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Libia nel 1963: racconto del pioniere ENI

LIBIA, racconto del Pioniere ENI Gildo Da Rold (classe 1927)

Dopo il rientro dal Marocco e terminato il periodo di riposo legato al contratto, ripresi servizio nella mia unità, alla fine del mese di Agosto 1962. Partecipai a diversi corsi di aggiornamento, ed in seguito venni impiegato, in qualità di supervisore, al controllo operativo di alcune squadre sismiche straniere (inglesi, francesi e tedesche) che, a quel tempo, operavano nell'Italia centrale e meridionale.

Libia 163Nell'estate del 1963, mi venne proposto un contratto di due anni, per operare in Libia, nella Concessione 100, situata nel deserto della Cirenaica. Le condizioni economiche erano molto migliori di quelle del Marocco ed io accettai. Verso la fine di luglio, un aereo a reazione (il Caravelle di costruzione francese, da poco acquisito dall'Alitalia) mi sbarcò a Benghazi. All'aereoporto venni accolto dal responsabile delle operazioni sismiche in Libia (una degna persona con il quale ebbi contatti di lavoro per tutta la mia attività nella Società, fino al giorno in cui andai in pensione e oltre), che mi accompagnò a cenare in una specie di pensione, gestita da una signora italiana piuttosto robusta, (sopranominata la Verginon).

A detta del mio interlocutore, questa pensione era l'unico posto, in tutta Benghazi, in cui si poteva mangiare qualcosa di simile al cibo italiano. Anche le stanze in cui dormii, per i poche giorni che rimasi in città, erano al più basso livello possibile. Cominciai cosi a capire perché le condizioni economiche erano più favorevoli. Nulla a che vedere con gli alberghi in cui ci fermavamo a Casablanca. Ciò contribuì a far accorciare il più possibile la permanenza nella città durante i viaggi di andata e ritorno dall'Italia o dal campo. La foto mostra il centro della città di architettura italiana pre guerra ed una zona del porto.

Terminate le pratiche burocratiche, fui accompagnato all'aeroporto di Benghazi e imbarcato su un aereo DC 3 in partenza per una zona, ubicata a sud di Benghazi, che sulle carte inglesi era indicata come SEA SAND. In un determinato punto di tale MARE DI SABBIA era ubicato il nostro campo, denominato C 3, che si raggiungeva dopo circa 2 ore e 15 minuti di volo.

campo libiaL'aereo DC 3 (altrimenti detto DAKOTA MARCIO, perché ogni tanto ne cadeva qualcuno) era, a quel tempo, l'aereo più utilizzato nel mondo. Durante la guerra del 1939-1945 era stato utilizzato da Americani e alleati, su tutti i fronti di guerra d'Europa e del resto del mondo, come trasporto truppe e bombardiere a medio raggio. Venduto dagli Americani, dopo la fine delle ostilità, a poco prezzo, venne adattato come aereo civile in quasi tutte le zone più povere del mondo. Una versione modificata ed abbellita (DC4 vedi foto) volò in America e nel resto del mondo per parecchi anni dopo la fine della guerra, finché non venne sostituita dal DC 6, aereo molto più grande e moderno.

Nel nostro caso, i DC 3 utilizzati in Cirenaica da una compagnia creata da ex piloti di guerra olandesi, erano del tipo più spartano possibile. Metà dello spazio interno dell'aereo serviva per trasportare, ai vari campi petroliferi, viveri e attrezzature di ricambio. Nella parte anteriore, divisi dal resto dell'apparecchio da una rete di canapa, erano sistemati dei sedili di tela, in numero variabile, (da 2 a 8) secondo la quantità dei passeggeri da trasportare.

L'atterraggio al campo, su una specie di pista di sabbia spianata da un caterpillar (vedi foto a lato), fu perfetto. L'aereo era equipaggiato con pneumatici senza battistrada, ma molto più alti e larghi di quelli normalmente utilizzati dai normali DC3. Il personale del campo, in gran parte a me sconosciuto, ma a conoscenza del mio curriculum lavorativo, mi accolse benevolmente.
Il campo, sistemato fra due catene di dune, era quasi una fotocopia di quello del Marocco, per cui non ci fu nessun problema di ambientamento. Completamente diverso era il panorama esterno.
Nessuna variante alle dune di sabbia, del tipo "Toit d'usine, tetto di officina", con un lato in salita lunga e abbordabile e quello in discesa ripidissimo, che si estendevano in direzione Nord-Sud, per centinaia di chilometri. A volte per cercare un passaggio con una discesa meno ripida, quindi abbordabile anche ad automezzi molto pesanti(p.e. le perforatrici) si dovevano percorrere parecchi chilometri.

