Brassai. Un occhio su Parigi in mostra a Milano
Uno sguardo sulla Parigi degli anni ‘30. Con questa frase, si potrebbe riassumere la mostra, allestita a Palazzo Reale di Milano, dedicata a Georges Brassai.
Dal 23 febbraio al 2 giugno 2024, infatti, nelle sale al piano terreno adiacenti al Museo del Novecento, è dedicata una grande retrospettiva al fotografo che, meglio di ogni altro, documentò la vita della capitale francese negli anni più ruggenti del suo fervore culturale. Curata da Philippe Ribeyrolles, studioso e nipote del fotografo, oltre che proprietario di molte stampe originali del maestro, la mostra intende farci viaggiare, attraverso circa duecento, tra scatti, disegni e sculture, tutte opere dello stesso Brassai, in una Parigi capitale mondiale delle Arti, della Musica, della Moda e della mondanità. La Parigi dell’epoca era un crocevia di artisti provenienti da ogni parte del Mondo, proprio in virtù di questa sua caratteristica di capitale mondiale della creatività. Anche Georges Brassai era uno di loro.
Il suo vero nome era Gyula Halasz ed era nato nel 1899 in Ungheria, a Brassò. In seguito, la città sarebbe stata annessa alla Romania e avrebbe assunto il nome odierno di Brasov. Il giovane Gyula, dopo un soggiorno a Berlino, si stabilì a Parigi nel 1924, senza più allontanarsi, salvo un brevissimo periodo, dalla capitale francese. Tra la fine degli anni ‘20 e i primi ‘30, iniziò a fotografare la città e, proprio in questo periodo, in omaggio alle sue radici, scelse il nome d’arte Brassai, anche grazie alla frequentazione dell’amico magiaro Andrè Kertesz. Del 1933 è il suo libro Parigi di notte, caposaldo della fotografia realistica francese, che avrebbe influenzato maestri come Robert Doisneau. In questi anni, frequentò intellettuali e, soprattutto, artisti, tra cui i pilastri del Surrealismo, da Dalì a Magritte, e colui che sarebbe divenuto l’amico di una vita, Pablo Picasso. Negli anni ‘40, lasciò Parigi per quattro mesi per sfuggire all’occupazione nazista, ma la nostalgia della Ville Lumiere lo vinse, tanto da indurlo a tornare in città, dove si rifiutò di lavorare per gli occupanti. Finita la guerra, dagli anni ‘50, Brassai iniziò a essere apprezzato oltreoceano, con mostre, specie a New York, e una notevole pubblicazione di libri, ma anche in Francia riscosse notevole successo. Lavorò anche per riviste di Moda, ma la sua predilezione fu sempre per le fotografie realistiche, di strada e di umanità, dalle vedute ai ritratti. Morì a Parigi nel 1984 e venne sepolto nel cimitero di Montparnasse, il quartiere che lo aveva accolto sessant’anni prima.
Brassai è, a tutti gli effetti, un occhio su Parigi. O meglio, l’occhio di Parigi. La sua fotografia, caposaldo della tradizione francese, non è celebrazione di una città, ma una rappresentazione del brulicare della sua umanità e del suo melting pot sociale. Non è un caso che la mostra prenda le mosse dagli esordi, in cui Georges raffigura i luoghi iconici di Parigi già nel 1904, durante un soggiorno con il padre, professore di Letteratura francese. Per usare le sue stesse parole, i suoi esordi furono “immagini perse nella memoria”, come provano gli scatti che immortalano la tranquillità dei giardini di Luxembourg. E le sue lunghe passeggiate cittadine, al limite del situazionismo, gli forniscono grandi occasioni. Forse, è nato così il suo rapporto strettissimo con Parigi, ma, e questo è indubbio, la genesi del volume Parigi di notte ha preso le mosse proprio da tale situazione.
