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Divieto di fumo nelle prigioni inglesi: boom di sigarette elettroniche tra i detenuti

La curiosa situazione delle carceri britanniche: ecco che cosa ci può insegnare

Le sigarette elettroniche sono sempre più utilizzate nelle prigioni britanniche da parte di un alto numero di detenuti, che usano le e-cig al posto del tabacco. La notizia è senza dubbio positiva, viste le potenzialità dello svapo anche come strumento per dire addio al fumo tradizionale. Tutto è nato in seguito all’introduzione nelle carceri anglosassoni del divieto di fumo, parziale o totale, al quale i detenuti hanno reagito in modo positivo, dotandosi di prodotti alternativi. Vediamo subito com’è andata.19686 svapo in prigione

Le politiche antifumo

Tutto ciò è emerso da una ricerca che da poco è stata pubblicata su Nicotine and Tobacco Research, il cui obiettivo era quello di stilare un bilancio a proposito delle politiche antifumo che, in tutte le case circondariali della Gran Bretagna, sono state attuate tra il 2015 e il 2018. Le leggi inglesi hanno preso spunto dalla constatazione del fatto che nelle carceri la media dei fumatori è 5 volte più elevata rispetto alla media nazionale: per questo motivo è stato previsto il totale divieto di fumo nelle carceri chiuse e il parziale divieto di fumo nelle carceri aperte, dove comunque il consumo di tabacco era permesso unicamente in spazi dedicati.

Le conclusioni dello studio

Si tratta di una buona notizia, che dimostra ancora una volta i vantaggi offerti dallo svapo lungo la strada che viene percorsa da chi cerca di dire addio al fumo tradizionale. Ma torniamo alla ricerca condotta in Gran Bretagna e alle conclusioni offerte dagli studiosi, secondo i quali le politiche antifumo mettono a disposizione una preziosa opportunità per favorire la cessazione permanente, anche in un contesto particolare come quello di un istituto penitenziario, frequentato da gruppi che – per così dire – sono altamente svantaggiati. Il quadro, però, è in chiaroscuro: secondo gli autori di questa indagine, infatti, sarebbe possibile e opportuno fare di più al fine di istituire e mettere in pratica una politica antifumo in tutte le case di detenzione, secondo una strategia coerente che aiuti chi sta in carcere a dire addio al consumo di nicotina e al fumo anche una volta che l’esperienza in prigione si sarà conclusa.

I motivi e i tassi della ricaduta

In altre parole, sarebbe molto importante focalizzarsi sui motivi della ricaduta e sui tassi che caratterizzano questa eventualità, sia in corrispondenza del trasferimento negli istituti aperti che in seguito al ritorno in libertà. Quasi tutti i detenuti fumatori – è stato messo in evidenza dalla ricerca – ricorrono alle e-cig con l’obiettivo di riuscire a gestire la propria dipendenza dalla nicotina: proprio per questo motivo sarebbe auspicabile cercare di promuovere l’astinenza dal tabacco sul lungo periodo riservando una specifica attenzione al vaping come sostituto del fumo, sfruttandolo come strumento per limitare i danni correlati al tabacco in questa fascia di popolazione. Un discorso che, ovviamente, potrebbe valere anche nel nostro Paese.

Il divieto di fumo? Un grande successo

In base ai dati che sono stati forniti, l’introduzione del divieto di fumo negli istituti penitenziari chiusi si è rivelato un importante successo, anche se non sono mancate le segnalazioni relative a una scarsa disponibilità di sostegno per l’addio al fumo. Una quota consistente dei consumatori di tabacco che si trovava nelle carceri chiuse, pari a quasi l’80%, ha usato le e-cig per riuscire a gestire la propria dipendenza da nicotina nel corso della propria permanenza nell’istituto. Il successo non è stato altrettanto significativo nelle carceri aperte, soprattutto perché in tali contesti sono stati registrati elevati tassi di ripresa delle sigarette da parte dei detenuti che, appunto, passavano da un istituto chiuso a un istituto aperto. Numerosi soggetti intervistati hanno comunque messo in evidenza che a loro avviso il divieto totale avrebbe dovuto essere applicato anche nelle carceri aperte. Gli intervistati erano tutti individui che ricoprivano ruoli operativi e significativi nella messa in pratica delle politiche contro il fumo negli istituti penitenziari.

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