Al ritorno da una delle prime ricognizioni nell'area, alla guida di una jeep, con il capo seduto al mio fianco, che mi aveva accompagnato nella zona di lavoro, per farmi vedere in che luogo e come lavoravano le squadre dei topografi, della perforazione e della registrazione, arrivammo sulla cresta della duna che dominava il campo.

La discesa che avevamo davanti era veramente vertiginosa. Il capo (un toscanaccio!) discese dal mezzo e, a mo di sfida, mi disse: se la sentirebbe di scendere da quassù? Se mi fossi rifiutato, sarei stato sicuramente sfottuto al ritorno al campo. Risposi che non c'era problema. Ingranate le ridotte, partii. Il capo, preso in contropiede, si mise a correre a fianco della jeep, urlandomi: ma è matto, si fermi, ha famiglia, è molto pericoloso. Io, che sentivo la jeep scivolare verso il basso senza poterla fermare e cercando di guidare al meglio, perché la macchina non si mettesse di traverso con il rischio di rovesciarsi, continuai imperterrito la pericolosa discesa fino a raggiungere, finalmente, la zona piana.

vipera cornuta libiaPer tutta la campagna di Libia, (nel frattempo un collega che viaggiava come passeggero su un gippone, guidato da un autista di un'altra unità della Società, in una situazione simile, era deceduto per aver colpito, alla fine della corsa, con il viso il corrimano in ferro, al quale si doveva aggrappare il passeggero), cercai sempre di evitare situazioni di rischio come queste, magari allungando il percorso di rientro al campo di parecchi chilometri.

Una caratteristica negativa di questa zona libica era la pressoché totale assenza di selvaggina. Io non ricordo di aver mai visto gazzelle o altra selvaggina simile, ne sciacalli o iene, che abbondavano in MAROCCO. Gli unici animali presenti, ma raramente visibili, erano i "fenek" (piccole volpi color sabbia) ed i "topi del deserto" con la coda, sempre verticale, che finiva con una specie di spazzolina. Al contrario c'era una notevole quantità di vipere cornute (vedi foto), che viaggiano trasversalmente sulla sabbia lasciando, al mattino, tracce ben visibili.

La vita al campo era sempre la stessa: lavorare, nutrirsi, dormire. Niente fraccette, ne selvaggina(salvo qualche passo di pernici africane che non si fermavano). Dopo la cena, si faceva qualche partita a carte, magari un poker. C'era anche una rete da palla a volo per sgranchirsi un po', giocando di sera dalle 18 alle 19, spesso con temperature che superavano i 40°. Poi c'erano sempre degli imprevisti.

vipera cornuta libiaUna sera, al calar del sole, io ed un collega eravamo fuori dalla roulotte con una sigaretta in bocca, chiacchierando del più e del meno. Io avevo appena fatto una doccia ed ero con gli zoccoli di legno ai piedi. Improvvisamente il collega mi disse: non ti muovere, hai una vipera cornuta che ti sta passando fra gli zoccoli. Abbassai lo sguardo per seguire i suoi movimenti e per nulla preoccupato, la vidi allontanarsi.

I rifornimenti di viveri (per via aerea), di acqua e di carburanti(via terra) avevano una cadenza settimanale. In un pomeriggio qualunque arrivò l'autobotte della benzina. L'autista ed il suo aiutante scesero dopo aver parcheggiato l'automezzo abbastanza lontano dalle roulottes. Si sedettero sulla sabbia per prepararsi un the, vicino al bocchettone d'ingresso della benzina. Gli infilarono un straccio abbastanza grosso, lo estrassero gocciolante di benzina e lo accesero per far bollire l'acqua. Il fuoco incendiò non solo lo straccio ma anche tutto il percorso fatto gocciolando, che terminava giusto sotto il bocchettone.

incendio autobotteNon essendo chiuso, dal suo orifizio cadevano ancora gocce di benzina, ma in più fuoriusciva anche molto gas che si era formato nella botte a causa degli sbattimenti della benzina causati dal lungo percorso per arrivare al campo. Fu questione di un attimo e l'automezzo fu avvolto dalle fiamme. I due libici si allontanarono a velocità supersonica gridando. Coloro che erano al campo, compreso il sottoscritto, si posero al riparo delle roulotte in attesa dell'esplosione, che per fortuna non avvenne, forse perché il bocchettone era aperto. La foto che segue è piuttosto significativa. Il fuoco durò parecchie ore ed alla fine rimase, sul terreno, solo una carcassa nera.

