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Ricordi d'infanzia. Riflessioni dell'artista e scrittore Roberto Bombassei

ricordi infanzia

La felicità, parola usata e abusata, non dipende da chi siamo, da cosa abbiamo e possediamo, dai nostri successi , dagli affetti.

La felicità è nascosta in una parte della nostra anima.
Come si fa a trovarla?
Non saprei, ma se, nel buio della notte, chiudiamo gli occhi, forse apparirà .
A me si rivela, talvolta ,sotto forma di un’ immagine. Mi succede di immaginare un falco che vola sopra una montagna innevata.
Questa immagine mi dà serenità.
Ed è proprio in quel preciso momento che affiorano, nel palazzo della mia memoria, i ricordi della mia infanzia.
Le estati in montagna, a Sagrogna, piccola frazione tra Belluno e Ponte nelle Alpi, con mio padre Francesco , mia madre Rosangela, mio fratello Davide e mia nonna Franca.
Qui , fin dalla tenera età, ho passato le mie vacanze. Qui, fino dall’ età dei miei quattordici anni, sono cresciuto ed è qui ,in questo luogo, che sono impressi i miei ricordi più sereni, liberi, felici.
Sono un uomo oggi sereno , libero e felice perché ho avuto un ‘infanzia serena libera e felice. Grazie ai miei genitori.
Spero che anche i miei figli lo siano.

Una sera d’inverno mio padre Francesco iniziò a raccontare a me e mio figlio Edoardo qualcosa di cui non ero a conoscenza .

Mentre parlavamo di libri, mia passione, si ricordò improvvisamente di una cosa che successe a suo nonno, padre di suo padre, quindi mio bisnonno, che si chiamava come lui, Francesco.
Il bisnonno Francesco abitava a Sagrogna . Acquistò lui la casa dove, fin da piccolo, andiamo a trascorrere le vacanze estive.
Sagrogna è una piccola frazione a un paio di chilometri di distanza da Belluno e Ponte nelle Alpi.
La nostra casa è una casa su tre piani, circondata da un prato verde è l’ultima abitazione prima di prendere una via dissestata che conduce al fiume Piave.

Separa la nostra proprietà dalla strada un muretto basso di pietra, meta dei giochi e dei sogni della mia infanzia.
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Nonno Francesco era un contadino. Campi da seminare, frutta e uva da raccogliere. Ma ,oltre a ciò ,aveva coltivato una straordinaria amicizia.
Lì vicino, ad un paio di chilometri, abitava uno scrittore che tutte le settimane faceva la spola tra Belluno e la Lombardia.
Mio nonno e il signore che scriveva libri, si trovavano spesso quando Lui ritornava dalla fredda Milano.
Bevevano insieme, si scambiavano riflessioni e si raccontavano a vicenda delle montagne che li circondavano.
Nonno Francesco, ogni lunedì , prendeva al mattino presto il suo carretto e andava a casa del signore che scriveva libri.

Dopo aver bevuto insieme lo scrittore, leggero come un’ombra sincera, lo accompagnava alla stazione di Belluno e, tutte le settimane, al venerdì sera, lo accoglieva nuovamente per riportarlo a casa.
Quando penso a nonno Francesco sorrido e gioisco.
Perché aveva avuto la fortuna di avere questo amico illustre. Il signore che scriveva libri era infatti il grande Dino Buzzati.

Quanto amo leggere Dino Buzzati! La sua casa si trova praticamente a qualche chilometro da casa mia.

I suoi racconti, carichi di una misteriosa energia , rimangono impressi dentro me ogni volta che li leggo.E , sopratutto, mi fanno riflettere sul loro contenuto.

Nella sua opera " SESSANTA RACCONTI", vincitore del Premio strega ,nel 1958, fu Lui stesso che scelse i primi 36 racconti tra quelli già pubblicati in tre diversi volumi.

L'edizione ,pubblicata da Mondadori nella collana Oscar classici moderni ,raffigura in copertina un'opera dello stesso Buzzati: la tela dal titolo Piazza del Duomo di Milano, dipinta nel 1952.

Il mio consiglio? Leggete tutta l'opera. Cosi potete dire : non è meraviglioso "I sette messaggeri"? Non è meraviglioso " Appuntamento con Einstein"? E " Le tentazioni di sant'Antonio"?

Ma il mio preferito rimane "La parola proibita". Per idee , concetto e sviluppo, soprattutto per i pensieri che genera. Leggetelo qui di seguito. Ognuno di noi ,metta la parola che più crede.

