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Alla tavola di un signorotto del XIV secolo: i segreti del banchetto medievale nobiliare

Sedersi davanti ad un tavolo per consumare un pranzo o una cena con i propri cari o con amici è sempre un momento conviviale lieto, sia nella propria casa o in qualche apprezzato ristorante. Oggi se invitati, salvo cerimonie particolari, si è tutti accomodati rispettando un semplice galateo del buon gusto, ma in quel tempo lontano citato nel titolo?

Mi sono imbattuto in un resoconto che descrive quale cerimoniale era necessario rispettare se si era invitati a pranzo da un signore di una certa importanza nobiliare, e allora ho deciso di farlo sapere a qualche lettore curioso.tavola signorotto medioevo

Il banchetto nel Medioevo: un rituale preciso e rigoroso

L’invito era emanato in occasione di festività o ricorrenze particolari e, una volta giunti al Castello, si veniva introdotti nel salone principale dove faceva bella mostra di se una tavolata pronta per consumare un sontuoso banchetto. Si doveva sottostare ad un rituale molto preciso e rigoroso nella definizione e distribuzione di ruoli e mansioni. Ovviamente, ieri come oggi, intorno alla tavola si potevano concludere alleanze, creare nuove amicizie, parlare e concludere affari, eccetera.

I COMMENSALI E LA DISPOSIZIONE DELLA TAVOLA

A capo della tavola principale, che era rialzata rispetto a quella degli altri commensali, sedeva su una sedia più preziosa e imponente  di tutte le altre, il nobile signore del castello circondato dai proprio familiari – moglie, figli e parenti più prossimi - , dai maggiorenti, ossia da persone influenti e importanti, del castello e dagli ospiti più illustri; la gente meno importante prendeva posto ad un altro o altri tavolo, sedendo su panche o sgabelli, e sistemato all’opposto di quello del signore.

L’inizio del banchetto era decretato da uno squillo di tromba effettuato da un apposito incaricato. Aveva così inizio il convivio con l’arrivo, in successione, di prelibate pietanze in grandi piatti di portata, da cui ciascun commensale attingeva a suo piacimento, mentre i coppieri si incaricavano di tenere le coppe sempre piene di buon vino. Va sottolineato che sconosciuto era l’uso di forchette, per cui ci si serviva con le mani senza che nessuno, per questo, provasse il ben che minimo imbarazzo. Molti degli utensili erano in legno, ma questo non impediva che vi trovassero posto considerevoli quantità di vivande, ottime anche in qualità.

Le pietanze e i convivi del tempo

Per il padrone di casa, che non badava a spese, era considerato un obbligo offrire piatti copiosi e saporiti, poiché gli ospiti potevano così vantare e tenerlo in ottima considerazione. Le vivande erano composte da carni di animali di allevamento, soprattutto maiale e pollame, mentre in gran pregio era ritenuta la selvaggina come cervi, lepri, daini, cinghiali, fagiani eccetera. Molto apprezzati erano anche i pesci, così come i legumi e le verdure. Non mancavano neppure i latticini, sia freschi che stagionati, prodotti dal bestiame di proprietà dello stesso signore. Si faceva altresì un notevole uso di spezie, soprattutto portate dall’Oriente, come il pepe, lo zenzero, la noce moscata, la cannella, il cardamomo, e questo per coprire odori e sapori a volte non troppo gradevoli. Anche il pane faceva la sua comparsa, dove quello bianco di frumento era appannaggio dei soli signori i quali potevano permetterselo, ai meno fortunati era destinato un pane più scuro fatto di un miscuglio di farine di diversi cereali, come l’avena, il farro e l’orzo, il cui colore volgeva sul nerastro che a vedersi era davvero poco invitante. Il bere era a base di vino e birra, a cui i commensali non si ponevano troppi scrupoli alla loro consumazione.

Il banchetto si concludeva in una esplosione di colori e di profumi con l’arrivo della frutta e dei dolci.

Mentre i commensali erano indaffarati a masticare e nel chiacchiericcio, tra i tavoli si aggiravano cani, gatti e galline per raccogliere avanzi o ciò che cadeva dai tavoli o veniva loro gettato. Vi erano anche, a volte, poveri mendicanti che cercavano di ottenere qualcosa per potersi sfamare.

Per il piacere del padrone e degli ospiti vi erano anche musici,  giullari e danzatrici/tori; insomma il signore del castello faceva di tutto per fare la miglior figura possibile e ingraziarsi possibili alleati.

Termino col riportare due strofe di un poeta toscano del Trecento che descrive proprio uno di questi banchetti.

Ogni mercoledì corredo grande

di lepri, starne, fagiani e paoni,

e cotte manzi ed arrosti capponi,

e quante son delicate vivande;

donne e donzelle star per tutte bande,

figlie di re, di conti o di baroni,

e donzellette e giovani garzoni

servir portando amorose ghirlande.

 

Da tutto ciò si può comunque convenire che ritrovarsi attorno ad una tavola imbandita con famigliari e amici, è sempre un momento di grazia.

 

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