La rivoluzione di Goya in mostra a Milano
Francisco Goya è stato uno dei padri della Pittura moderna europea, oltre che un paradigma per l’Ottocento spagnolo. Al suo genio e alla rivoluzione scaturita dalla sua creatività è dedicata la grande mostra in corso a Palazzo Reale di Milano.
Francisco Goya y Lucientes (1746-1828) ha segnato un periodo della Storia dell’Arte, sia spagnola che europea, esattamente come un altro esponente della Pittura iberica a cui è dedicata una mostra in corso nella stessa sede, quell’El Greco che fu ponte tra Rinascimento e Barocco. Goya è figlio del suo tempo, uomo del Settecento, ma erede della grande tradizione spagnola del Seicento, “El siglo de Oro”, e, nello stesso tempo, anticipatore delle tendenze neoclassiche e romantiche (senza mai aderire direttamente a nessuna di queste correnti), attraverso scelte tematiche molto specifiche e senza farne una questione di stile, come l’attenzione per la Storia e le guerre. Goya affronta queste tematiche senza la verve narrativa da Romanzo, tipica del periodo, ma predilige un racconto diretto per immagini, spesso talmente realistiche da distinguersi per crudezza, in modo da diffondere quanto più possibile, anche a chi non è ferrato su questi temi, sia gli orrori che lui stesso visse con i suoi occhi durante le campagne napoleoniche in Spagna che i suoi ideali, figli dell’Illuminismo e della consapevolezza della centralità della Ragione.
Curata dal professor Victor Nieto Alcaide, delegato della Real Accademia di Belle Arti di San Fernando a Madrid, la mostra, dal 31 ottobre 2023 al 3 marzo 2024, intende esplorare, in parallelo all’intensa e tormentata vicenda biografica dell’artista, quell’evoluzione tematica che ha segnato la sua Pittura, attraverso una serie di opere provenienti sia dalla stessa Accademia che dal Prado di Madrid ma anche da altri musei europei e mondiali. Ciò che ne emerge è una Pittura che, sempre seguendo il fil rouge della Ragione che comanda il Caos, parte dai temi tradizionali dell’epoca per evolversi verso il ritratto prima e, poi, in direzione della Satira politica e sociale, con cui il pittore irride i potenti della sua epoca, per giungere, infine, alla rappresentazione drammatica degli orrori della Guerra, in cui il realismo di Goya arriva alla massima potenza.
Francisco Goya y Lucientes nasce a Fuentetodos, presso Saragozza, nel 1746. Il Settecento, in Spagna, a livello pittorico, non ha prodotto figure in grado di svettare nel panorama critico, tanto che Goya stesso è considerato, forse, il massimo esponente iberico del XVIII secolo. A sedici anni si trasferisce a Madrid per frequentare l’Accademia di Belle Arti: è il 1763 e, fino al 1770, il giovane Goya frequenta il vivace ambiente culturale della capitale spagnola. Siamo negli anni in cui i reali di Spagna commissionano la decorazione delle sale del Palazzo Reale ad artisti italiani, tra cui spicca quello che è il simbolo, per antonomasia, del Secolo, ultimo esponente dell’Ancien Regime e primo Illuminista, ovvero Giambattista Tiepolo, che lavora a Madrid fino alla sua morte, nel 1770. Indubbiamente il giovane Goya rimane affascinato dalla sontuosa decorazione del pittore veneziano nella Sala del Trono. La prova più evidente è il dipinto che apre la mostra, Annibale vincitore osserva l’Italia dalle Alpi per la prima volta, eseguito nel 1771 per un concorso bandito a Roma, in cui l’utilizzo intenso della base rossa e l’impostazione scenografica non possono che rimandare all’esempio del Tiepolo, ma anche al Classicismo del secondo pittore italiano chiamato a decorare Palazzo Reale, il pugliese Corrado Giaquinto. Proprio in virtù di questi esempi possiamo definire Goya figlio del suo tempo. In effetti, Francisco vive la fine del regime assolutista, l’Illuminismo, la Rivoluzione Francese, le guerre napoleoniche e, poi, la Restaurazione, e la sua Arte è pregna di tutti questi cambiamenti radicali nella Storia del Mondo.