A partire dal 1931, Georges inizia a fotografare assiduamente la città di giorno, eliminando tutto ciò che è superfluo, unendo, in un tutt’uno organico, ambiente e soggetti rappresentati. Forse, Brassai ha presente la lezione dell’Impressionismo, mediata dall’esperienza del primo grande fotografo cittadino, quel Felix Nadar che avrebbe reso questa forma rappresentativa un’Arte a tutti gli effetti. Le sue fotografie immortalano tanto il ricco centro cittadino quanto i quartieri operai limitrofi, da Montparnasse a Montmartre. La sua è assolutamente una fotografia democratica, non tanto di denuncia quanto di puro realismo.
Georges Brassai, Couple au bal des Quatre Saisons, rue de Lappe, 1933, © Estate Brassaï Succession - Philippe Ribeyrolles
È, però, la vita notturna ad attrarre le capacità artistiche di Georges. Le prime idee gli giungono nel 1931, sempre girando per la città. Inizia a fotografare il brulicare della folla dentro ai caffè o nei locali dove si balla su musica dal vivo, ma anche a immortalare coppie che si scambiano effusioni amorose ai tavoli oppure ragazze sorridenti davanti al suo obiettivo. Alcune di queste sarebbero divenute foto iconiche per tutti i fotografi francesi posteriori, a partire da Doisneau. Un’idea ancor più radicale è quella realizzata per il suo libro fotografico: Georges si fa chiudere, dopo un tacito accordo con il custode, all’interno della Cattedrale di Notre-Dame durante la notte. Con la sua amata macchina fotografica, sale (al buio), come un novello Quasimodo, le scale che conducono ai ballatoi tra le due torri e il tetto e, una volta giunto alla sommità, scatta immagini destinate a rimanere nella Storia, con quelle vedute notturne di Parigi dall’alto che nessuno, prima di lui, aveva immortalato. Si tratta di immagini che mescolano l’elemento artistico, i gargoyles in primo piano, con la mera rappresentazione notturna di una città che dorme vegliata da questi animali fantastici che popolano l’architettura della Cattedrale. Forse, questa è anche la prima prova surrealista di Brassai.
La Parigi di notte è anche la città segreta raffigurata da Brassai, che, per il suo libro, immortala anche locali da ballo, simili ai night club, ma anche bordelli. Parigi è anche questo, soprattutto nelle zone più defilate dai boulevards, come Montmartre. La fotografia di Georges immortala momenti di incontro tra uomini e prostitute, ma senza, mai, scendere nel dettaglio più diretto e, preferendo, piuttosto, una soluzione che rappresenta il prima o il dopo, così come anche coppie gay. Brassai raffigura anche quel microcosmo che gravita intorno a certi ambienti, quelli che lui stesso chiama “quei cattivi ragazzi”, legati alla delinquenza. Il tutto per cercare di raffigurare l’umanità cittadina in toto, senza escludere nessuno, e, in particolar modo, per dare risalto agli ultimi.
I suoi disegni sono, indubbiamente, da mettere in relazione con le sue fotografie di nudo, ma anche con le opere contemporanee dell’amico Picasso, influenzate dall’Arte africana. Sicuramente, queste opere sono strettamente connesse con quelle esposte al MUDEC, opera del genio di Malaga, così come le sue sculture. Anche in questo caso, l’influsso delle Avanguardie, dal Cubismo al Surrealismo, segna la produzione dell’artista, con profili squadrati e segnati dalla scomposizione delle forme, con i tratti sinuosi che non possono non farci pensare all’opera picassiana ma anche alle fotografie di Man Ray.
A concludere la mostra, è una sezione dedicata ai ritratti, eseguiti da Brassai negli anni ‘30, in cui immortala i più grandi artisti dell’epoca, da Dalì a Magritte e a Giacometti. Così come intensissimi sono gli scatti realizzati in compagnia di Pablo Picasso, a testimoniare il legame intensissimo tra i due artisti. Troviamo, però anche ritratti di cittadini comuni, come la signora seduta al caffè che, con il suo sorriso stentato ma buono, pare salutarci.
Brassai. L’occhio di Parigi
Palazzo Reale, Piazza Duomo 12, Milano
Orari: lunedì chiuso; martedì-domenica 10.00 – 19.30; giovedì 10.00-22.30
Biglietti: intero 15,00 €, ridotto 13,00 €
Info: www.mostrabrassaimilano.it