Sui dubbi dell'arte contemporanea: presunzione capire l'artista
Pretendere di capire l’arte, l’artista o l’opera sfiora la presunzione.
Occorre allontanarsi, per quanto possibile, dal carattere razionale che ci spinge a voler sempre capire, senza misteri ed ombre, quello che vediamo. L’arte suscita emozioni a prescindere da qualunque cornice didattica e pedagogica. L’arte crea un cortocircuito, permette di entrare a far parte di un sentimento condiviso.
E se il “David” di Michelangelo viene ammirato ed apprezzato, preso a modello per quell'arte d’eccellenza e per quella scultura altissima e nobilissima, la “Guernica” di Picasso incontra ora considerazione ed entusiasmo, ora fastidio e noia, mentre la “Merda d’Artista” di Piero Manzoni provoca se non scherno, dissenso.
Eppure, davanti agli attimi catturati dalla pittura di Manet o ai frenetici paesaggi liberati da Turner o Constable non sentiamo la necessità di chiederci il motivo per il quale l’artista abbia voluto ritrarre quei soggetti, che cosa voglia trasmettere e perché voglia trasmetterlo ed a chi; ci limitiamo ad osservare, qualcuno più sedotto di altri , un’opera d’arte.
Potrebbe mai qualcuno mettere in discussione il valore e l’essenza delle opere di Leonardo da Vinci, Monet, Renoir, Klimt? Li abbiamo studiati e ci hanno convinto della loro indiscutibile grandezza; forse apaticamente abbiamo deciso di farceli piacere, e non – almeno per la maggior parte - per personale senso critico. Che cosa accadrebbe se i nostri libri d’arte ci parlassero con la stessa cura ed attenzione di artisti quali Andy Warhol, Keith Haring, Jeff Koons o Marina Abramovic? Quale sarebbe il nostro atteggiamento davanti alle loro opere o performances? Qualcuno sarebbe certamente più riservato nell'esprimere un giudizio ostile ed il ritrito “potevo farlo anch'io” non sarebbe commento poi così diffuso.
Amare l’arte ed osservarla vuol dire servirsi di un sesto senso, è intuito e sintonia, è armonia col colore e col soggetto, con la grandezza del quadro o con la cornice, con qualsiasi cosa che possa attrarci, anche il dettaglio impercettibile.
Non tutti riuscirebbero a tradurre in parole ciò che ci suscita guardare un’opera; l’arte è un altro modo di comunicare che può anche non avere niente a che fare con un messaggio, con le parole e con le spiegazioni. “L’opera d’arte è, e basta. Così come la bellezza è. L’arte non ha bisogno di specialisti per essere capita” (Vittorio Sgarbi, L’arte è contemporanea. Ovvero l’arte di vedere l’arte. Bompiani)
Se sapessimo liberarci del dubbio che l’arte contemporanea non esista o sia principalmente mirata alla speculazione scopriremmo un mondo fatto di sensazioni e bellezza, e cose inedite.
Figli di un sovrabbondante patrimonio artistico, non siamo stati abituati, in Italia, alle cose nuove. Pochi musei si muovono con l’intenzione di far vedere cosa succede oggi nel mondo dell’arte; intenzione che, invece, appartiene a città quali Berlino, Londra o New York – forse più povere di storia artistica ma sempre curiose.
Guardare all’arte senza preconcetti ma con cuore e coraggio è tra le esperienze più belle che possiamo riservarci.
Immagine: Roberto Ferri, Tristezze della luna, 2008.
Deborah Gjinaj