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Gazzada, Piazza Generale Galvaligi

piazza generale 1Mercoledì 31 agosto, è stata inaugurata la nuova e rinnovata piazza di Gazzada, dopo i lunghi lavori del suo recupero, con un iter burocratico lunghissimo e complesso.

I cittadini si sono riappropriati di uno spazio a due passi dal centro storico, vicino alla chiesa e con un nuovo e comodo parcheggio sotterraneo e gratuito da 40 posti auto.

Il prete a benedire, il sindaco Cristina Bertuletti ha tagliato il nastro, alla presenza del governatore della Lombardia, Roberto Maroni. Sono stati promessi nuovi fondi per altri lavori che sono attesi da tempo.

Tante, tantissime persone, venute anche dai comuni limitrofi, hanno partecipato alla cerimonia d’inaugurazione, vigili, gonfaloni, tavole imbandite, musica, bambini a sciamare in giro e palloncini che svolazzano via; una vera e propria festa cittadina.

La serata si è conclusa con una pasta all’Amatriciana, i cui proventi andranno alle popolazioni terremotate.

Fino a qui tutto nel copione più consolidato e classico di questi eventi. Manca un piccolo dettaglio, il nome della piazza: intitolata a Enrico Riziero Galvaligi. professione Generale dei Carabinieri.

La storia del Generale Galvaligi, forse ai più è sconosciuta, è solo una piazza, a cui non ci presta nemmeno troppa attenzione quando ci si passa, o si andrà a parcheggiare. Ma la sua è una figura importante, che si è stagliata ed elevata in un particolare e delicato momento storico, il periodo buio e pesante degli anni di piombo, del terrorismo a cavallo tra gli anni 70 e 80.

Enrico Galvaligi, nasce a Solbiate Arno in provincia di Varese, l'11 ottobre 1920, da padre operaio solbiatese e da mamma di Brinzio nelle prealpi varesine. Dopo essersi diplomato all'Istituto Magistrale di Varese, nel 1939 decise di intraprendere la carriera militare. Tre anni più tardi, all'età di 22 anni, entrò a far parte dell'Arma dei Carabinieri.

Durante la Seconda guerra mondiale combatté in Grecia, dove in maniera eroica salvò la vita ad un comandante dei Carabinieri. Dopo l'8 settembre 1943, non aderì alla Repubblica Sociale, venne così arrestato dai tedeschi e trasferito nel carcere di Trieste.

Riuscì a fuggire dalla prigione pochi giorni prima della deportazione in Germania, facendo ritorno a Brinzio, dove iniziò ad operare come partigiano. Si adoperò e si distinse in tutti i modi per proteggere la sua gente dagli orrori della guerra civile. Alla fine della guerra fu insignito di numerose decorazioni per il valore dimostrato.

A Brinzio conobbe una ragazza bolognese, sfollata lì, nelle tranquille e sicure prealpi, appena dietro Varese con la famiglia, Federica Bergami, che sposò nel dopoguerra. Da lei avrà un figlio, Paolo, anch'egli divenuto in seguito carabiniere.

Durante tutto l'arco della sua vita il generale ebbe un rapporto speciale con Brinzio e i dintorni: abitava in via Vittorio Veneto, proprio nel centro del paese, dove amava trascorrere i momenti di riposo dal lavoro.

A Roma nel 1949, Galvaligi conobbe un altro personaggio della sua stessa pasta e degli stessi valori Carlo Alberto Dalla Chiesa, del quale diventò buon amico. Negli anni a seguire cinquanta fu inviato ad operare a Roma, poi a Palermo contro la mafia, a Torino per le rivolte operaie e quindi di nuovo a Roma negli anni 70, per combattere la crescita del terrorismo. Collaborando spesso a stretto contatto con il generale Dalla Chiesa, ricevendo continue promozioni che lo portarono dal grado da capitano a quello di generale di brigata.

