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Pandemia e adolescenti: Intervista al Dottor Davide Scheriani, Psicoterapeuta di Legnano

dottor scherianiMolte restrizioni,  scuole chiuse, divieti per uscire di casa  e spostarsi da un luogo all’altro per incontrare qualcuno, il distanziamento sociale , tantissimi fattori che hanno colpito tutti quanti, tra cui anche  gli adolescenti.

Tantissimi anche i fattori che hanno segnato la psiche delle persone, che hanno visto cambiare in maniera radicale, il proprio modo di vivere, anche se la comunicazione veniva sostituita dalla tecnologia, attraverso videochiamate di whatsapp, messenger, zoom e meet, tutto questo non ha potuto mai sostituire il contatto umano,  che ognuno di noi prova quando incontra qualcuno di persona.

Ad essere segnati anchegli adolescenti, una fascia di età molto fragile e vulnerabile, i quali hanno visto negarsi  tante cose, anche quella di andare a scuola, l’unica opportunità di  apprendere ed incontrare  i compagni.

Abbiamo voluto chiedere al Dottor Davide Scheriani, psicoterapeuta di Legnano, spesso impegnato nel supporto degli adolescenti attraverso numerosi progetti scolastici, cosa ne pensasse.

E’ stato un periodo molto pesante un po’ per tutti, ad essere segnati anche gli adolescenti, una fascia sociale  vulnerabile,  quanto ha inciso la pandemia sui ragazzi e quante situazioni difficili ha riscontrato in più da affrontare?

Nel momento che le scuole hanno terminato le attività curricolari ordinarie, abbiamo visto i ragazzi tentare un faticoso ritorno alla normalità, alle uscite con i coetanei, agli incontri per lungo tempo rimandati e spesso intensamente desiderati. Ma, nel corso di questi quattordici mesi di alterazione della quotidianità e delle routine di vita, molti adolescenti si sono forzatamente adeguati ad una forma di estraniamento che ora rende loro più arduo il recupero del contatto con il mondo fuori di casa.

Alcuni hanno manifestato intensi sintomi di ansia durante l'alternanza tra didattica a distanza ed in presenza, quasi a sottintendere il fatto che queste due forme di rapporto con la scuola richiedessero forme talmente differenti di adattamento da comportare uno sforzo difficilmente gestibile. Altri invece hanno ceduto a condotte sregolate di uso ed abuso di tecnologia, cibo, stupefacenti, come a voler tentare di compensare una sensazione di assenza e di spaesamento che ha dominato molti contesti, familiari e non, in questo complesso e prolungato periodo.

Lei svolge tantissimi progetti scolastici per aiutare i ragazzi in questa fase delicata della  vita.

La sua professione è essenziale per la salute di questi ragazzi , quanto potrebbe essere importante il suo ruolo per aiutare i ragazzi?

Ritengo che ogni professione di “cura della relazione”, sia essa di tipo psicologico, educativo, spirituale o sanitario, in questo momento possa avere un ruolo importante, se non determinante, per poter ricostruire nei giovani un senso di continuità con il tempo “pre-covid” e soprattutto una visione del futuro aperta alle possibilità e adeguatamente conscia dei rischi connessi ad un processo di globalizzazione e uno sviluppo tecno-economico sfrenati.

Le pubbliche Istituzioni hanno mostrato, a mio avviso, una particolare sensibilità alla questione, intensificando il confronto reciproco e programmando concrete azioni di prevenzione e cura: in quest'ottica, l'aggiornamento del “Protocollo Scuola”, in Ottobre 2020, tra Ministero dell'Istruzione e Comitato Nazionale di categoria ha consentito a noi psicologi di impegnarci ancor più profondamente nell'esercizio delle funzioni di monitoraggio e sostegno di studenti, famiglie e personale scolastico. L'ampliamento dei fondi destinati alla mia attività mi ha permesso di implementare e realizzare progetti di formazione per i docenti finalizzati al contenimento dello stress correlato al lavoro e di offrire incontri di riflessione e approfondimento per gli studenti, orientati al benessere e allo sviluppo di pensieri e condotte resilienti. Queste iniziative si sono affiancate alla mia “tradizionale” attività di sportello di ascolto psicologico, che è risultato essere ampiamente fruito da molti interlocutori, in continuità con quanto accaduto nelle precedenti annate. Questo dato indica, a mio modo di vedere, che la figura dello psicologo operante in seno a contesti di tipo non clinico o sanitario risulti ormai a pieno titolo socialmente integrata entro una prospettiva orientata al “benessere” che non necessariamente debba implicare la presenza di conclamate psicopatologie per poter essere considerata utile. Inoltre, tengo a sottolineare il fatto che la necessità di accettare anche la “distanza” nella fruizione di questo tipo di interventi (mediante colloqui “da remoto”) non abbia significativamente intaccato il bisogno di adolescenti e adulti di cercare e trovare confronto e conforto; penso sinceramente che questo sia un elemento significativo, che testimonia il bisogno di riflessione e di comprensione dei membri di una comunità certamente messa a dura prova dal timore e dalla stanchezza, ma attivamente capace di adattarsi alle contingenze. 

La scuola è rimasta per molto tempo chiusa, è stato un serio problema, gli studenti, hanno perso anche un’opportunità per socializzare.

Com’è cambiata la socializzazione in questo periodo e come si potrebbe intervenire in questo momento?