Goya resta sempre legato all’Aragona, tanto da eseguire, negli anni ‘70, numerosi lavori per chiese e palazzi di Saragozza e i dintorni, tra cui spicca la decorazione di una delle cupole della Basilica del Pilar, del 1771, che, nel brio creativo, evidenzia ancora un forte ricordo del Tiepolo. Sono, però, gli anni, in cui si avvicina al Neoclassicismo, grazie a Francisco Bayeu, allievo di Anton Raphael Mengs e destinato a divenire suo suocero. Sono anche gli anni in cui Goya lavora su commissione, quella che lui stesso, libero e libertario, più avanti, avrebbe definito “tirannia”, ma che gli permette di farsi conoscere nell’ambiente madrileno e, finalmente, di essere ammesso, nel 1780, all’Accademia. Lavora ai temi cari ai committenti dell’epoca, ancora molto conservatori e legati al passato, ovvero scene sacre e mitologiche, ma che affronta con razionalità e rigore, accanto ad argomenti più intimi, come il gioco dei bambini, con piccole tele dal taglio scherzoso che ricordano moltissimo la scena di genere veneziana e napoletana tanto diffusa in Italia. Non è un caso che tali opere si collochino tra il 1777 e l’80, anni in cui Goya conosce Maria Luisa di Borbone, che è stata, da duchessa di Parma, grande committente del massimo esponente del genere in Italia, il napoletano Gaspare Traversi a cui, indubbiamente, rimandano alcuni dei lavori a tema del giovane Goya.
Negli anni successivi, a partire dalla metà degli ‘80 del XVIII secolo, Goya, avvicinatosi, ormai, alle tendenze neoclassiche e a Mengs, inizia a lavorare a numerosi ritratti, tra cui spicca lo stupendo Autoritratto al cavalletto, del 1785, raro esempio del genere a figura intera, ma si dedica anche alle prime opere di critica sociale, immortalando, sia in dipinti che in incisioni, il tema della corrida, che, già allora, faceva impazzire gli spagnoli, ma con un tocco critico nei confronti della Cultura di massa e della crudeltà con cui il toro viene ucciso. La fase più intensa del Goya ritrattista coincide con la temperie neoclassica, influenzata da Bayeu e Mengs, a partire dai due pendant raffiguranti Carlo IV e Maria Luigia, i due sovrani grazie ai quali il pittore raggiunge l’apice della sua fortuna. Sempre lavorando su commissione, Goya ritrae l’aristocrazia spagnola ma anche gli amici di una vita, che lo avvicinano all’Illuminismo, come il poeta Moratin e l’intellettuale asturiano Jovellanos. Si può dire che, nel ritratto, il pittore fa di necessità virtù. Tra i ritratti "ufficiali" spicca quello di Joaquina Candado Ricarte, dama dell’Alta società madrilena immortalata alla moda neoclassica mentre ci osserva accompagnata dal fedele cagnolino bianco. Il ritratto, per Goya, è anche occasione intima per immortalare la sua famiglia: ritrae, infatti, sia il figlio Javier che, in uno splendido esemplare del 1813-15, il nipotino Mariano, in cui traspare l’affetto che Francisco, da nonno, prova per il piccolo.
Grazie agli amici Moratin e Jovellanos, come anticipato poco fa, Goya scopre l’Illuminismo, insieme all’impegno sociale e politico che gli erano stati estranei nei primi anni di lavoro su commissione. L’Illuminismo, per il pittore, è senso critico nei confronti della realtà, della tradizione, della Politica e della Religione, ma anche risveglio dalle tenebre, dal “Sonno della Ragione”, ed è proprio la Ragione, e la consapevolezza di essere ragionevole, a guidare la sua produzione. Si iniziano a notare, accanto ai ritratti, opere che evidenziano questa volontà di rompere gli schemi del passato, sia nelle scelte tematiche che in quelle stilistiche, con un uso del colore molto più intenso e pastoso, a evidenziare la critica radicale e l’approccio ribelle della sua Pittura. In mostra, accanto ai ritratti ufficiali di personalità, come, appunto, Moratin e Jovellanos, se ne affiancano altri che costituiscono veri e propri omaggi e ringraziamenti, come quello di Josè Duaso y Latre, del 1824: costui è un sacerdote di idee liberali che, durante la Restaurazione tra il 1823 e il ‘33, dà ospitalità ad alcuni amici in fuga, tra cui lo stesso Goya. Il pittore è stato uno dei primi artisti della Storia a mettere in discussione, in toto, la realtà sociale e politica, scardinandola attraverso una critica feroce tipica del modo di pensare illuminista. E anche in questo si configura come uomo del suo tempo, figlio di quegli ideali che solo il Settecento ha saputo produrre e diffondere, fino a diventare il paradigma da cui è nata la società odierna. Goya, a partire dai primi anni dell’800, lascia progressivamente la Pittura per dedicarsi all’incisione, attraverso la quale giunge a risultati eccezionali per espressività e intensità. In mostra, particolarmente importante è la raffigurazione del Manicomio, tela del 1808-12 in cui Goya dà il massimo della sua produzione satirica, ispirando a un luogo reale, esistente a Saragozza, una vicenda fantastica in cui è la follia a governare il Mondo, tanto che raffigura, in veste di malati psichiatrici, anche militari e alti ecclesiastici accanto a elementi dalla simbologia ermetica.
