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Clod the Ripper: Il mio horror? Chic

clod the ripperClod the Ripper: “Il mio horror? Chic”.

Intervista a uno dei protagonisti di Milano City Tattoo, in onda su Dmax

Si chiama Claudio De Rosa, in arte è Clod The Ripper. Un soprannome che ha scelto nel 2003 per omaggiare Jack Lo Squartatore. “Sono da sempre appassionato di serial killer”, mi spiega.

Milanese, trentanni, Clod è un tatuatore di talento: non a caso da fine 2010 collabora con Milano City Ink, uno dei più famosi tattoo studio d’Italia.

Lo potrete vedere prossimamente su Dmax (canale 52 digitale terrestre e canale 140 di Sky): infatti è uno dei protagonisti di Milano City Tattoo, il programma che racconta le storie dei tatuatori del grande studio di viale Papiniano e dei loro clienti.

Nonostante l’abbia fatto buttare giù dal letto, Clod mi parla di sé, del mondo dei tattoo, della sua esperienza televisiva con grande entusiasmo e disponibilità. Un vero fiume in piena.

D: Sei un artista a tutto tondo: canti, suoni il basso e la batteria in band death metal, dipingi. Cosa ti dà in più il tatuaggio?

R: Mi ha sempre affascinato la permanenza dei tatuaggi sulle persone e anzi mi rattrista che adesso i tattoo si possano cancellare più facilmente col laser. In più, amo il paradosso che è tipico di quest’arte così carnale: rimane a vita sul corpo, ma muore con esso. Quindi ha una durata limita di sessanta, settant’anni. Dopo rimangono solo le fotografie. Poi è l’unica arte davvero applicata: su pelle, da uomo a uomo, a distanza zero.

 D: So che hai iniziato a tatuare giovanissimo. Mi racconti i tuoi esordi?

R: Mi sono sempre piaciute le cose e le persone estreme e fin da ragazzino trovavo la pelle tatuata di forte impatto. Inoltre, da subito sono stato attratto dal mondo del tatuaggio: vedevo gli studi, i tatuatori, le persone tatuate come una società nella società. Avevo diciotto anni, una passione per il disegno che viene da mio padre e già facevo piercing, da buon metallaro. Mi sono proposto per fare apprendistato in molti studi milanesi; ho ricevuto tante porte in faccia finché qualcuno non mi ha detto: “Ma sì, dai, vieni”. E allora bigiavo la scuola al mattino per andare a vedere come si tatuava.

 D: Ti ricordi la prima volta che hai tatuato qualcuno?clodtelly

R: Ho tatuato me stesso! Un geco, ma -ci tengo a dirlo- in tempi insospettabili. Sono stato il precursore di una moda pessima. Ѐ un grande classico: è giusto che uno che sta imparando prima rovini se stesso, poi passi al miglior amico, poi alla fidanzata…

D: Dai tuoi inizi, come è cambiato il mondo del tatuaggio?

R: In tutti i campi ci sono i boom. Questi quasi tredici anni sono stati quelli del boom dei tatuaggi. Prima era tutto molto più artigianale: ad esempio gli aghi, come anche alcuni colori, si facevano a mano. Adesso c’è moltissima scelta sui materiali, una continua innovazione tecnologica, enormi convention internazionali, sponsorizzazioni e in generale è nata una specializzazione fra i tatuatori: c’è chi fa giapponese, chi chicano, chi -come me-  horror.

D: Infatti ho visto alcuni tuoi lavori e sono veramente dark: teschi, demoni, visioni da incubo! Ѐ vero che vai a prendere ispirazione dalle statue del Cimitero Monumentale?

R: Sì! La copia dal vero aiuta e da ragazzino andavo spesso a disegnare al Cimitero Monumentale. Ora che sono più impegnato, faccio la stessa cosa grazie a Internet: scarico spesso immagini di statue e da quelle sviluppo un intero soggetto o le uso semplicemente come referenze per un dettaglio.

clodtheripper04D: Cosa alimenta il tuo immaginario?

R: Dalle elementari leggo Dylan Dog, ho tutti i numeri da collezione nel cellophane per non rovinarli! Per alcune cose sono un vero nerd, mi mancano solo gli occhialoni…Negli anni Novanta andavo sempre al Dylan Dog Horror Fest al PalaTrussardi. Poi divoro film horror! Ne ho centinaia, è una malattia: non riesco a comprare altro. La gente non capisce: magari vado a comprare un dvd e trovo un film non horror che mi piacerebbe acquistare, ma poi non ce la faccio, mi rovina la collezione…Così lo faccio comprare alla mia fidanzata: tanto viviamo insieme! Poi leggo moltissimo, ma quasi esclusivamente saggi: la narrativa non mi appassiona, preferisco l’informazione senza fronzoli.