Anche in Libia, come in Marocco, i turni lavoro-riposo erano rimasti identici: 72 giorni consecutivi in deserto, 28 giorni di riposo (compresi i viaggi). In uno di questi ritorni al campo, ci trovammo io ed un collega di Asti all'aeroporto di Benghazi. Ci imbarcammo su uno dei soliti DC 3, che partì regolarmente per la sua destinazione. Dopo circa 2 ore e mezzo di volo avrebbe dovuto atterrare al campo, invece mi accorsi che stava facendo un largo giro che non era nelle consuetudini del volo.
Il mio collega dormiva ed io mi volsi verso il finestrino, guardai in basso ma non riuscii a vedere il campo. Alzando gli occhi all'altezza dell'ala, mi accorsi che l'elica del motore di destra era completamente ferma mentre l'aereo volava molto più lentamente. Svegliai il mio collega e gli dissi di guardare l'elica. Spaventatissimo, rimase di stucco.

Io invece ero, stranamente, abbastanza tranquillo. Dal mio seggiolino potevo vedere il pilota che conduceva l'aereo senza particolari problemi, salvo fumare una sigaretta dietro l'altra. La quota di volo era intorno ai 3000 piedi. Il tempo non passava mai. Finalmente riuscimmo a raggiungere il Jebel (rilievo a Sud di Benghazi). La quota di volo era così bassa che con le mani avrei potuto toccare la vegetazione. A quel punto cominciai ad avere qualche preoccupazione per l'atterraggio. Di solito, negli aerei ad elica, una volta toccato il terreno, il pilota dava il contropasso alle eliche, che frenavano l'aereo, aiutando l'azione dei freni sulle ruote. Nel nostro caso attuale, funzionando solamente il motore di sinistra. con questa operazione l'aereo avrebbe sbandato e sarebbe finito fuori pista, dove il terreno era pieno di sassi.

Quello che avevo previsto accadde. Il nostro bravo pilota fece un atterraggio perfetto, ma l'aereo, inseguito dalle ambulanze e dalle macchine dei pompieri, cominciò a sbandare sulla sinistra, usci di pista e viaggiò sui sassi saltellando paurosamente, finché finalmente riuscì a fermarsi. Il pilota aveva fumato almeno tre pacchetti di sigarette. Tutto è bene, quel che finisce bene. Il tempo di trasferire, su un altro aereo simile, tutto il materiale destinato ai campi e poco più di un'ora dopo ripartimmo per la nostra destinazione che raggiungemmo senza ulteriori problemi.

Durante uno dei controlli dell'attività delle unità di perforazione e registrazione, un collega, effettuando una piccola deviazione, mi portò a vedere i resti di un aereo da bombardamento italiano SM79, utilizzato durante l'ultima guerra mondiale. Di ritorno da una azione di guerra, il pilota, forse a causa del ghibli o per altri motivi, aveva perso la rotta ed era stato costretto ad effettuare un tentativo di atterraggio di fortuna in quella parte del Mare di sabbia.aereo caduto libia

La manovra era riuscita abbastanza bene. Nessuno era morto. Forse qualcuno poteva avere delle fratture. Probabilmente la radio non funzionava e non sappiamo che stagione fosse. Tre di loro (due forse feriti ed un terzo che si fermò per aiutarli) si stesero all'ombra di un'ala. Il quarto aviere si avviò, in direzione di Benghazi, con la speranza di arrivare almeno alla fine delle sabbie, al di là delle quali, nel deserto diventato Serir (superfice solida composta da terra e sassi). era presente una pista, parallela alla fune delle sabbie. Percorsa giornalmente dai camion militari carichi di rifornimenti e da altri mezzi, la pista collegava Benghazi con l'oasi di Giarabub, dove reparti del nostro esercito, in inferiorità numerica, opposero una accanita resistenza, prima di arrendersi alle truppe inglesi.

