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Chiesa di San Bernardino alle Monache

san bernardino alle monacheNel cuore della vecchia Milano, dove sorgeva, anticamente, l’area dell’antico circo, si trova, oggi, un piccolo gioiello di architettura quattrocentesca tardogotica, la chiesa di San Bernardino alle Monache.

Tutto ebbe origine nel 1290, quando, sull'area del giardino oggi prospiciente la chiesa e dell’attiguo Liceo Ginnasio Manzoni, fu fondato un monastero per volontà della nobildonna Floriana Crivelli. Le monache qui stabilitesi (che diedero, per l’appunto, il nome all'attuale edificio) erano suore Umiliate che seguivano la regola di S. Agostino. Successivamente queste religiose adottarono la regola di S. Chiara e passarono sotto l’ordine francescano.

Nulla rimane oggi del monastero duecentesco, ancor di più dopo la costruzione del Liceo a inizio ‘900. La regola francescana fu seguita dalle suore fino a quando vennero esonerate da questo luogo, come prova anche la consacrazione della nuova chiesa a S. Bernardino da Siena, famoso predicatore dell’ordine del Poverello, il cui culto si diffuse tra la fine del XIV e il XV secolo.

Proprio in questo periodo fu eretta la chiesa odierna, destinata, anche ad accogliere alcune reliquie del santo. Entro il 1450 l’edificio fu sicuramente portato a termine, visto che di quell'anno è la consacrazione. L’architetto fu, molto probabilmente, un membro di quella famiglia Solari che realizzò molti degli edifici sacri milanesi del periodo, da S. Maria delle Grazie a S. Pietro in Gessate: gli studiosi suggeriscono il nome di Pietro Antonio. Il complesso subì manomissioni tra il ‘6 e il ‘700, con l’aggiunta di strutture barocche e la costruzione di una chiesa esterna, ma le forme originarie poterono rivedere la luce nel 1922, quando l’architetto Adolfo Zacchi, in nome di quel purismo architettonico neomedievale che caratterizzò i revival milanesi d’inizio secolo, attuò ingenti restauri alla struttura eliminando qualsiasi traccia barocca e reimpostando il fianco verso l’attuale via Lanzone e la facciata ispirandosi ad antiche aperture.

Questo è ancora oggi l’aspetto che caratterizza la chiesa. L’edificio, oggi recintato e situato all'interno di un giardino, è un alto parallelepipedo in cotto, secondo la tradizione dell’edilizia sacra di fine XIV – inizio XV secolo a Milano e in Lombardia, ad aula unica, con presbiterio quadrato che ricorda quello di molti altri edifici umiliati dell’epoca, tra cui S. Lorenzo a Monluè. La facciata, snella ma sontuosa nel suo paramento di mattoni rossastri, si presenta a capanna, con tetto a due spioventi, ed è ornata di un portale a tutto sesto, sovrastato da due monofore laterali ad arco acuto e da un piccolo oculo circolare.

La fascia superiore è decorata da scodelle maiolicate e da una ricca cornice ad archetti. In fondo al fianco destro, sorge un esile campanile, a cella campanaria monofora e culminante in una cuspide conica, che è quasi sicuramente assegnabile a Pietro Antonio Solari. L’interno rispecchia la struttura esterna a parallelepipedo, con basso coro quadrato e navata unica ad aula. Si presenta suddiviso in due campate da un arco trionfale a peducci, mentre le volte sono a crociera con costoloni: molto si deve al restauro dello Zacchi, che reimpostò la fisionomia interna dell’edificio. Si possono ancora ammirare brani dell’antica decorazione della chiesa, recuperati durante i restauri degli anni ’20. Sulla parete sinistra campeggia un affresco, raffigurante La Vergine e S. Agnese, attribuito a Vincenzo Foppa o alla sua scuola (forse anche a Bernardino Zenale). Sull’arcone sono raffigurate Annunciazione, Natività e Fuga in Egitto, tutti affreschi di scuola lombarda d’inizio ‘500. Gli affreschi sulle volte (Angeli con i simboli degli evangelisti) e alle pareti del presbiterio (Madonna e santi sulla parete destra) sono di pochi decenni precedenti la decorazione dell’arcone. Coeve sono le due piccole tavole situate sull’altare, raffiguranti S. Giovanni Battista e S. Pietro, di artista anonimo. Oggi la chiesa è raramente visitabile ed è aperta, perlopiù, per concerti di musica sacra.

Stefano Malvicini

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