D: Saggi su cosa?

R: Mah…serial killer, psicotici…

D: Ma pure io che domande ti faccio…Qualcosa mi diceva che la risposta non fosse punto a croce. Ride, n.d.a.

Come è andata la tua esperienza televisiva su Dmax?

R: Non mi sono ancora rivisto, quindi lo scoprirò prossimamente anche io…Nel registrare la puntata, mi sono divertito moltissimo: mi ha dato un sacco di energia positiva avere lo studio pieno di persone. Mi sono scoperto abbastanza disinvolto davanti alla telecamera, nonostante la soggezione iniziale.

D: Tu hai origini meridionali, ma sei nato e cresciuto a Milano. Qual è il tuo rapporto con la città?clodtheripper02

R: Ѐ un rapporto di odio e amore, non c’è un grigio nel mezzo. Non cambierei Milano con nessuna altra città: è perfetta geograficamente per chi, come me, viaggia molto per lavoro e per la musica, c’è una grandissima offerta culturale, è perfettamente funzionante anche dal punto di vista burocratico. Poi ha tutti i lati negativi della grande città: ad esempio, sono le tre di notte. Di un martedì. Di febbraio. Ma comunque tu sei nel traffico, l’aria è irrespirabile: un incubo. Ho cercato di trovare l’equilibrio vivendo in una cascina leggermente fuori Milano. Ci sono un piccolo parco, una vecchia cava, un laghetto. Ѐ la mia oasi felice.

D: Cosa si fanno tatuare i milanesi?

R: Oramai non so dirti quale sia il flusso di tendenza, perché ho una visione parziale: se in passato impazzavano i delfini, negli anni Novanta i gechi, nei primi anni del Duemila le lettere giapponesi e i tribali, ora la clientela dello studio è sempre più consapevole: spesso viene a farsi tatuare dall’estero, conosce perfettamente il tatuatore. Posso dirti che, nonostante io faccia horror, ho una clientela molto femminile perché il mio stile è molto decorativo.

D: E cosa rende unico il tuo stile?

R: Questa domanda è tremenda!!! Mi sento alla continua ricerca del mio stile, e confronto puntualmente i miei lavori con quelli degli artisti che ammiro e sono i miei punti di riferimento: mi chiedo se siano altrettanto solidi, forti. Credo si possa dire che il mio stile sia caratterizzato da un uso molto strutturato del bianco e nero, quasi fossi un colore con tante tonalità e sfumature. A livello stilistico, ero partito con tatuaggi palesemente horror e splatter. Adesso, invece, mi piace un horror più fine, più velato. Cerco di usare di più le linee e in generale elementi grafici inseriti in un contesto horror, ad esempio una decorazione molto fine con un teschio molto macabro.

Definirei il mio stile come un “horror chic”, un “horror milanese”.

D: Li firmi i tuoi lavori?

R: No, trovo questa cosa –che di solito chiedono ai tatuatori i collezionisti di tattoo- è agghiacciante. Ne avrò firmati due in vita mia per amici fraterni che hanno insistito tantissimo, come il mio cantante . Mi mette a disagio, mi sembra un atto di egocentrismo. Credo che il tatuaggio stesso debba essere la firma del tattooist.

D: Alcuni tatuatori rifuggono le convention. Tu che rapporto hai con il mondo istituzionale dei tatuaggi?

R: Avrei voglia di fare il polemico, ma lasciamo perdere…Chi mi conosce lo sa: le convention mi stressano moltissimo, fino ad avere degli attacchi d’ansia. Ma sono delle occasioni eccezionali di confronto: ne esistono di super-prestigiose in cui si incontrano bravissimi artisti anche dell’altra parte del mondo, si vede come lavorano e, magari, si ha anche la fortuna di parlare con loro davanti a una birra. Durante le convention ci si promuove come artisti, si conoscono i produttori, si testano nuovi materiali. Sono momenti fantastici!

D: Qualcuno, per il dolore, ti ha mai lasciato un tatuaggio a metà?

R: No. Ma l’ho fatto io! Un cliente continuava a chiedere pause e a muoversi mentre gli facevo una sorta di piccolo bracciale sfumato sul polpaccio. Dopo ore, gli ho detto basta. Si dice che la pazienza sia la virtù dei forti. Mi sa che devo esercitarmi…

Valentina Fumo

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