Quanto fin qui esposto, a parte la presenza dell'aereo, è solo una supposizione su quello che decisero i componenti, dovuta al fatto che, al momento della scoperta dell'aereo da parte dei colleghi, tre di loro, mummificati, furono trovati sotto l'ala dell'aereo. Le salme, erano perfettamente intatte, come pure le loro divise. L'aviere partito a piedi, venne trovato, mummificato, alla base dell'ultima duna, a oltre la quale passava la strada succitata. Nessuno dei corpi mostrava segni di attacchi di animali e l'aria secca del deserto li aveva perfettamente conservati.

Nella foto a destra. si nota che la parte anteriore dell'aereo è priva dei motori, staccati dai nostri meccanici e trasportati al campo. Durante le ore di riposo, il motori era stati smontati per carpirne i segreti. Anche l'armamento dell'aereo, aveva fatto la stessa fine.

Come è noto le dune del deserto, sotto l'azione del vento, continuano a spostarsi e modificarsi. Durante il loro lavoro le nostre squadre si imbatterono in un certo quantitativo di fusti pieni di benzina, nascosti sotto una duna da un colonna di esploratori inglesi, che precedevano l'avanzata del loro esercito. Chissà come sarebbero serviti al nostro esercito, sempre carente di carburanti, a causa dei sottomarini nemici che affondavano continuamente le navi italiane che tentavano di attraversare il Mediterraneo Nel nostro caso attuale invece la benzina non poté essere utilizzata, perché troppo povera di ottani e quindi non adatta ai motori di quel tempo.
Nella Concessione 100, operava anche un secondo gruppo sismico, denominato C4. Era trascorso un anno dal mio arrivo in deserto e la ricerca volgeva al termine. La perforazione non aveva dato i risultati sperati e di conseguenza, per portare a termine il programma previsto bastava un solo Gruppo sismico. Il C4 venne chiuso e parte del suo personale, quello il cui contratto era in scadenza venne rimpatriato. Anche nel gruppo dove lavoravo vennero rimpatriati quelli in scadenza di contratto. Il personale rimasto il Libia, fu sufficiente per formare un nuovo gruppo e le operazioni continuarono regolarmente fino al termine delle operazioni (Fine Novembre 1964):

Durante l'ultimo periodo di lavoro, essendoci meno materiale e personale da trasportare, a volte al campo atterravano i DC3, ma qualche volta erano sostituiti da un aereo molto più piccolo, il bimotore De Havilland, con le ruote di piccolo diametro, per cui le due eliche quasi toccavano la sabbia. Uno dei nuovi arrivati al nostro campo, si era portato con se un piccolo cane il quale, quando arrivavano i DC3, si metteva a correre a tutta velocità davanti all'aereo e si fermava solo dopo essere stato superato dall'ala dell'aereo. Fece la stessa manovra anche quando arrivò il De Havilland. Purtroppo quando l'elica di sinistra arrivò sopra il povero cane, lo affettò come un salame, con grande disperazione del proprietario e di tutto il personale del campo.

oasi giarabut libia

In pochi giorni caricammo tutto il materiale sugli automezzi e alla mattina della partenza i libici smontarono il loro campo di tende ed il grande tendone, che conteneva viveri e bevande (ormai in quantità molto ridotta) ed i resti dei ricambi meccanici occorrenti per per poter operare al meglio. Quando cominciarono a sollevare il grande telo che faceva da pavimento a tutto il materiale, ci fu un fuggi fuggi generale, perché, da sotto il telone, decine e decine di vipere cornute, che si erano riparate dal freddo, si misero contemporaneamente in movimento verso ogni direzione. Passato il pericolo, il gruppo si mise in movimento per raggiungere BENGHASI, puntando come prima tappa sull'oasi di GIARABUB (vedi foto) che venne raggiunta prima del tramonto.

Per non avere problemi, non ci avvicinammo troppo all'oasi, poiché era la patria della tribù dei Senussi, luogo dove era nato l'Emiro Idris Senussi, che dal 1920 al 1943, combatté contro gli Italiani che nel 1911, sconfiggendo i Turchi occupanti, erano sbarcati in Libia. Gli inglesi dopo aver spinto l'Armata Italo-tedesca fuori dalla Libia, nominarono l'Emiro Idris Senussi Re della Libia e lo insediarono a Tripoli. Ad onor del vero, Re Idriss, si dimostrò molto saggio e non impedì agli Italiani di ritornare a lavorare in Libia.

