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Il Discorso del vescovo Delpini ai milanesi

La sera del 6 Dicembre 2022 nella Basilica di Sant’Ambrogio, in occasione della ricorrenza del santo patrono di Milano, l’arcivescovo Mario Delpini ha tenuto, come di consuetudine, un Discorso alla Città. Avendolo seguito e ritenendolo, a mio avviso, interessante e chiaro, ne riporto alcune parti apportando un breve commento personale.arcivescovo mario delpini

Il titolo, sicuramente provocatorio, è: “E gli altri?”. Questo titolo è stato scelto “perché voglio fare l’elogio dell’inquietudine, voglio condividere l’aspetto promettente di un realismo che custodisce la speranza e che crede nella democrazia e nella vocazione della politica».

Il termine usato di inquietudine non è espresso in senso negativo e di sconfitta, ma vuole rappresentare uno stato d’animo in apprensione, incerto, di intimo travaglio; stati d’animo ben presenti nella maggioranza nell’attuale società. Tuttavia la Speranza è ancora presente, anche quella che crede nella Democrazia e nella vocazione della Politica, anche se purtroppo a volte alcuni comportamenti lasciano a desiderare.

«Mi sembra che tutti coloro che hanno responsabilità vivano quell’inquietudine provocata dall’interrogativo: e gli altri? E gli altri, i bambini che subiscono violenze e abusi? Le altre, le donne maltrattate, umiliate, picchiate in casa? E gli altri, gli anziani soli, chiusi nelle loro case per paura, per abitudine, perché impossibilitati a partecipare alla vita sociale? Gli altri, quelli che non hanno voce, quelli che abitano la città senza che noi ce ne accorgiamo? Gli altri, quelli per cui non abbiamo stanziato risorse sufficienti? E gli altri, quelli che non vanno a scuola, quelli che non lavorano? E gli altri, quelli che non hanno casa, quelli che non hanno assistenza sanitaria? E gli altri, quelli che lavorano troppo e sono pagati troppo poco? E gli altri, quelli che subiscono prepotenze, estorsioni, ricatti dalla malavita organizzata che si insinua dovunque può conquistarsi profitti e potere? E gli altri, i ragazzi che si associano per commettere violenze, per rovinare i muri della città e le cose di tutti, per rovinare la propria giovinezza e rendersi schiavi di dipendenze spesso irrimediabili?».

Su quanto riportato sopra mi pare ci sia poco da commentare, ha “messo il dito nella piaga”, e che piaga a volte! Temi che chiamano tutti, ognuno con le proprie disponibilità e competenze a porre rimedio, a intervenire con decisione non priva di carità cristiana.

L’inquietudine «che bussa alle porte della paura. La paura serpeggia nella città e nella nostra terra: è la paura di difficoltà reali che si devono affrontare e non si sa come; è la paura indotta dalle notizie organizzate per deprimere, per guadagnare consenso verso scelte d’emergenza, senza una visione lungimirante; è la paura dell’ignoto; è la paura del futuro. La paura induce a chiudersi in se stessi, a costruire mura di protezione per arginare pericoli e nemici, ad accumulare e ad affannarsi per mettere al sicuro quello di cui potremmo aver bisogno, “non si sa mai”. Alle porte della paura bussa l’inquietudine con la sua provocazione: e gli altri?».

La paura, questa presenza a volte necessaria per evitarci guai, ma illogica se priva di Speranza, se paralizza e ci chiude - rinchiude nella nostra “tana”. Nella società odierna la paura è più che mai presente e si alimenta dall’incertezza, dal vuoto e dalla confusione, da mancanza di certezze non solo concrete, ma anche trascendenti, da una relatività che annebbia e fa perdere la direzione, da troppi falsi profeti e facili ciarlatani.

«Il realismo della speranza rende desiderabile che continuino a nascere da un papà e da una mamma bambini e bambine, che siano circondati da ogni cura e introdotti nella vita come promessa di futuro. Si può comprendere così che una mentalità individualistica che censura la speranza sia tra le ragioni profonde della crisi demografica che invecchia la nostra società».

Il realismo della Speranza che a mio avviso non deve venire meno perché si realizzi quanto l’Arcivescovo ha più sopra menzionato, infatti, una mentalità individualistica che chiude in se stessi può solo portare ad una sterilità della società.

E ancora l’elogio del realismo della speranza che consente di affrontare l’emergenza educativa, non cercando «rimedi in interventi specialistici, in supporti farmacologici, in richiami moralistici. Più che di emergenza e di disagio si deve forse parlare di una invocazione che le giovani generazioni ci rivolgono: “Dateci buone ragioni per diventare adulti!”».

Dateci buone ragioni per diventare adulti, una domanda questa che pone noi adulti di fronte a una grave responsabilità e che dovrebbe portare al desiderio di dimostrare, non tanto a parole, ma con esempi di vita, quale strada percorrere per una vita bella e non una bella vita.

Qui mi devo fermare essendo un semplice articolo, tuttavia invito i lettori a leggere e meditare quanto l’arcivescovo Delpini ha sentito il dovere di annunciare alla nostra Milano e non solo, senza scordare che la domanda “ E gli altri?” rimane quanto mai attuale e in attesa di una doverosa e giusta risposta.

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