Francisco Goya (attribuito), Il Colosso, post-1808, olio su tela, Madrid, Museo Nazionale del Prado
La logica conclusione della mostra sono le incisioni e i dipinti che il Goya ormai maturo, stilisticamente e tematicamente, dedica all’argomento della guerra. Si potrebbe dire che il pittore spagnolo sia stato il primo reporter di guerra della Storia, raffigurando il conflitto d’indipendenza contro le truppe francesi in maniera diretta e cruda sia attraverso opere su tela che, soprattutto, lavorando, con varie tecniche, all’incisione. Da queste prove sarebbe nata la serie dei Disastri della guerra, in cui Goya raffigura con il massimo realismo e crudezza, gli effetti del conflitto sulla popolazione iberica e che ci rappresenta la consapevolezza dell’artista di essere parte di un nuovo momento della Storia. In questo conflitto descritto da Goya, la popolazione è direttamente coinvolta e, di conseguenza, le atrocità non risparmiano nessuno. Il modo di dipingere e di incidere dell’artista diviene molto più intenso, drammatico e tumultuoso, spesso come un fiume in piena, ormai agli antipodi di quello stile pacato, quasi accademico, dei suoi esordi influenzati dalla pittura del Tiepolo. Ed è questo il momento in cui emerge quella “Ribellione della Ragione” che dà il sottotitolo alla mostra. I lavori bellici di Goya esposti in mostra sono soprattutto incisioni che hanno la particolarità di essere accostate alle matrici originarie in rame. Goya ritrae episodi che hanno una stridente attualità, visti i numerosi conflitti presenti nel Mondo, e, attraverso la sua prassi incisoria, vuole denunciare le bestialità e le atrocità della guerra, soprattutto sugli effetti che essa ha sulle popolazioni delle zone colpite, come provato dalle incisioni chiamate Stragi di Guerra. Non mancano, poi, anche dipinti ispirati al tema bellico, come l’opera (per ora attribuita ma molto probabilmente di Goya) intitolata Il Colosso, palese allusione alla resistenza spagnola alle truppe napoleoniche, in cui un gigante, sullo sfondo di un campo di battaglia, affronta a pugni il nemico. Quest’opera è unica nel panorama dell’artista, per la scelta tematica allegorica, ancorata al Settecento, ma anche per una gamma cromatica crepuscolare a sottolineare l’atmosfera tetra che allude alla guerra.
Il corollario, per la mostra, sono due opere significative che trovano posto nell’ultima sala. Innanzitutto l’incisione, del 1797-99, intitolata Il sonno della Ragione genera mostri, vero e proprio manifesto di stile e di idee di un Goya ormai libero dal vincolo del lavoro su commissione, e che testimonia la sua totale e inattaccabile adesione all’Illuminismo. Quest’opera è uno dei punti di partenza dell’Arte contemporanea mondiale, vista la dichiarazione di quanto sogno e immaginazione possano compenetrarsi per creare opere nuove, diverse dall’accademismo del passato, di fatto aprendo la strada al Romanticismo, ma anche, più avanti, al Surrealismo, entrambi movimenti artistici che vivono di elemento onirico e libertà creativa. La seconda opera è il suo autoritratto, del 1815, quasi ideale chiusura di un cerchio iniziato con l’omologo al cavalletto degli anni ‘70 del Settecento, in cui, con una luce che ricorda Rembrandt, un Goya sessantanovenne ci appare sorridente, quasi pacioso e presente di spirito, nonostante i lutti subiti in famiglia, dalla moglie ai figli, e la tragedia della Guerra d’indipendenza. Si tratta di un testamento positivo che Goya ci lascia come messaggio in appendice alla sua rivoluzione pittorica e di impegno sociale.
Goya. La ribellione della Ragione
Palazzo Reale, Piazza Duomo 12, Milano
Orari: lunedì chiuso; martedì-mercoledì-venerdì-sabato-domenica 10.00-19.30; giovedì 10.00-22.30
Biglietti: intero 15,00 €, ridotto 13,00/10,00 €
Info: www.mostragoya.it