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Stage gratis: il vicolo cieco dei neolaureati

E’ della settimana scorsa la notizia su David Hyde, il ventiduenne neozelandese che pur di inserire nel curriculum un’esperienza all’Onu aveva iniziato uno stage non pagato a Ginevra. 

Sulla carta il giovane stagista è perfetto: studi in Scienze Politiche a Parigi ed esperienza lavorativa in Kenya. Cosa manca a David? I soldi! E sì, ormai lo sanno tutti: se vuoi lavorare devi potertelo permettere.

Pur di coltivare il suo sogno però, l’intrepido David ha pensato di essere disposto a vivere in tenda e così ne ha montata una vicino al lago dove ha resistito due settimane prima di giungere a un punto critico per il suo orgoglio e dimettersi.

Ditemi che sono giovane e idealista, che sono stato ingenuo. Ma non credo che questo sistema sia giusto.

Una volta una persona, oltre che per mantenersi, lavorava per potersi finanziare una vacanza e soddisfare qualche sfizio. Ora si giunge invece al paradosso per cui se vuoi lavorare devi prima trovarti un secondo lavoro, altrimenti, come si dice a Milano “taches al tram e tira". L’alternativa è, quando possibile, il finanziamento dai genitori. Ormai il copione sembra ripetersi sempre più spesso e anche l'amaro conforto che queste cose capitassero solo in Italia comincia a perdere consistenza. 

Tutti infatti siamo a conoscenza della situazione lavorativa nel nostro paese e il caso scoppiato qualche mese fa dei volontari di Expo è stato solo tra i più plateali, ma constatare che persino organizzazioni come l’Onu, che dovrebbero promuovere grandi valori  e ideali nel mondo, si avvalgono di queste nuove forme di sfruttamento per trarre profitto a costo zero è quanto mai sconfortante.

Situazioni analoghe sembrano verificarsi in ogni settore e il seguente esempio parla di un ragazzo che chiamerò qui con un nome fittizio in rispetto della privacy.

Mattia, un ventiquattrenne che ha da poco completato uno stage full-time presso un consolato straniero a Milano con un rimborso spese di 300 euro, mi racconta di quando ha provato a chiedere al suo superiore se vi erano possibilità di lavorare ancora lì. Quest’ultimo gli ha apertamente riso in faccia spiegando: “Mattia tu sei bravo, ma capisci che a noi non conviene. Dopo di te verrà un altro stagista e poi un altro e così via”.

Il problema rimane sempre lo stesso: la possibilità di scegliere e di dire di no.

D'altronde in una situazione come quella attuale in cui la coperta del lavoro non riesce decisamente a coprire la richiesta, il potere contrattuale dei laureati risulta praticamente nullo. Se il posto non viene preso da un ragazzo troppo orgoglioso, ci sarà comunque qualcuno in coda pronto a farlo. Questo genera un effetto a catena non voluto: il mercato del lavoro gratis o sottopagato si allarga sempre di più in quanto vantaggioso per gli enti e le aziende, ciò rende ancora più difficili le cose per i neolaureati che così a loro volta sono più disposti a condizioni degradanti e a questo punto il circolo ricomincia.

Come si può fermare questa valanga che si abbatte sul futuro dei giovani? Difficile definire una soluzione concreta e univoca. Il processo potrebbe forse essere simile a quello che innescano i cosiddetti “consumatori consapevoli”, i quali ogni tanto sembra effettivamente che riescano a indirizzare le produzioni industriali verso standard più etici o salutari. Il processo è però lento e non privo di sacrifici, anche perché la tentazione di mangiare cibo spazzatura è sempre latente in ognuno di noi.

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