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Premio Don Peppe Diana per amore del mio popolo: intervista a Don Franco Monterubbianesi

don franco monterubbianesi

La premiazione, istituita nel 2011,avverrà presso la “casa Don Peppe Diana”, bene confiscato alla camorra e gestito dallo stesso comitato organizzatore del evento, a Casal di Principe.

Ad essere premiato, insieme a Nando  Della Chiesa, Umberto Galimberti e Rosario Esposito la Rossa, il parroco marchigianoDon Franco Monterubbianesi.

Don Franco , è nato a Fermo il 30 Maggio 1931, dopo aver conseguito il  diploma nel liceo classico della propria città, decise di iscriversi alla facoltà di medicina a Roma.

Gli bastò un solo anno, per capire, che la sua vita dovesse essere in altri luoghi, al servizio di chi veramente aveva bisogno, così che lasciò   la facoltà e intraprese la vita ecclesiastica.

Nel 1966, fonderà la comunità di Capodarco, un’associazione senza fini di lucro, impegnata nell’accoglienza di giovani in condizioni con disagi, il suo impegno continuerà tra il 1982 e il 1994, a fianco di don Peppe Diana, facendo nascere insieme all’amato sacerdote, la casa famiglia per bambini disabili abbandonati, presso Trentola Ducenta, in una villa confiscata alla camorra.

 Don Franco, un premio molto importante, una notizia arrivata il 30 maggio, il giorno del suo novantesimo compleanno.

Cosa ha provato nel momento che gli è stato comunicato questo?

Ho ricevuto la notizia dell’assegnazione del premio, Il primo giorno di primavera, un giorno di svolta e di rinascita. Spero che questa rinascita ci sia soprattutto per la mia comunità di Capodarco a Roma, dove io vivo, colpita dal fallimento economico, una comunità importante per tutte le altre comunità sparse in Italia, centro propulsivo del suo movimento ideale.

Siamo giunti a questo punto perché , noi come la gran parte della società, viviamo nell’ individualismo, senza pensare agli altri.

Per me il premio è statoun motivo di incoraggiamento, per il lavoro che ho fatto e continuo a fare per gli altri, un segno dall’alto per sviluppare ancora di più la mia progettualità, seminando  nei giovani il mio modo di pensare e agire, aiutandoli a vivere con la speranza.

Lei è stato al fianco di Don Peppe, nella fondazione della casa famiglia, a Trentola Ducenta.

Chi è per lei Don Peppe?

Sono stato vicino a lui dall’82 al 94 abbiamo incominciato un’opera importante di accoglienza per i bambini disabili abbandonati, conclusasi con Antonio e Fortuna, anche lei premiata dallo stato, perché in quella casa che sono stati accolti più di 100 bambini, dando loro nuove famiglie.

Questo è il lavoro che propongo ai giovani del sud, di fare tutto con coraggio come Don Peppe ci ha insegnato pagando con la vita.

Don Peppe ha dato la propria vita per i più poveri come Cristo ci ha insegnato e resterà un grande esempio  nei nostri cuori .

La crisi di oggi è dovuta ad una mancanza di uomini e donne che si pongono contro ogni potere senza avere nessun interesse nel cambiare le cose.

Molti la considerano, un sacerdote di frontiera, propenso ad aiutare i più deboli, la sua prima impresa importante, la fondazione della comunità di Capodarco.

Di che cosa si tratta e cosa lo spinge a fare tutto questo?

Mi sono sempre occupato dei più bisognosi con questa associazione.

L’associazione Capodarco, è un’associazione senza fini di lucro impegnata nell’accoglienza di persone in condizione di grave disagio.

I poveri di cui mi sono preso cura , nella mia giovinezza , erano giovani disabili rinchiusi in strutture riabilitative, strutture di spicco ma senza un futuro.

Partimmo da Lourdes con un grande gruppo e decidemmo proprio da lì di iniziare questo cammino in comune.

Decidemmo cosi  di fondare la prima comunità a Capodarco di Fermo, nelle Marche , nel lontano 1966, da li poi nacquero altre comunità, dalle alpi fino ad arrivare in Sicilia.

Spero che i giovani continuino a porsi al servizio dei più poveri e i più deboli come ho fatto io, questo significa per me essere sacerdote di frontiera.

Lei ha molto a cuore i giovani, con pandemia, evento devastante, è salito il pericolo dell’abbandono scolastico e il pericolo della criminalità giovanile.

Come si dovrebbe intervenire?

Bisognerebbe di nuovo impostare l’educazione scolastica, attraverso un’alternanza scuola lavoro, progetti concreti sui territori, il volontariato  e il terzo settore, aiutando cosi  i più poveri ad usufruire dei servizi e a non rimanere emarginati.

L’Italia, un paese, spesso diviso in due, il nord che va molto veloce e si sviluppa, un sud che muove sempre più lentamente i primi passi.

Una grande disparità non solo economica, ma soprattutto di opportunità che colpisce i giovani, costretti a lasciare la propria affezionata terra, per trovare fortuna altrove.

Lei ha sempre sottolineato questo aspetto, molti sono i suoi progetti.

Secondo lei cosa ancora manca e quali sono le soluzioni?

Bisognerebbe che ci sia una vera riforma della democrazia, con un protagonismo politico di tutti i cittadini  come dice l’articolo 47 della Costituzione ,attraverso  un nuovo rapporto educativo sui vari territori, cercando di reagire sui mali che colpiscono la  nostra società.

Al capitolo 3 Gioele nella bibbia , dice  noi anziani , con i nostri sogni dobbiamo alimentare la profezia dei giovani.

 Per quello ho chiesto al Signore di vivere altri cinque anni , oltre ai miei 90 anni, cosi da continuare a dare ancora una mano alla società.

Il 4 luglio, giorno  importante, cosa  sente di dire a chi lo aspetta  nella bellissima terra di Don Peppe?

Dirò che mi sento un uomo del sud.

Riconosco in loro, il coraggio e voglio continuare a dare una mano attraverso i vari progetti in Calabria , come il Progetto Sud, a Lamezia Terme e a Palermo, con il Progetto Palermo, le due mie preferite realtà di frontiera.

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