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Il punto della ricerca su depressione e malattie neurodegenerative

  • Mirella Elisa Scotellaro

Le attività cognitive del cervello come l’apprendimento, il ragionamento, la memoria, l’organizzazione delle conoscenze, sono condizionate dal “Fattore Neurotrofico Cerebrale”, in acronimo “BDNF” (Brain-Derived Neurotrophic Factor), un ormone della crescita che favorisce le prestazioni intellettive, il buon umore e la produttività, contrastando la depressione e le patologie neurodegenerative.depressione unsplash vladislaw nahorny

Il BDNF si presenta come una piccola “proteina” della famiglia delle neurotrofine, capace nei vertebrati di proteggere le cellule nervose, di migliorarne il funzionamento e finanche di promuoverne la rigenerazione, sia pure in condizioni particolari e con alcuni limiti.

Infatti, per quanto i mammiferi sviluppino la gran parte dei neuroni del cervello essenzialmente nella fase embrionale e in ben precisi siti cerebrali, è acclarato che determinate cellule nervose fra quelle definite “staminali neurali” abbiano la capacità di rinnovarsi differenziandosi anche ben oltre la vita intrauterina; sembra inoltre che tracce di BDNF possano trovarsi anche in aree del corpo esterne all’encefalo, ad esempio nei reni e nella saliva.

A seconda della zona del cervello adulto in cui i nuovi neuroni si sviluppano, questi acquisiscono proprietà distintive di multipotenzialità e automantenimento all’interno di strutture encefaliche - cosiddette “nicchie neurogeniche” - per essere poi integrati dal sistema nervoso in circuiti funzionali secondo dinamiche e meccanismi non ancora sufficientemente conosciuti, ma che, una volta individuati in tutta la loro complessità, potrebbero consentire la “riparazione” di organi e di altre parti del corpo mediante il rimpiazzo di qualsiasi tipologia di cellula malata (anche nervosa) con cellule programmate.

Si tratta di una ricerca di grande valore scientifico la quale - pur non riguardando un futuro immediato – giustifica aspettative di cura mirate al rallentamento dei processi di invecchiamento ma soprattutto alla lotta contro gravi patologie neurodegerative (come ad esempio l’Alzheimer, il Parkinson, la malattia di Huntington …), e contro altre malattie estremamente diffuse e talora invalidanti come la depressione.

Con particolare riferimento ai malati neurologici, sono allo studio protocolli finalizzati ad incrementare in loro il Fattore Neurotrofico Cerebrale per migliorarne la qualità di vita e prevenire la neurodegenerazione; il problema è nella difficoltà di somministrare questo fattore di crescita nel cervello in quanto costituito da molecole che non riescono ad oltrepassare la “barriera emato-encefalica”, cioè la struttura funzionale che protegge la materia cerebrale. In una sperimentazione eseguita all’Università di Pisa, però, la somministrazione di BDNF avvenuta mediante una nuova tecnica di iniezione oculare ha dato risultati straordinari: il BDNF venuto a contatto con la retina è giunto a livello centrale attraverso il nervo ottico, cosicché una sola iniezione ha salvato dalla morte neuronale più o meno il 50% dei neuroni coinvolti nei postumi di una lesione. Ma c’è di più: la funzionalità di questi neuroni, opportunamente verificata, si è rivelata del tutto normale.  

Altri studi particolarmente interessanti sull’alimentazione umana (condotti in Francia dai ricercatori dell’Università di Lione e pubblicati sulla rivista The Journal of Nutritional Biochemistry) hanno fatto il punto sul ruolo del DHA, un acido grasso semiessenziale della serie Omega 3. Premesso che l’aggettivo “semiessenziale” sta a significare che i cibi provvisti di questo acido grasso (prevalentemente pesce come salmone, tonno, sgombro, sardine, ecc. nonché alcune microalghe) possono essere sintetizzati dall’organismo indipendentemente da eventuali carenze di natura metabolica, si precisa che negli ultimi anni ha proliferato una letteratura comprovante sia gli effetti neuroprotettivi del DHA, sia il suo contributo alla normalizzazione dei livelli BDNF conseguiti ad una lesione cerebrale di natura traumatica.

Secondo gli studiosi, l’attività benefica del DHA sui livelli di BDNF comincia a manifestarsi già a dosi di 50/ 200 mg/die, anche se il migliore dosaggio individuale dovrebbe oscillerare da 1 a 4 grammi al giorno. Si noti che la scarsità di DHA è stata riscontrata nel sangue e nel tessuto cerebrale di pazienti affetti da Alzheimer, fibrosi cistica, disturbi dell’attenzione ed altre patologie: sono dati che provano l’importanza del DHA negli equilibri dell’organismo e nella prevenzione delle malattie, a cominciare da quelle neurologiche che inducono il declino cognitivo.

