nella città di Belluno a Borgo Piave e nel comune di Vas nella borgata di Caorera dove il Piave, ingrossato dall'onda, allagò il paese e raggiunse il presbiterio della chiesa.

L'evento fu dovuto a una serie di cause, di cui l'ultima in ordine cronologico fu l'innalzamento delle acque del lago artificiale oltre la quota di sicurezza di 700 metri voluto dall'ente gestore, operazione effettuata ufficialmente per il collaudo dell'impianto, ma con il plausibile fine di compiere la caduta della frana nell'invaso in maniera controllata, in modo che non costituisse più pericolo.

Questo, combinato a una situazione di abbondanti precipitazioni meteorologiche e a forti negligenze nella gestione dei possibili pericoli dovuti al particolare assetto idrogeologico del versante del monte Toc, accelerò il movimento della antica frana presente sul versante settentrionale del monte Toc, situato sul confine tra le province di Belluno (Veneto) e Pordenone (Friuli-Venezia Giulia). I modelli usati per prevedere le modalità dell'evento si rivelarono comunque errati, in quanto si basarono su una velocità di scivolamento della frana nell'invaso fortemente sottostimata, pari a un terzo di quella effettiva.

Nel febbraio 2008, durante l'Anno internazionale del pianeta Terra dichiarato dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, in una sessione dedicata all'importanza della corretta comprensione delle Scienze della Terra, il disastro del Vajont è stato citato, assieme ad altri quattro eventi, come un caso esemplare di "disastro evitabile" causato dal «fallimento di ingegneri e geologi nel comprendere la natura del problema che stavano cercando di affrontare».

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