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Comunicazione sociale: ecco gli errori più frequenti

Volete sapere come mai molte campagne sociali non funzionano? Il motivo principale è che sono strutturate nel modo sbagliato, considerato che noi funzioniamo un po’ all’incontrario. Se ci dicono di fare una cosa quella diventa immediatamente e inspiegabilmente l’ultima cosa che ci viene voglia di fare. Un po’ come quando la mamma da bambini ci diceva di mettere in ordine la camera, o di apparecchiare e sparecchiare, e noi proprio per questo non lo facevamo, o se eravamo obbligati lo facevamo controvoglia. La comunicazione sociale funziona un po’ allo stesso modo, anche se entrano in funzione meccanismi più sottili e complessi. 
La maggior parte delle campagne di sensibilizzazione sono strutturate in questo modo: una frase centrale che dice: NON fate questo!”, e come sfondo un’immagine o una foto che rappresenta ciò che non dobbiamo fare. Ma una pubblicità così organizzata non funziona, e vi spiego perché.
Nel 2004 George Lakoff ha pubblicato un libro dal titolo “Don’t think of an Elephant!”, in cui ha spiegato che nell’ambito della comunicazione è fondamentale costruire un modello di idee e valori da trasmettere, e mai limitarsi a negare il frame di valori opposti: se infatti ordino a qualcuno di non pensare all’elefante, la prima cosa a cui l’altro penserà sarà proprio un elefante. E dopo che nella mente dell’altro si è attivata quella immagine sarà molto difficile togliergliela. 
Così funziona la comunicazione sociale. Prendiamo il caso di una campagna contro la violenza sulle donne, e ipotizziamo di trovarci davanti ad un manifesto in cui spicca la scritta:” Stop alla violenza sulle donne”, e come immagine il corpo pieno di lividi di una ragazza. Riprendendo il nostro ragionamento, l’immagine che si attiva nella mente delle persone che si trovano davanti al manifesto è quella di una donna picchiata, sottomessa e maltrattata, ovvero la situazione da cui ci si vuole allontanare. Il fatto di rappresentare una ragazza coi lividi, o in un angolo che cerca di proteggersi, oppure con la bocca cucita, altro non fa che confermare l’azione, che renderla più reale; mentre il “non” all’inizio della frase passa in secondo piano. Questo tipo di manifesto sulla maggior parte delle persone non avrà alcun effetto, mentre è possibile che su coloro che già compiono violenza sulle donne si scateni l’effetto opposto: quando sanno di non essere soli, i violenti si vergognano meno. Più si evidenzia che sono molte le persone a comportarsi in questo modo, meno il comportamento sembra sbagliato. 
Quando si progetta questo tipo di campagne non bisogna ragionare come faremmo normalmente, ma bisogna considerare gli effetti che si possono generare su persone che non sono lucide. Per questo sarebbe importante consultare sempre gruppi di psicologi specializzati. Lo stesso discorso vale per campagne contro l’anoressia, la droga, il bullismo e tutte le altre campagne di sensibilizzazione.
Insomma, evidenziare un problema non significa risolverlo. E sinceramente ci si aspetta qualcosa di più di una semplice negazione dell’azione da campagne sociali di interesse nazionale che trattano problematiche così profonde. 
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