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L'Eredità di Cottolengo: la storia straordinaria della Piccola Casa della Divina Provvidenza

Desidero scrivere questo articolo per ricordare una istituzione che è nata da un atto caritatevole di amore verso i più poveri, i più abbandonati perché non avevano denaro sufficiente per pagarsi visite e cure mediche. È vero che siamo agli inizi del XIX secolo, e qualcuno potrà dire che considerato il tempo …, ma ciò lo considero vero solo in parte, poiché mi pare che anche oggi, 2023, se hai denaro trovi tutte le cure che ti necessitano e sicuramente un posto letto in ospedale, altrimenti se appartieni al popolino devi arrangiarti come riesci e magari ti senti dire che un posto letto non c’è – però se sei disposto a pagare guarda caso il letto salta fuori come il coniglio dal cilindro. A parte questa precisazione, ritorno a onorare il titolo.san giuseppe benedetto cottolengo dipinto dal fratello agostino

Tutto nasce da un episodio capitato il 2 settembre 1827 a tale Giuseppe Benedetto Cottolengo, sacerdote che poi diverrà santo, infatti, quel giorno fu chiamato al capezzale di una donna francese, tale Maria Gonnet, che stava portando avanti la gravidanza del suo quarto figlio. Purtroppo era malata e affetta da tubercolosi, ma si era recata, per essere ricoverata, prima all’Ospedale Maggiore di Torino, poi all’Ospizio della Maternità, dove però venne da entrambi rifiutata. Il marito, vedendola ormai in fin di vita era corso a chiamare un sacerdote affinché gli impartisse l’estrema unzione e, Destino volle, che il sacerdote in questione fu il Cottolengo. L’aver assistito alla morte della donna e della sua creatura procurò nell’animo del sacerdote una profonda sofferenza e si convinse, dopo aver pregato, che era necessario fare qualcosa per queste povere creature abbandonate a se stesse.

Fu così che il 17 gennaio 1828 in un appartamento, composta da due stanzette, sito in via Palazzo di Città, in un caseggiato di Torino conosciuto come “Volta Rossa”, il Cottolengo iniziò una attività destinata a soccorrere persone ammalate che non potevano permettersi le cure perché in grave difficoltà economiche, come invalidi, orfani, sordomuti, con gravi problemi fisici e psichici. Due stanzette però si dimostrarono subito insufficienti, così una vedova, tale Maria Nasi Pullini, decise di donare altre sette camere. Ben presto alcune giovani ragazze si unirono al sacerdote disponibili a servire i bisognosi; molte di queste diventeranno poi suore vincenziane.

Purtroppo in Piemonte scoppiò una epidemia di colera e, su pressione degli abitanti del luogo presi da paura, al “ricovero dei poveri” fu intimato di andarsene. Quello che però, al momento fu considerata una sciagura, grazie alla Provvidenza, si rilevò una grazia. Il piccolo “ospedale” si trasferì in periferia, precisamente nella zona chiamata Valdocco, con i suoi malati trasportati su carri trascinati da asini. Quel luogo prenderà il nome di Piccola Casa della Divina Provvidenza; data al Cottolengo dai fratelli Farinelli. Nel 1837 il Cottolengo riuscì, miracolosamente, ad acquistare la Casa, una cappella e un ospedale adiacente fatto costruire dagli stessi Farinelli.

Una domanda però sorge: come ha fatto il Cottolengo ad acquistare se non possedeva denaro?A rispondere è lo stesso sacerdote: è la Provvidenza Divina che pensa, dirige, provvede a tutto; io sono un semplice operaio. Questa si chiama Fede. La vita degli ospiti malati e degli assistenti vivevano il principio di famiglia, dove tutti potevano sentirsi utili agli altri in un fraterno reciproco aiuto.

La Piccola Casa della Divina Provvidenza ne ha fatta di strada, oggi l’Istituto si occupa di persone con disabilità fisiche e mentali, degli anziani e degli ammalati, dei minori rimasti orfani o comunque senza famiglia, dei tossicodipendenti, di coloro che sono senza fissa dimora e agli extracomunitari. Nella nostra Italia le Case di assistenza sono 35 con circa 1700 assistiti. Sorge, accanto alle strutture per disabili, anche un ospedale che dispone di 203 posti letto. 1.200 sono i volontari che operano nella struttura. Storicamente, nel gergo popolare, l’Istituto fu definito come “il ricovero dei mostri”, una modalità spregevole e vergognosa verso coloro che la malattia e la sofferenza li aveva provati. Ritengo invece che, ancora una volta, sia dimostrato come la vera e disinteressata Carità espressa da un prete verso chi soffre, porti a compiere gesta davvero eroiche; gestione che dovrebbe essere esercitata da uno Stato davvero civile e che applichi con serietà e onestà quanto citato nell’articolo 32 della nostra Costituzione.

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