Troppe morti sul lavoro
I vari mass media ci tengono informati anche su questo dramma del morire sul posto di lavoro, da gennaio a oggi, nella nostra terra di Lombardia, nove decessi per incidente, ben sei al mese. Centocinquantuno dall'inizio del 2018 nel nostro Paese. Inaccettabile!
Indubbiamente c'è qualcosa che non va, non è possibile accettare né rassegnarsi a questo stato di cose. Stracciarsi le vesti e programmare scioperi e fiaccolate in memoria, non è più sufficiente, ammesso che lo sia mai stato. E queste morti sono quelle che si sanno, è possibile che ve ne siano di sconosciute che non hanno l'onore della cronaca perché sono operai "fantasma", ingaggiati alla giornata o senza nessuna garanzia. Poi seguono le indagini, a volte complicate, e l'incriminazione, che poi magari si trascina per anni con rimpallo di responsabilità, finendo, a volte, in un nulla di fatto.
Nei documenti che sto consultando leggo di statistiche che riportano numeri che si mettono in rapporto ad anni precedenti, ma questo, a mio avviso importa poco, quello che veramente è importante è capire le cause e risolvere i problemi che portano a queste dolenti morti.
Nelle indagini che seguono a un decesso sul lavoro si sente spesso il termine " errore umano", è possibile, ma bisogna chiedersi da cosa e da dove nasce questo errore. Leggo che il 60% degli infortuni avviene per mancanza di informazioni sulle procedure lavorative, allora mi chiedo: è così difficile fornire queste informazioni, soprattutto oggi che molta mano d'opera è straniera? I corsi sulla sicurezza che vengono fatti, trovano poi una corretta applicazione? Chi deve vigilare perché tutte le norme di sicurezza siano applicate, svolge il proprio compito con senso di responsabilità e severità considerato che c'è di mezzo una vita umana? Altro aspetto da considerare è la responsabilità dello Stato quando, con tasse e gabelle varie, mette un' azienda, soprattutto se di medie – piccole dimensioni in notevole difficoltà nell'affrontare la burocrazia e i costi per adeguarsi alle pur giuste normative in materia di sicurezza. Il problema, come si evidenzia, non è di poco conto, tuttavia se a prevalere è la buona volontà e il senso di responsabilità di ognuno verso il proprio e l'altrui bene, risolverlo, o limitarlo a casi dovuti alla fatalità, è possibile.
Anche i Sindacati sono chiamati, non solo a vigilare, ma a pretendere, che le buone regole siamo applicate e rispettate; fare pressione non solo sull'Azienda, a volte anche sul lavoratore, ma anche sullo Stato perché agevoli e permetta che ogni lavoratore e ogni realtà produttiva possa accedere a sistemi di massima sicurezza. La Dottrina Sociale della Chiesa la paragrafo 319 del capitolo sul lavoro umano afferma:
"Cambiano le forme storiche in cui si esprime il lavoro umano, ma non devono cambiare le sue esigenze permanenti, che si riassumono nel rispetto dei diritti inalienabili dell'uomo-donna che lavora".
Questi diritti sono innanzitutto quelli di lavorare in sicurezza.
Un altro richiamo che vale la pena sottolineare è quello che si legge al paragrafo 344 del Capitolo settimo inerente la vita economica. È detto:
"Gli imprenditori e i dirigenti non possono tener conto esclusivamente dell'obiettivo economico dell'impresa, dei criteri di efficienza economica, delle esigenze della cura del "capitale" come insieme di mezzi di produzione: è loro preciso dovere anche il concreto rispetto della dignità umana dei lavoratori che operano nell'impresa".
Due richiami quanto mai opportuni.
Da parte dello Stato abbiamo il Testo unico sulla sicurezza sul lavoro, emanato con il Decreto legislativo 9 2008, n. 81. Sarebbe buona cosa portare questo testo a conoscenza anche di ogni lavoratore e di chi ha il compito di vigilare, non solo dei pochi addetti alle pratiche burocratiche.
Come si evince, il problema esiste e deve preoccupare non poco, è penoso e triste sapere che un uomo, una donna, escono per recarsi al lavoro, e qui perdono la vita. Una nazione civile non può permettere che questo accada.