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La parola proibita

Da velati accenni, scherzi allusivi, prudenti circonlocuzioni, vaghi sussurri, mi sono fatto finalmente l'idea che in questa città, dove mi sono trasferito da tre mesi, ci sia il divieto di usare una parola. Quale? Non so. Potrebbe essere una parola strana, inconsueta, ma potrebbe trattarsi anche di un vocabolo comune, nel qual caso, per uno che fa il mio mestiere, potrebbe nascere qualche inconveniente.

Più che allarmato, incuriosito, vado dunque a interpellare Geronimo, mio amico, saggio fra quanti io conosco, che vivendo in questa città da una ventina d'anni, ne conosce vita e miracoli.

"E' vero" egli mi risponde subito. "E' vero. C'è da noi una parola proibita, da cui tutti girano alla larga."

"E che parola è?"

"Vedi?" mi dice. "Io so che sei una persona onesta, di te posso fidarmi. Inoltrati sono sinceramente amico. Con tutto questo, credimi, meglio che non te la dica. Ascolta: io vivo in questa città da oltre vent'anni, essa mi ha accolto, mi ha dato lavoro, mi permette una vita decorosa, non dimentichiamolo. E io? Da parte mia ne ho accettate le leggi lealmente, belle o brutte che siano. Chi mi impediva di andarmene? Tuttavia sono rimasto. Non voglio darmi le arie da filosofo, non voglio certo scimmiottare Socrate quando gli proposero la fuga di prigione, ma veramente mi ripugna contravvenire alla norma della città che mi considera suo figlio… sia pure in una minuzia simile. Dio sa, poi, se è davvero una minuzia…"

"Ma qui parliamo in tutta . Qui non ci sente nessuno. Geronimo, suvvia, potresti dirmela, questa parola benedetta. Chi ti potrebbe denunciare? Io?"

"Constato" osservò Geronimo con un ironico sorriso "constato che tu vedi le cose con la mentalità dei nostri nonni. La punizione? Sì, una volta si credeva che senza punizione la legge non potesse avere efficacia coercitiva. Ed era vero, forse. Ma questa è una concezione rozza, primordiale. Anche se non è accompagnato da sanzione, il precetto può assurgere a tutto il suo massimo valore; siamo evoluti, noi."

"Che cosa ti trattiene, allora? La coscienza? Il presentimento del rimorso?"

"Oh, la coscienza! Povero ferravecchio. Sì, la coscienza, per tanti secoli ha reso agli uomini inestimabili servigi; anche lei tuttavia ha dovuto adeguarsi ai tempi, adesso è trasformata in qualcosa che le assomiglia solo vagamente, qualcosa di più semplice, più standard, più tranquillo direi, di gran lunga meno impegnativo e tragico."

"Se non ti spieghi meglio…"

"Una definizione scientifica ci manca. Volgarmente lo si chiama conformismo. E' la pace di colui che si sente in armonia con la massa che lo attornia. Oppure è l'inquietudine, il disagio, lo smarrimento di chi si allontana dalla norma."

"E questo basta?"

"Altroché, se basta! E' una forza tremenda, più potente dell'atomica. Naturalmente non è dovunque uguale. Esiste una geografia del conformismo. Nei paesi arretrati è ancora in fasce, in embrione, o si esplica disordinatamente, a suo capriccio, senza direttive. La moda ne è un tipico esempio. Nei paesi più moderni, invece, questa forza si è ormai estesa a tutti i campi della vita, si è completamente rassodata, è sospesa si può dire nell'atmosfera stessa: ed è nelle mani del potere."

"E qui da noi?"

"Non c'è male, non c'è male. La proibizione della parola, per esempio, è stata una sagace iniziativa dell'autorità appunto per saggiare la maturità conformistica del popolo. Così è. Una specie di test. E il risultato è stato molto, ma molto superiore alle previsioni. Quella parola è tabù, oramai. Per quanto tu possa andarne in cerca col lumino, garantito che, qui da noi, non la incontri assolutamente più, neanche nei sottoscala. La gente si è adeguata in men che non si dica. Senza bisogno che si minacciassero denunce, multe, o carcere."

"Se fosse vero quanto dici, allora sarebbe facilissimo far diventare tutti onesti."

"Si capisce. Però ci vorranno molti, molti anni, decenni, forse secoli. Perbacco, proibire una parola è facile, rinunciare a una parola non costa gran fatica. Ma gli imbrogli, le maldicenze, i vizi, la slealtà, le lettere anonime, sono cose grosse… la gente ci si è affezionata, prova a dirle un po' che ci rinunzi. Questi sì sono sacrifici. Inoltre la spontanea ondata conformistica, da principio, abbandonata a se stessa, si è diretta verso il male, i porci comodi, i compromessi, la viltà. Bisogna farle invertire rotta, e non è facile. Certo, col tempo ci si riuscirà, puoi star certo che ci si riuscirà."

"E tu trovi bello questo? Non ne deriva un appiattimento, una uniformità spaventosa?"