La mattina seguente, di buonora, riprendemmo il cammino, Risalendo verso nord, senza particolari problemi tecnici, arrivammo nel primo pomeriggio, ad imboccare la strada litorale asfaltata, costruita prima del 1940, dagli Italiani, per unire la frontiera Libia-Egitto con quella Libia-Tunisia. Congiungeva tutte le città ed i paesi fronteggianti il mare. L'asfalto era quasi distrutto e la carreggiata era molto stretta.Era percorsa da autocarri, il più delle volte vecchi camion Fiat, costruiti prima del 1940, maledettamente carichi, che andavano al massimo delle loro possibilità. Ogni volta che si incontravano, occorreva uscire con tutta la colonna dalla carreggiata. per evitare inconvenienti. Arrivati nelle vicinanze della città di Tobruk ci fermammo per la notte.benghazi

Al mattino successivo, riprendemmo il cammino e prima di sera superammo di qualche chilometro la cittadina di Derna e facemmo un'altra sosta. Eravamo arrivati così all'ultima tappa da percorrere per arrivare a Benghasi. La strada passa va molto vicino a Cirene, (antica città greco-romana) dove ci fermammo per ritrarre qualche scorcio delle rovine.
A sera arrivammo a BENGHAZI, fine del nostro viaggio e parcheggiammo roulotte e automezzi nel recinto dell'officina/magazzino della Società, dove motori e mezzi sarebbero stati controllati ed eventualmente revisionati, per essere pronti ad essere trasferiti, via terra, in Tunisia.

Il giorno successivo, coloro che avevano terminato il contratto e quelli che non sarebbero stati trasferiti in Tunisia, rientrarono in Italia. Io, gli autisti ed pochissimi altri, fummo alloggiati in un Hotel della città con annesso casinò, che ci fece perdere molte ore di sonno e per fortuna non molti soldi. I croupiers erano tutti italiani.

SabrathaRicordo una sera, stavo perdendo una settantina di sterline libiche, a quel tempo una bella sommetta. Il croupier di turno si accorse della situazione.
Mi fece sedere vicino a lui e mi chiese quali numeri volessi giocare. Gli risposi: serie e numeri (due settori distinti della roulette) come avevo giocato fino a quel momento.
Non so come facesse, ma da quel momento la pallina cominciò a cadere con una certa frequenza nei due settori ed in poco più di mezz'ora ero in vincita di 70 sterline. Mi alzai dal tavolo, lasciai la solita mancia per il personale ed il giorno seguente invitai a pranzo dalla Virginon il croupier. Nell' albergo in cui alloggiavamo il cibo era pessimo. Eravamo arrivati alla fine di novembre 1964 e dopo 20 giorni circa, nell'officina i lavori erano terminati e macchine e roulotte pronte.

tripoliRipartimmo per Tripoli, raggiunta dopo 5 giorni di viaggio, durante i quali trovammo il tempo di visitare velocemente la rovine Romane di Leptis Magna. Vedi foto a sinistra. A Tripoli ci fu l'occasione di vedere una porta del Castello ed uno scorcio della Medina, la città vecchia. (Vedi foto) 

I documenti per espatriare con la carovana, furono pronti in 2 giorni. Ripartiti all'alba, facemmo un breve sosta per dare un'occhiata alle rovine romane, magnifiche, di Sabratha.

SabrathaSuperata senza grossi problemi la frontiera fra Libia e Tunisia, raggiungemmo Ben Gardane, (cittadina vicina all'isola di Djerba,ora diventata un centro turistico), futura sede del Gruppo sismico per un rilievo da effettuare in un paio di mesi.

Lasciate in loco le roulotte e le macchine in buono stato, con due perforatrici che avevano qualche problema meccanico e due macchine leggere, raggiungemmo Tunisi nella tarda serata.

Dopo un paio di giorni, espletate la pratiche per lavorare in Tunisia, presi l'aereo e fui a casa in tempo per poter festeggiare l'ultimo giorno dell'anno 1964 con la mia famiglia.

La seconda campagna nel Deserto era terminata.

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