Dalla Chiesa lo nominò vice comandante del Coordinamento dei Servizi di sicurezza per gli istituti di prevenzione e pena, incarico mantenuto poi alle dipendenze del generale Renato Risi, che aveva sostituito Dalla Chiesa nel comando. La sua mansione consisteva infatti nel coordinare la sorveglianza delle carceri di massima sicurezza dove erano detenuti i più pericolosi terroristi d'Italia, tra cui i penitenziari di Trani, Fossombrone, l'Asinara, Nuoro e Cuneo. Per la sua posizione e per la sua opera Galvaligi era oggetto di ripetute minacce, ma continuò nella propria missione con assoluta dedizione e sprezzo del pericolo, in difesa delle istituzioni e nell’interesse della comunità.

Il 12 dicembre 1980, venne rapito dalla Brigate Rosse il magistrato, Giovanni D’Urso, dirigente dell’amministrazione penitenziaria al ministero di Grazia e Giustizia. I sequestratori chiesero, come contropartita per il rilascio, la chiusura del carcere di massima sicurezza dell’Asinara. E la ottennero. Ma contemporaneamente esplose la rivolta in un altro carcere di massima sicurezza, quello di Trani, dove i terroristi detenuti, sempre facenti capo alle BR sequestrarono diciotto guardie.

Galvaligi si occupò di dirigere da Roma, l'operazione più che delicata. Ordinò ai GIS, un reparto speciale dei Carabinieri, di stroncare la sommossa con un blitz, che si concluse con la liberazione degli ostaggi, la fine della sommossa, senza spargimento di sangue.

Furono questi gli eventi che portarono al suo barbaro assassinio, pochi giorni dopo, in un clima di angoscia e di paura molto simile a quello vissuto in Italia due anni prima, con il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro.

I brigatisti rossi decisero quindi di vendicare quella sconfitta di Trani e di attaccare l'importanza simbolica dell'incarico che Galvaligi ricopriva.

La sera del 31 dicembre 1980, Enrico Galvaligi fu ucciso a Roma, nell'androne del palazzo dove risiedeva, con una mitragliata sparata a breve distanza. Gli esecutori materiali furono due terroristi delle Brigate Rosse, Remo Pancelli e Pietro Vanzi, che si erano finti fattorini di un corriere espresso, arrivati a recapitare una strenna di Capodanno. Il comunicato di rivendicazione collegava l'assassinio al sequestro del giudice D'Urso. Che venne poi liberato il 15 gennaio, con modalità che ricordavano in modo tragico il rinvenimento del cadavere di Moro: fu trovato, incatenato, in un’auto parcheggiata nei pressi del ministero di Grazia e Giustizia.

Le esequie del Generale Enrico Galvaligi, furono celebrate pochi giorni dopo nella sua Brinzio, tenute dal vescovo di Como, Teresio Ferraroni. La sua salma fu tumulata nel piccolo cimitero del paese, dove riposa tuttora accanto alla moglie Federica, morta nel 2011.

Galvaligi ebbe riconoscimenti importanti, medaglia d'oro al valor civile, 2 volte la croce al merito di guerra, croce d'oro per anzianità di servizio (40 anni), oltre al distintivo di Volontario della Libertà.

A lui sono dedicate diverse strade, vie e piazze lombarde e non solo. Oltre all'istituto scolastico della natia Solbiate Arno.

Un'intitolazione più che doverosa per una persona che amava la sua terra e si è reso protagonista in positivo, al costo della sua vita, e che per un attimo ci riporta indietro nel tempo.

Facendoci ricordare anche altre due figure simili che hanno pagato con la loro vita, il loro impegno civile e che sono sepolti nelle terre insubri. L'avvocato milanese Giorgio Ambrosoli, assassinato l'11 luglio 1979 da un sicario italoamericano ingaggiato dal banchiere siciliano Michele Sindona, sulle cui attività Ambrosoli stava indagando, nell'ambito dell'incarico di commissario liquidatore della Banca Privata Italiana dello stesso Sindona. In un intreccio tra mafia, potere, banche e molto altro. Le sue spoglie riposano nel cimitero di Ghiffa sull'alta sponda piemontese del Lago Maggiore, suo amato luogo per le vacanze.

E la storia dello scrittore e giornalista del Corriere della Sera, Walter Tobagi, assassinato a 33 anni a Milano, la mattina del 28 maggio 1980, dalla Brigata XXVIII marzo, gruppo terroristico di estrema sinistra. La salma di Tobagi riposa a Cerro Maggiore, sul limite nord della provincia milanese, paese della moglie.

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