Permesso, scusa, grazie: bilanci e buoni propositi per il nuovo anno
Permesso … scusa … grazie … bilanci di fine anno e buoni propositi per il nuovo anno!
“Tre sono le parole che sistemano le cose nel circolo familiare: permesso, scusa e grazie”, dice Papa Francesco, “sono Parole che hanno il dono di farci scendere dal piedistallo del nostro avere sempre ragione”.
Ecco che ancora una volta il Santo Padre ha fatto centro, ha colto nuovamente una delle sfaccettature deleterie dei tempi che corrono. Un ottimo spunto di riflessione per il consueto rito di “bilancio di fine anno” e di “buoni propositi per l’anno nuovo”.
Permettetemi questa sera di proporre prima del brindisi di fermarci un attimo a fare il punto della situazione. Sicuramente staremo per condividere questo momento di passaggio con persone a noi care, quindi a maggior ragione passiamo in rassegna come un setaccio i mesi che ci stiamo per lasciare alle spalle, magari scegliendo un metro di misura per valutare quale sia stato il nostro operato. Un criterio potrebbe essere proprio quello di Papa Francesco: la pretesa di avere ragione.
Magari per salvarci la faccia, magari per salvaguardare i nostri interessi, magari per farla pagare a qualcuno che a nostro avviso ci ha fatto un torto. Oppure le volte che abbiamo subito questo comportamento da parte di qualcun altro. Il buon proposito? Provare a dare ragione all’altro, ponendosi per primi in modo critico quando insorge una discussione.
Mi vengono in mente tutti gli stupidissimi litigi che spesso e volentieri incrinano l’atmosfera familiare. Possibile che sia così difficile ammettere di avere sbagliato?
Evidentemente sì, se il Papa si è accorto, e poi lo ha comunicato in lungo e in largo, che oggi la parola “scusa” non si sente più pronunciare. Sarebbe interessante stilare una classifica dei termini usati più di frequente, chissà a che posto sarebbe relegata? Siamo diventati così pieni di noi stessi da non sentire neanche l’esigenza di scusarci, avendo sempre mille scuse per giustificare i nostri comportamenti tutt’altro che corretti. Ma banalmente anche solo quando spintoniamo per distrazione qualcuno per strada non ci riteniamo in dovere di chiedere scusa. Pazzesco.
E che dire dei “grazie” che illusoriamente ci si aspetta ogni tanto di sentire e invece no: tutto è dovuto, e ci mancherebbe altro! Quasi a voler far capire che sarebbero gli altri a doverci ringraziare. Ma di cosa? Siamo riusciti a strappare un sorriso a qualcuno? Abbiamo donato un pizzico di felicità a qualcun altro?
Ci siamo prodigati ogni tanto in qualche gesto di generosità o solidarietà gratuitamente? E’ successo qualche volta che siamo riusciti a prestare il nostro ascolto perché qualcuno aveva solo bisogno di sfogarsi? Siamo stati così attenti al prossimo da essere riusciti a prevenire una sua necessità? Ecco, queste sono situazioni in cui il grazie non c’è neanche bisogno di pronunciarlo perché gli occhi, il sorriso, la stretta di mano hanno già detto tutto.
“Permesso”? ma quando mai. Neanche le porte chiuse ci suggeriscono un po’ di discrezione. E se non siamo capaci a dirlo a casa, quando ci infiliamo in una conversazione, in una cena, in una serata in famiglia, figuriamoci se ci viene in mente alla fila in posta, fosse anche solo per chiedere una informazione.
Ecco, oggi è sparita la sensibilità, che un tempo descriveva le persone di animo buono, quelle capaci di mettersi in collegamento con gli altri, di generare empatia. Dice bene Roberto Cotroneo che “mentre un tempo la sensibilità per le cose e gli altri era un talento dei propri sensi per raggiungere una comprensione più alta e diversa, oggi non è più esattamente questo”. Infatti le relazioni si sono smaterializzate, tutto passa per internet, il rapporto con il mondo si misura in tempi di reazione alla messaggeria istantanea con cui ci si mette in contatto con gli altri.
Forse è per questo che parole come permesso, scusa e grazie non servono più? Si è sempre connessi, anzi, ci si sente in dovere di esserlo: per testimoniare la propria esistenza aggiornando al minuto il proprio “status”, come altrettanto per dimostrare la propria prontezza di risposta e quindi di onnipresenza e di onniscienza. Quindi si irrompe con leggerezza in qualunque istante nella vita altrui con mille banalità, “postate” a nastro per sentirsi vivi. Aiuto!
Raccontava Calvino per voce di Marco Polo: “A Cloe, grande città le persone che passano per le vie non si conoscono. Al vedersi immaginano mille cose l’uno dell’altro, gli incontri che potrebbero avvenire tra loro, le conversazioni, le sorprese, le carezze, i morsi. Ma nessuno saluta nessuno, gli sguardi si incrociano per un secondo e poi si sfuggono, cercano altri sguardi, non si fermano”.
Ecco il buon proposito per l’anno nuovo: più sensibilità, “permesso, grazie e scusa” quasi a piè sospinto, e aggiungerei anche tanti, tantissimi “buon giorno, buona sera” che forse farebbero iniziare la giornata con spirito diverso e altrettanto permetterebbero di buttare alle spalle le storture del giorno ormai concluso.
Con permesso, quindi, e scusandomi per avere osato tanto, vi auguro un Buon Anno, e vi ringrazio per i minuti che mi avete regalato leggendomi.
Auguri.
Chiara Collazuol