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Bassi stipendi e inflazione, gli scenari di Carlo Cottarelli

Nella nota sulla congiuntura con le previsioni sull’economia italiana fino al 2024 emerge una crescita annuale del pil pari allo 0,6% nel 2023 e un’inflazione in leggera discesa sul mese di gennaio 2023 pari al 10,1%. Tuttavia persistono dei fattori critici come il basso potere d’acquisto delle famiglie e il grosso peso del cuneo fiscale sul costo del lavoro.

Ne abbiamo parlato con il senatore Carlo Cottarelli, economista ed ex direttore del dipartimento Affari Fiscali del Fondo Monetario Internazionale. Dal 2017 è direttore dell’osservatorio sui Conti Pubblici italiani dell’Università Cattolica di Milano e visiting professor presso l'Università Bocconi nel corso Fiscal Macroeconomics.carlo cottarelli2

Con l'insediamento del governo Meloni nei primi 100 gg la borsa ha registrato un 20% in pi%, spread al ribasso e una stima di crescita  del pil per il  2023.  Questo trend è dovuto alla stabilità del governo e alle sue politiche o ci sono fattori internazionali che stanno trainando?

Partiamo col dire che io avevo previsto quello che sta accadendo, non sono mai stato tra gli economisti catastrofisti che ipotizzavano in autunno la tempesta perfetta.  Nei miei precedenti interventi nei trimestri passati, avevo detto che ci sarebbe stato un rallentamento, ma non una pesante recessione.

Quindi a mio avviso, qualcuno è stato troppo pessimista. C’ è un rallentamento in corso dovuto al fatto che i tassi di interesse son aumentati e l’impatto dell’aumento dei prezzi delle materie colpisce alcune  categorie che spostano le risorse verso i paesi produttori. Ma non è una catastrofe.

La performance dell’economia italiana non è particolarmente buona ma nemmeno così particolarmente negativa.  Era quello che si poteva prevedere. Nessuno ha un merito particolare.

Il governo in termini di gestione del bilancio dello stato, in particolare  di deficit e andamento del debito pubblico ha adottato un approccio abbastanza prudente, sostenuto da quasi tutto il Parlamento.

Infatti gli obbiettivi di deficit pubblico per il prossimo triennio  contenuti nella nota di aggiornamento nel documento di economia e finanza sono stati sostenuti da tutte le forze politiche, tranne dal movimento dei  5 stelle.

Il Governo è andato in continuità con l’esecutivo Draghi in termini di gestione complessiva del bilancio.  Ovviamente all’interno della manovra l’esecutivo ha inserito delle azioni identitarie tipiche di un governo di centro destra come la flat tax, il taglio delle tasse sui guadagni in conto capitale. Ha preferito dare risorse a famiglie e imprese piuttosto nella spesa pubblica per pubblica istruzione e sanità soprattutto.

Tutto questo senza mettere a rischio i conti pubblici.

Il governo ha continuato in alcune misure gli  sgravi e i bonus dei precedenti esecutivi. Sarebbe necessario un shock fiscale per aumentare pesantemente le retribuzioni dei lavoratori. In un bilancio dello stato molto rigido sul tema delle entrate, per diminuire il cuneo fiscale senza far saltare i conti bisogna aumentare la base imponibile, ovvero aumentare il pil o agire sulla lotta all’evasione?

 Non c’è dubbio che la crescita aiuta a fare tante cose ma anche vero che per abbassare le aliquote di tassazione, bisogna seguire 2 strade:

  • aumentare la spesa meno rapidamente rispetto alla crescita del pil;
  • recuperare il gettito fiscale dall’evasione fiscale.

Altrimenti bisogna andare in deficit.

Questa legge di bilancio non fa nulla in sostanza per ridurre l’evasione e questa è una grande omissione.

Sul fronte del taglio della spesa bisogna sottolineare una questione: sono stati fatti dei tagli lineari sulla spesa per la pubblica  istruzione e sanità. Sono misure che vanno a toccare tutti  indistintamente, come l’inflazione che colpisce tutti soprattutto i ceti più poveri.

Il ministro Valditara ha parlato di gabbie salariali. Esiste un problema di differenza di potere di acquisto per un docente che guadagna 1500 euro a Milano rispetto ad una provincia  del sud (per esempio). Come si può affrontare concretamente questo problema?

Prima di tutto non si tratterebbe di gabbie salariali, ma sarebbe solo un aspetto della retribuzione che è diverso in relazione al luogo in cui si vive, come può essere una piccola o una  grande città.

Parliamo di una compensazione relativa al costo della vita.  E’ un principio di buon senso garantire l’uguaglianza in termini di potere d’acquisto correggendo o dando di più laddove lo stesso  è più basso. Ovviamente occorre tenere in conto in questa valutazione di altri fattori,  come la disponibilità dei servizi pubblici.

Nel dibattito sul reddito di cittadinanza, non si è arrivati ad un reale miglioramento dello strumento.  Le destra lo considera un fallimento per come è strutturato, il movimento 5 stelle sostiene che  è una  misura fondamentale  per trovare lavoro unitamente ad  una riforma seria tramite le politiche attive del lavoro.  La chiave di lettura non è riconducile al fatto che il datore di lavoro non garantisce una retribuzione equa al lavoratore. Come si può risolvere questo problema?

Queste forme di reddito minimo  garantito esistono in tutta Europa, ma sono tipicamente gestite a livello locale perché  si conoscono meglio le situazioni del mondo del lavoro, il costa della vita e la disponibilità del livello di servizio pubblici e addirittura nella città più  piccole le amministrazioni comunale sanno  chi sono i poveri.

 L’errore che è stato fatto sul reddito di cittadinanza è stato quello di volere centralizzare qualcosa che porta delle forti diversità a livello locale e quindi a dare meno al alcune categorie rispetto ad altri,  come ad esempio  chi vive in città o i  casi dei  single avvantaggiati rispetto alle famiglie con figli.

Il reddito  è uno strumento che va garantito. Nessuno deve morire di fame, ma bisogna farlo bene e gestirlo a livello dei Comuni.

Un tema molto critico nel dibattito in Lombardia è il tema delle liste di attesa della sanità, con uno scontro politico molto serrato. Il centro sinistra rimarca il problema mentre la maggioranza sostiene che è un problema nazionale dovuto ai tagli  sulla spesa dei precedenti dei Governi. Cosa ne pensa?

Purtroppo è difficile fare confronti perché  Regione Lombardia non pubblica i dati sulle liste d’attesa. Senza avere una dimensione numerica diventa complicato fare delle analisi   e si può raccontare qualsiasi cosa sull’ andamento della sanità.

Se guardo alcuni indicatori raccolti dal collegio Sant’Anna di Pisa, si sono fare dei confronti tra performance di diverse regioni su diversa dimensione.

Il monitoraggio viene fatto su 11 regioni e la regione Lombardia è al settimo/ottavo  posto. In termini di dimensioni si sta facendo peggio rispetto ad altre regioni. Un dato significativo è il numero dei pazienti per medico di base in Lombardia che è il più alto in Italia. Ma si possono fare altri confronti e la regione non ne esce bene rispetto ad altri territori. Non è un discorso di colore politico perché in Veneto, per esempio la situazione è migliore.

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