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Disturbi del sonno: sintomi di una patologia?

Riposare bene, oltre che a sufficienza, è  essenziale per sentirsi in buona salute fisica e mentale.

Ma quanto bisognerebbe dormire? E qual è il limite minimo di ore di sonno giornaliere al di sotto del quale può parlarsi di “insonnia”? Lo stabilisce la National Sleep Foundation nella “Tabella del sonno”, attraverso un documento pubblicato quest’anno sulla rivista Sleep Health. E’ il frutto dell’analisi di ben 300 studi sul tema, in collaborazione con diversi centri specializzati tra cui l’American Accademy of Pediatrics e l’American Geriatrics Society.

TABELLA DEL SONNO: quanto dobbiamo dormire

A seconda delle età vi è un range orario di sonno raccomandato per stare bene:cervello umano

  • Neonati 0-3 mesi: sonno raccomandato dalle 14 alle 17 ore; appropriato 11-13 ore e fino a 18-19 ore;
  • dai 4 agli 11 mesi: sonno raccomandato dalle 12 alle 15 ore; appropriato da 10-11 ore fino a 16-18;
  • 1-2 anni: sonno raccomandato dalle 11 alle 14 ore; appropriato da 9-10 ore  fino  a 15-16;
  • 3-5 anni: sonno raccomandato 10-13 ore; appropriato da 8-9 ore fino a 14;
  • 6-13 anni: sonno raccomandato 9-11 ore; appropriato da 7-8 ore fino a 12;  
  • 14-17 anni: sonno raccomandato 8-10 ore; appropriato da 7 ore fino a 11;
  • 18-25 anni: sonno raccomandato 7-9 ore; appropriato da 6 ore fino a 10-11;
  • 26-64 anni: sonno raccomandato 7-9 ore; appropriato da 6 ore fino a 10;
  • 65 anni e oltre: sonno raccomandato 7-8 ore; appropriato da 5-6 ore fino a 9.

Fatta questa importante premessa, e appurato che il numero ottimale di ore di sonno è personale (con oscillazioni che rispettano un bioritmo individuale), può reputarsi che i disturbi del sonno che inducono a dormire troppo poco rispetto ai livelli minimi indicati nella tabella - quando non costituiscono eventi occasionali e persistono nonostante l’assenza di una causa giustificatrice - possano sfociare in una vera e propria malattia, molto più insidiosa di quanto comunemente non si creda.

Va  precisato che i processi fisiologici e biochimici dell’organismo durante il sonno a tutt’oggi sfuggono in gran parte alla scienza; tuttavia le ricerche condotte dagli esperti in questi ultimi anni hanno svelato alcune importanti conseguenze direttamente riconducibili alla mancanza di un corretto ritmo sonno-veglia.

Come tutti sanno, il soggetto che non dorme per un periodo circoscritto alle 24 ore consecutive appare facilmente irritabile,  poco concentrato sulla conduzione delle abituali attività, con possibili disturbi della vista (ad esempio bruciore agli occhi, visione appannata), tempi di reazione più o meno alterati e, talvolta,  difficoltà nel coordinamento del linguaggio e nella capacità di ricordare. Facile, dunque, immaginare quanto il problema possa accrescersi - fino a diventare letteralmente insostenibile – nell’evenienza che diventi cronico! Queste le risultanze di una serie di studi.

I ricercatori della University School of Medicine di St. Louis del Missouri hanno scoperto che durante il periodo di veglia il cervello produce una maggior quantità di beta-amiloidi, cioè di proteine che si depositano tra i neuroni frenandone l’attività; il tasso di questi beta-amiloidi aumenta sensibilmente nei soggetti in cui la veglia viene indotta forzatamente, causando lo sviluppo di vere e proprie “placche tossiche” idonee ad aggravare il decorso del morbo di Alzheimer.

cervello petIl Dott. Adam Spina ha analizzato l’attività cerebrale di una settantina di pazienti ultrasettantenni i quali sono stati sottoposti ad una PET (tomografia ad emissione di positroni) e, pur non riuscendo a dimostrare un nesso diretto tra l’insonnia e le malattie neurodegenerative, ha riscontrato come la quantità di placche rilevabili fosse direttamente proporzionale al numero delle ore di sonno perse. I dati raccolti gli hanno consentito di  pervenire alla conclusione che “il ricorso a terapie che facilitano il riposo potrebbe aiutare a prevenire o ridurre i segnali della demenza”.

Il Dott. Christian Benedetto, coordinatore del Dipartimento di neuroscienze dell’Università di Uppsala, ha effettuato una serie di rilevazioni su 15 ragazzi nei quali la perdita del sonno ha indotto nel sangue un incremento della proteina S-100 B e dell’enzima NSE, cioè degli stessi “marcatori” che indicano danni cerebrali, deducendone che l’assenza di sonno non solo può compromettere momentaneamente l’efficienza delle funzioni cerebrali, ma può eventualmente produrre effetti indesiderati prolungati nel tempo, se non – talora - effetti permanenti.

Rachel Salas, professore associato di neurologia e specialista sui disordini del sonno presso l’Howard County General Hospital, ha spiegato che “l’insonnia non è un problema notturno ma una condizione cerebrale che dura 24 ore su 24, come una luce sempre accesa”; in pratica si realizza uno stato di sofferenza del cervello il quale viene continuamente investito da un “sovraccarico di informazioni” . In casi di questo genere, si osserva una maggiore eccitabilità neuronale - cosiddetta “plasticità cerebrale” – ma non si è ancora riusciti a stabilire se questa condizione sia la causa oppure l’effetto dell’insonnia stessa.

Altri autorevolissimi studi, condotti su volontari, concordano tutti con le risultanze fin qui esposte, giungendo alla determinazione che l’insonnia – soprattutto nel lungo termine – può arrivare a danneggiare direttamente il cervello, nonché ad influire in senso negativo sulle malattie neurodegenerative come la demenza,  con le quali però, allo stato attuale delle ricerche, non è stato possibile stabilire l’esistenza di alcun rapporto causa-effetto.

Lo conferma il Prof. David Holtzman, coordinatore di “una strategia di prevenzione contro le malattie neurodegenerative”, secondo il quale può affermarsi che “i risultati dello studio suggeriscono come sia necessario dare la giusta priorità ai disturbi del sonno, non solo per  i loro numerosi effetti acuti, ma anche per i potenziali impatti a lungo termine sulla salute del cervello”.

Le sperimentazioni effettuate hanno infine dimostrato in che modo l’impiego di una molecola denominata “orexina”, (tassativamente da prescriversi e da somministrare sotto stretto controllo medico) può rivelarsi funzionale alla regolazione del ritmo sonno-veglia”.

Senza cadere in inutili allarmismi per qualche nottata passata in bianco in via del tutto sporadica, è pertanto altamente raccomandabile rivolgersi sempre al proprio dottore di fiducia e – all’occorrenza – pure ad uno specialista, qualora i disturbi del sonno dovessero insistere senza motivo apparente: in tale evenienza, sottovalutarli (o, peggio ancora, pensare di potersi affidare ad una soluzione “fai-da-te”) potrebbe rivelarsi un grave errore foriero di ulteriori complicanze.

N.B. Questo articolo, avendo finalità puramente informativa, non può in nessun caso sostituire né le valutazioni del medico né  le sue prescrizioni.

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