Razzismo: un'offesa alla dignità e all'intelligenza di tutti gli uomini liberi
Bianchi e Neri, cristiani e non cristiani, popoli del Sud e popoli del Nord del Mondo: tutti hanno, nel razzismo, un nemico in comune!
Anche se non vorremmo ammetterlo, il razzismo è un fenomeno a tutt’oggi tristemente diffuso e storicamente antichissimo, nonché – purtroppo - largamente condiviso. Tuttavia non si può pensare di combatterlo senza prima acquisire una piena consapevolezza di questa realtà, e senza comprenderne le sottostanti radici culturali e sociali. Insomma, limitarsi all’espressione del proprio dissenso o del proprio sdegno personale nei confronti di certe posizioni che si reputano ideologicamente ed eticamente inaccettabili, può non bastare.
Fin dai tempi più remoti, i gruppi etnici difendevano una sorta di “orgoglio” collettivo che impediva loro un approccio paritario nei riguardi di altre persone appartenenti ad aggregazioni sociali esterne alla propria. Gli Egizi molto probabilmente furono i primi nella storia a tentare una “classificazione” degli esseri umani fondata sul colore della pelle, vietando l’accesso ai Neri entro i confini dell’Egitto, se non per motivi strettamente commerciali, ma sappiamo che anche Greci e Romani usavano il colore della pelle per connotare differenti tipologie di umani. E pure Plinio il Vecchio sviluppò una sua personale “teoria sulla razza” che ricollegava le diverse caratteristiche fisiche degli Africani rispetto agli Europei alle differenze climatiche dei due continenti; gli stessi Ebrei, nel momento in cui si proclamavano “popolo eletto da Dio”, discriminavano gli appartenenti alle discendenze diverse dalla loro.
Nel XVIII secolo iniziarono ad essere teorizzati i risultati di alcune ricerche aventi pretese di scientificità, secondo cui si pensava che nella genetica dovesse trovarsi la spiegazione di una presunta “inferiorità sociale” di determinati individui, al fine di “dare un senso” alle politiche coloniali nei confronti di alcune popolazioni pretestuosamente reputate “bisognose di aiuto”.
Le teorie sulla divisione delle razze in “razze superiori e razze inferiori”, si perfezionarono nel corso del XIX secolo arrivando a “giustificare” storicamente l’istituzione della schiavitù dei Neri da parte degli Americani, nonché il riconoscimento della “pura razza ariana” da parte dei Tedeschi, con le nefaste conseguenze che ne sono derivate.
Per buona sorte dell’intera umanità, nel tempo, il concetto di “razza” con riferimento alla specie umana è stato sonoramente bocciato dalla scienza la quale ha riconosciuto soltanto l’esistenza di semplici “stereotipi razziali” (il colore della pelle, degli occhi, dei capelli; i tratti facciali; la statura, ecc.) che definiscono caratteristiche del tutto superficiali, comunque non riconducibili ad alcuna caratteristica genetica essenziale, né ad alcun “connotato psichico o culturale” scientificamente apprezzabile.
Dunque, in relazione all’unica specie umana che conosciamo, la “classificazione” possibile è quella delle varie etnie, culture, caratteristiche fisiche o esteriori, ma non quella di “varie razze umane” con differenti quozienti di intelligenza o sistemi neuro-sensoriali differenziati: esistono, sempre nell’ambito di un’unica razza, popolazioni che si sono organizzate per vivere in determinati ambienti (a volte anche ostili), ma che, proprio grazie alle competenze comuni a tutti gli individui della propria specie, sono in grado di adattarsi a contesti diversi rispetto a quello d’origine - esattamente alla stessa stregua di tutti gli altri uomini - a prescindere dal colore della pelle, dei capelli, degli occhi …
In conclusione, il razzismo si basa su interessi, motivazioni e pregiudizi culturali ispirati ad un fondamentalismo ideologico lontanissimo da qualunque valenza scientifica; esso va ripudiato senza sconti con la forza della ragione e con un sentimento di convinta appartenenza all’unica specie umana vivente su tutta la Terra: quella dell’Homo Sapiens.
"La nozione di razza si applica bene ai cavalli e ai cani, ma non può essere trasferita alla specie umana. Se oggi non è più possibile, se non per ignoranza o in malafede, mantenere una posizione razzista sul piano biologico, rimane diffuso un razzismo di tipo culturale. Si invoca la superiorità della propria cultura per spiegare le ragioni della ricchezza o del successo della società di cui si è parte”(Luca e Francesco Cavalli Sforza, La Repubblica, 1 luglio 1997).
Ci piace pensare che questa citazione non possa che essere condivisa pienamente - ed incondizionatamente - da chiunque si senta partecipe di una civiltà degna di questo nome.
Mirella Elisa Scotellaro