E’ bene precisare come, fermo restando che la forma più efficace di assunzione di DHA viene dal consumo di determinati prodotti in massima parte di origine ittica, gli integratori a base di DHA (peraltro facilmente ossidabili) andrebbero presi di preferenza ai pasti; dovrebbero altresì essere protetti da luce e calore, e contenere antiossidanti. Va inoltre raccomandato che in gravidanza, durante l’allattamento, e durante una terapia antiaggregante o antitrombotica, l’uso di detti integratori avvenga sotto supervisione medica (una supervisione comunque sempre consigliabile anche al di fuori dei casi indicati) che assicuri un controllo sanitario sulla coagulazione, a quanto pare influenzabile dalla somministrazione di DHA.

Una ricerca condotta in Olanda ha dimostrato che i livelli di BDNF subiscono oscillazioni stagionali, così da far ipotizzare che i tempi di esposizione del corpo alla luce solare – a sua volta responsabile dei livelli di vitamina D nell’organismo - siano in grado di condizionare non soltanto l’insorgenza di malattie ossee e cardiovascolari, ma anche l’andamento dell’umore e diverse forme di depressione.

Atteso pertanto che statisticamente l’80% della popolazione mondiale non gode di livelli ottimali di vitamina D, appare auspicabile che questi – ove non soddisfacenti - siano ottimizzati attraverso l’elioterapia (bagni solari), una dieta ricca di alimenti contenenti questa vitamina (funghi, fegato bovino, olio di fegato di merluzzo, formaggi grassi, tonno, ostriche, ecc.) o cibi con essa addizionati (ad esempio latte, yogurt e cereali arricchiti), o ancora l’impiego di appositi integratori alimentari o farmaci. Di riflesso, con il ristabilimento di adeguati livelli di vitamina D, si avranno ricadute positive anche sui livelli di BDNF.

La vitamina B3 (cosiddetta “niacina”), il resveratrolo (sostanza contenuta nella buccia scura di frutti come uva, mirtilli, prugne, bacche, ecc.), l’olio di Krill (estratto da piccoli crostacei marini) e l’aggiunta di curcumina nella preparazione di alimenti e bevande (o l’assunzione controllata di integratori che la contengano) contribuiscono tutti al mantenimento dei livelli di BNDF, con ciò facilitando la stabilizzazione dell’umore in soggetti tendenzialmente depressi e la prevenzione di svariate malattie.  

Con espresso riferimento alla curcumina, in via prudenziale il Ministero della Salute fornisce specifiche indicazioni per l’etichettatura del prodotto, posto che ne sconsiglia l’uso “a soggetti con alterazioni della funzione epato-biliare o con calcolosi delle vie biliari, ed invita, in caso di concomitante assunzione di farmaci, a sentire il parere del medico”. Precauzioni e parere medico sull’assunzione di curcumina sono raccomandate anche alle donne in gravidanza o in allattamento.

Un dato molto positivo piuttosto inaspettato riguarda il tè verde. Un apposito studio su pazienti con disturbi cognitivi, condotto a Los Angeles dalla University of Southern California, ha dimostrato che una sostanza detta “catechina” presente per l’appunto in questa bevanda, accresce le concentrazioni di Fattore Neurotrofico Cerebrale nel cervello, così da determinare un “supporto significativo” nel trattamento delle alterazioni delle funzioni cognitive.

Conclusivamente, migliorare la salute del cervello e preservare le abilità cognitive dal declino cagionato da malattie neurodegenerative, invecchiamento e depressione, è possibile. Alla base deve esserci un’attività di adeguata prevenzione delle patologie derivanti da fattori genetici predisponenti, una sana alimentazione eventualmente personalizzata (soprattutto caratterizzata da ridotte quantità di “zuccheri semplici” che sarebbe bene non superarassero la quota calorica del 5-10%, ridotte quantità di grassi animali come burro e strutto, e altresì ridotte quantità di grassi vegetali idrogenati come le margarine), un’attività fisica adeguata alle condizioni di salute, ambiente sociale stimolante, mantenimento di un atteggiamento di interesse e curiosità verso l’apprendimento di nuove conoscenze/abilità, e infine attenzione per la qualità del sonno.more lamponi pexels pixabay 208526

Si ribadisce infine per tutti che l’impiego di integratori alimentari di qualsiasi genere è consigliabile previa consultazione di un esperto della nutrizione che tenga in debito conto eventuali intolleranze o effetti collaterali, e che l’uso di farmaci quali gli antidepressivi o il ricorso ad altre terapie è strettamente riservato al vaglio e alla prescrizione del medico.

 

NOTA BENE: Questo articolo ha carattere puramente informativo, e in nessun caso può sostituire valutazioni e prescrizioni mediche.

Mirella Elisa Scotellaro

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