Gli adolescenti di oggi, se confrontati con le generazioni a loro antecedenti, sono tendenzialmente più predisposti a ricercare il contatto con “Altro-da-Sè” attraverso la tecnologia e il web.

Questa premessa contiene, a mio giudizio, molti promettenti vantaggi, ma anche qualche rischio. E' necessario aiutare i giovani a riconoscere il valore del confronto diretto, immediato, cioè non-mediato da filtri e codici e linguaggi del mondo digitale. E' certamente più faticoso gestire la complessità dell'incontro e della comunicazione “in vivo”: non è possibile, per esempio, tenere sotto controllo tutte le variabili che intervengono in uno scambio in diretta, che richiede una maggiore disponibilità a mettersi in gioco e, talvolta, ad accettare di “scoprirsi” (inteso nel duplice significato di esporre tanto all'altro quanto a sé stessi le proprie fragilità e perfettibilità). Quindi, il rischio di cui parlavo poc'anzi è rappresentato, secondo me, dal fatto di preferire sistematicamente le modalità  più mediate di contatto con il mondo extrafamiliare, tralasciando il “sano esercizio” di rapportarsi agli altri in modo più diretto.   

Molte sono le difficoltà che ogni adolescente deve affrontare in questo periodo della vita e spesso è difficile accettare le proprie fragilità, cosi tanto anche confidarle a persone più più intime e care, amici , genitori ,  cosa bisognerebbe fare in questo caso?

Proprio in questo risiede la sfida: per i ragazzi, il confronto con gli altri contiene sia una dimensione fortemente attraente che un rischio che può risultare difficilmente sostenibile. Ritengo che essi vadano compresi nel difficile compito di districarsi tra questi due estremi: penso sia utile ed “ecologico” mantenere una posizione di disponibilità, senza forzare troppo il dialogo e il confronto diretto in famiglia. Dopotutto, ogni adolescente si trova di fronte al bisogno di costruire la propria sfera di intimità e privacy: in questo lungo periodo di convivenza (talvolta forzata, per l'appunto) tra le quattro mura domestiche, la gestione di questo delicato tema è stato ancor più complesso che in passato. D'altro canto, è possibile che questa inedita situazione abbia sospinto qualche giovane membro del sistema familiare verso condotte disadattive o addirittura autolesive, che possono sfuggire all'osservazione: in questi casi, è bene considerare l'eventuale e prolungata alterazione delle routine e dei cosiddetti comportamenti “di base” relativi al sonno, all'alimentazione e al mantenimento di un corretto stile di vita. Se si dovessero ravvisare indizi significativi in queste aree, è bene cercare di parlare con l'interessato, magari proponendo l'opzione di mettere a disposizione un interlocutore esterno alla famiglia. 

La famiglia è parte integrante di ogni ragazzo, cosa consiglia ai genitori, per essere vicino ai propri figli in questo momento?

Credo che sia ora fondamentale proporre una “posizione” (che riguardi tanto aspetti cognitivi quanto emotivi) di apertura al prossimo futuro, evitando di scadere nell'ottimismo a tutti i costi così come nella catastrofizzazione del presente. I ragazzi hanno bisogno, oggi più che mai, di adulti che sappiano porsi come figure di riferimento capaci di comunicare le emozioni e i pensieri in modo tanto critico quanto costruttivo.

Si parla moltissimo di cambiamento, qual è per lei il vero cambiamento, le vere opportunità da garantire ai ragazzi, quali devono essere gli interventi mirati per un futuro migliore?

Da più parti tende ad essere confermata l'opinione che il Covid lascerà un'ombra lunga nell'orizzonte psichico di ragazzi e adulti, che richiederà un'elaborazione a livello comunitario ed individuale che presupponga tempi affatto brevi: parliamo di almeno un paio di annate, dopo la definitiva “uscita dall'emergenza”. Immagino che quindi sarà importante confermare, se non implementare, i servizi mirati alla consulenza e all'ascolto, soprattutto entro contesti non clinici (quindi più facilmente accessibili ad una tipologia di utenza come quella rappresentata dai giovani e giovanissimi). Ho poi avuto modo, in questi quindici anni di attività a stretto contatto con le famiglie e i minori, di apprezzare il plusvalore offerto da quei progetti nati sotto l'egida della “peer education”, in virtù della quale sono i ragazzi stessi, dopo un'opportuna formazione svolta dai professionisti di settore, a porsi come interlocutori privilegiati di altri giovani, bisognosi di confronto (per l'appunto, di tipo paritario) su temi che non sempre trovano spazio e aperto dibattito in famiglia: uso di sostanze, sessualità, condotte a rischio. Infine, voglio ricordare l'encomiabile sforzo prodotto dalla più parte dei docenti per assicurare un servizio comunitario fondamentale come quello rappresentato dalla formazione ed educazione dei giovani; ritengo sia doveroso preventivare nuovamente servizi di supporto a medio e lungo termine anche a questa categoria di operatori, da lungo tempo soggetta ad alto rischio di burn-out professionale e psicopatogenesi (come indicato dalle ricerche sul campo effettuate dal Prof. Lodolo D'Oria, iniziate in tempi decisamente meno sospetti, a partire dai primi Anni 2000).

Ringrazio per l'attenzione dedicata e mi auguro di poter nuovamente incrociare il mio percorso con questa Redazione, avendo ulteriore occasione di confronto e riflessione. 

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