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Il racconto di un medico in ospedale: la battaglia tra il covid e il negazionismo

Abbiamo chiesto ad un medico una testimonianza in merito alla sua esperienza lavorativa/professionale in un ospedale del sud Italia.

La differenza tra Nord e Sud è sostanzialmente la stessa differenza che vi è tra le altre Nazioni nel resto del mondo, probabilmente più accentuata nelle situazioni di emergenza: ormai da un anno tutto il nostro lavoro viene focalizzato su questo tipo di patologia e sulla relativa problematica gestionale.

Per centrare la questione:

circa un mese fa ho visto l'episodio pilota della nuova serie di una delle tante fiction televisive americane ad argomento medico, dedicata come era ovvio fosse, agli esordi del COVID NEGLI STATI UNITI.

Sembra assurdo, ma quando è iniziata l’apocalisse tutto il mondo era nelle stesse condizioni. Anche loro, i super medici americani, erano disorientati e si sono trovati nelle stesse identiche situazioni critiche in cui eravamo noi in Italia. Gli attori mostravano come erano costretti a riutilizzare la mascherina chirurgica, conservandola in una bustina per il turno successivo. Mal comune mezzo gaudio, noi eravamo nella stessa identica condizione, ovvero con scarsissimi presidi.

La differenza è che lì dopo un mese sono arrivati presidi in abbondanza, e successivamente sono arrivati anche i vaccini, così che la vita ha continuato ad andare avanti con le solite problematiche degli USA, diverse rispetto a quelle Europee e Italiane.

Noi invece per poter ottenere dei presidi sufficienti, abbiamo dovuto aspettare circa cinque/sei mesi, praticamente in estate.

Adesso che abbiamo i presidi sono emerse ben più gravi problematiche legate alla gestione delle patologie. Molte malattie sembrano essere scomparse nello scorso inverno, alcune perché completamente bloccate dalle banali misure di prevenzione quali l'utilizzo della mascherina, altre perché purtroppo, benché spesso gravi o gravissime, vengono sottovalutate e misconosciute dal momento che tutti, sanitari e pazienti, riescono a riconoscere e a lavorare solo in funzione di questa nuova piaga biblica che ci sta affliggendo, e che comunque non siamo ancora completamente pronti a gestire con serenità.

E purtroppo neppure la gente è disposta ad affrontarla: le persone si sono già stancate ed hanno ripreso a comportarsi come se nulla fosse, non rendendosi conto dello scenario in cui stiamo affondando.

D’altra parte abbiamo vissuto anche una situazione di assurdo negazionismo che fino all’anno scorso aveva interessato persino i vertici: alcuni comportamenti che ci sono stati, trovano origine proprio in tale sede.

Per la mia esperienza personale:

Non mi si può obbligare ad accettare in reparto un paziente senza aver fatto un tampone molecolare, perché comunque il tampone antigenico che si fa all’ingresso in pronto soccorso viene ritenuto assolutamente valido.

Le situazioni paradossali vissute sul campo sono state tante, e la dirigenza continuava ad affermare che dovevamo fare riferimento esclusivamente ai tamponi antigenici, in quanto la ditta che ce li forniva, assicurava che gli stessi fossero attendibili con una percentuale compresa fra il 70 e l’89%: peccato che questo significava che 1 su 3 o 4 non era attendibile, perché successivamente risultava falsamente positivo o negativo al controllo molecolare, che noi comunque continuavamo ad effettuare, nonostante i richiami ricevuti.

E dunque ci siamo trovati a gestire situazioni potenzialmente infette, in reparti non concepiti per le patologie infettive, non essendo attrezzati con stanze di isolamento dotate di adeguate caratteristiche.

Alla fine dell’anno trascorso finalmente sono state adeguate a sufficienza alcune stanze da utilizzare come isolamento, mediamente una per reparto, i presidi sono arrivati in abbondanza, e anche noi abbiamo imparato a gestire diversamente queste situazioni. Ma soprattutto la routine ha finalmente previsto l'esecuzione di un test attendibile prima di consentire al paziente di stazionare in qualsiasi reparto.

Purtuttavia la situazione continua ad essere realmente tragica: ora ci troviamo a gestire tra “capo e collo” pazienti positivi, falsamente positivi o falsamente negativi. Non possiamo abbassare mai la guardia. Ogni paziente che avviciniamo ex novo DEVE essere considerato un malato di Covid.

Un ultimo pensiero di estremo apprezzamento va alla decisione recentemente adottata dalla dirigenza che ha preteso che tutto il personale sanitario in servizio fosse vaccinato, pena sanzioni disciplinari ed economiche.

Non può e non deve esserci posto per fantasie complottiste "No vax" fra persone di scienza che, per formazione, conoscono perfettamente quale sia stata la svolta epocale della pratica vaccinale da oltre un secolo a questa parte. Ma soprattutto è inconcepibile che persone che hanno votato la propria vita al servizio della vita altrui possano costituire un potenziale veicolo di contagio, malattia e morte.

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