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Prevenire la criminalità giovanile: intervista al Prof Marino D’Amore

Che in Italia sia stato presente sempre il problema di un aumento della criminalità giovanile è stato sempre noto, ma come un lampo a ciel sereno, la pandemia si è abbattuta sulla vita di tutti e  ha colpito in maniera brutale  le fasce più vulnerabili :  gli adolescenti, alimentando  così il rischio di incamminarsi su  strade sbagliate.

La chiusura delle scuole, l'incremento dei disagi socio-economici, l’esposizione  dei giovani ragazzi a comportamenti criminali, indipendentemente  dai luoghi dove  vivono e dallo status sociale .

In un momento come questo, così delicato, per capire come arginare questo fiume in piena , abbiamo voluto chiedere il parere di un grande esperto in  materia, il Dottor Marino D’amore.

Marino D’Amore, laureato in Scienze della comunicazione e scienze politiche, è docente presso l’Università degli studi Niccolò Cusano.

L’adolescenza è una fase della vita molto delicata di ogni ragazzo, dove spesso si è  facilmente  cagionevoli ed esposti  a innumerevoli pericoli, uno di questi è la criminalità.marino d'amore

Secondo lei come si manifesta questo fenomeno e quanto è aumentato il rischio con la pandemia?

L’adolescenza è un momento cruciale nella vita di ogni individuo, centrale nel processo di costruzione della sua personalità. Un momento fondamentale che connette socializzazione primaria e secondaria. All’interno di questo processo diventano fondamentali i modelli di riferimento, sia genitoriali sia sociali, che costituiscono dei “copioni” da comprendere, metabolizzare e reiterare nel tempo per vivere la relazionalità tipica della società attraverso i ruoli che essa richiede.

Se tali modelli impongono una visione del mondo basata sulla violenza e la prevaricazione è lecito pensare che tale visione venga fatta propria da ogni individuo che si sviluppa in quel contesto formativo. La pandemia, in alcuni casi, ha acuito inevitabilmente tutte le criticità tipiche e insite nel vivere comune, problematiche che rimangono latenti in un periodo di normalità ma che emergono in quelli di crisi in cui, spesso, l’individualismo prevale sulla solidarietà e la condivisione.

Molti sono i fattori che influiscono su questa situazione di disagio, quali potrebbero essere i più rilevanti che spingono i giovani a fare questo e quale dovrebbe essere l’azione principale di prevenzione?

Come dicevo i modelli di riferimento sono i principali responsabili di tali distorsioni, elementi che poi si riflettono nella costruzione dell’identità e nella socialità di ogni individuo. La soluzione, in questo senso, dovrebbe essere la formazione dipanata su un processo educativo che attivi dinamiche culturali e sociali fondate sul rispetto dell’altro generalmente inteso, delle libertà e sull’accettazione della differenza.

Le scuole sono rimaste chiuse, i ragazzi hanno perso un’opportunità per apprendere e per socializzare, come lei vede la scuola, come mezzo ad ostacolare questo fenomeno?

La scuola, come la famiglia, è centrale come agenzia di socializzazione e realtà di formazione ma deve necessariamente rinnovarsi. Il concetto di scuola, primaria e secondaria, deve fare i conti con un mondo fluido, che cambia velocemente, in cui, citando Bauman, l’unica certezza è rappresentata dall’incertezza del cambiamento. In uno scenario così volubile la scuola deve sapere intercettare le traiettorie di quel cambiamento, aggiornandosi continuamente ed entrando in sinergia con le dinamiche socializzatrici delle nuove tecnologie digitali; quelle stesse tecnologie che ormai cadenzano la nostra quotidianità e hanno permesso, ad esempio, la continuazione della didattica anche nel periodo di pandemia.

 I ragazzi  molte volte , tendono a fare gruppo, nascono la baby gang,  si verificano anche fenomeni di bullismo , che significato ha per lei tutto questo e perché c’è questa  forte aggressività nella violenza giovanile?

Perché il gruppo deresponsabilizza. Quando si agisce in gruppo oltre agli intenti, alle finalità e agli interessi, anche la responsabilità viene condivisa, diluita all’interno del bisogno di appartenenza che costituisce il fondamento del gruppo stesso. Se quest’ultimo annovera la violenza come suo collante e sua esteriorizzazione principale, l’aumento numerico dei suoi componenti è inversamente proporzionale alla percezione della responsabilità degli atti che essi generano, anche di quelli violenti.

Questo spiega ad esempio perché quando ci trova davanti a un episodio di violenza, maggiore è il numero di coloro che assistono a quell’evento traumatico, minore sarà la possibilità che qualcuno intervenga per porvi fine : è quello che si chiama “effetto spettatore” e che, purtroppo, molti casi di cronaca negli ultimi tempi ci hanno raccontato.

La politica, le istituzioni, le associazioni, di volontariato, chi svolge un ruolo importante e come secondo lei intervengono e possono intervenire?

Tutte queste realtà devono intervenire, come dicevo prima, nell’attualizzare un processo di formazione culturale prima che sociale, in cui vengano posti al centro valori come il rispetto, la libertà di espressione e l’accettazione di ciò in cui non ci riconosciamo ma che dobbiamo rispettare, in cui la solidarietà sostituisca la prevaricazione, in cui il senso di comunità prevalga sull’individualismo, che rappresenta, nella sua stessa definizione, la fine inevitabile di ogni compagine sociale.

 Infine , la famiglia ha un ruolo importantissimo nella vita di ciascun ragazzo, aiutandolo nei momenti di difficoltà, però molti sono i problemi familiari, quanto è importante il ruolo della famiglia nel prevenire la criminalità?

Fondamentale. Molti comportamenti devianti nascono nell’ambito di famiglie problematiche in cui la violenza è l’unica modalità relazionale e il principale codice di comunicazione. La famiglia rappresenta la prima realtà sociale che un individuo incontra nella sua vita e come tale svolge un ruolo centrale nello sviluppo della sua personalità.

Una microsocietà armonica in ambito familiare porterà, nella maggior parte di casi, a ripetere quei comportamenti virtuosi e quelle dinamiche relazionali in un contesto sociale più ampio. Specularmente una famiglia problematica, in molti casi, rappresenterà la proiezione del mondo in cui l’individuo penserà di dover vivere in futuro e dove utilizzerà quel tipo di alfabetizzazione comportamentale distorta.

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