"Bello? Non si può dire bello. In compenso è utile, estremamente utile. La collettività ne gode. In fondo - ci hai mai pensato? - i caratteri, i "tipi", le personalità spiccate, fino a ieri così amate e affascinanti, non erano in fondo che il primo germe dell'illegalità, dell'anarchia. Non rappresentavano una debolezza nella compagine sociale? E, in senso opposto, non hai mai notato che nei popoli più forti c'è una straordinaria, quasi affliggente, uniformità di tipi umani?"

"Insomma, questa parola, hai deciso di non dirmela?"

"Figliolo mio, non devi prendertela. Renditi conto: non è per diffidenza. Se te la dicessi, mi sentirei a disagio."

"Anche tu? Anche tu, uomo superiore, livellato alla quota della massa?"

"Così è, mio caro" e scosse melanconicamente il capo. "Bisognerebbe essere titani per resistere alla pressione dell'ambiente."

"E la ? Il supremo bene? Una volta l'amavi. Pur di non perderla, qualsiasi cosa avresti dato. E adesso?"

"Qualsiasi cosa, qualsiasi cosa… gli eroi di Plutarco… Ci vuol altro… Anche il più nobile sentimento si atrofizza e si dissolve a poco a poco, se nessuno intorno ne fa più caso. E' triste dirlo, ma a desiderare il Paradiso non si può essere soli."

"Dunque: non me la vuoi dire? E' una parola sporca? O ha un significato delittuoso?"

"Tutt'altro. E' una parola pulita, onesta e tranquillissima. E proprio qui si è dimostrata la finezza del legislatore. Per le parole turpi o indecenti, c'era già un tacito divieto, anche se blando, … la prudenza, la buona educazione. L'esperimento non avrebbe avuto gran valore."

"Dimmi almeno: è un sostantivo? un aggettivo? un verbo? un avverbio?"

"Ma perché insisti? Se rimani qui tra noi, un bel giorno la identificherai anche tu, la parola proibita, all'improvviso, quasi senza accorgertene. Così è, figliolo mio. La assorbirai dall'aria."

"Bene, vecchio Geronimo, sei proprio un testone. Pazienza. Vuol dire che per cavarmi la curiosità dovrò andare in biblioteca, a consultare i Testi Unici. Ci sarà al proposito una legge, no? E sarà stampata questa legge! E dirà bene cos'è proibito!"

"Ahi, ahi, sei rimasto in arretrato, ragioni ancora con i vecchi schemi. Non solo: ingenuo, sei. Una legge che, per proibire l'uso di una parola, la nominasse, contravverrebbe automaticamente a se stessa, sarebbe una mostruosità giuridica. E' inutile che tu vada in biblioteca."

"Via, Geronimo, ti prendi gioco di me! Ci sarà ben stato qualcuno che ha avvertito: da oggi la parola X è proibita. E l'avrà pur nominata, no? Altrimenti la gente come avrebbe fatto a sapere?"

"Questo, effettivamente, è l'aspetto forse un poco problematico del caso. Ci sono tre teorie: c'è chi dice che la proibizione è stata diffusa a voce da agenti della municipalità travestiti. C'è chi garantisce di aver trovato a casa sua, in busta chiusa, il decreto del divieto con l'ordine di bruciarlo appena letto. Ci sono poi gli integralisti - pessimisti li chiameresti tu - che sostengono addirittura non esserci stato bisogno di un ordine espresso, a tal punto i cittadini sono pecore; è bastato che l'autorità volesse, e tutti lo hanno subito saputo, per una specie di telepatia."

"Ma no saranno mica diventati tutti vermi. Per quanto pochi, esisteranno ancora qui in città dei tipi indipendenti che pensano con la propria testa, degli oppositori, eterodossi, ribelli, fuorilegge, chiamali pure come vuoi. Capiterà, no, che qualcuno di costoro, a titolo di sfida, pronunci o scriva la parola incriminata? Cosa succede allora?"

"Niente, assolutamente niente. Proprio qui sta lo straordinario successo dell'esperimento. Il divieto è così entrato nella profondità degli animi da condizionare la percezione sensoriale."

"Come sarebbe a dire?"

"Che, per un veto dell'inconscio, sempre pronto a intervenire, in caso di pericolo, se uno pronuncia la nefanda parola, la gente non la sente più nemmeno, e se la trova scritta non la vede…"

"E al posto della parola cosa vede?"

"Niente, il muro nudo se è scritta sul muro, uno spazio bianco sulla carta se è scritta su di un foglio."

Io tento l'ultimo assalto: "Geronimo, ti prego: tanto per curiosità, oggi, qui, parlando con te, l'ho mai adoperata questa parola misteriosa? Almeno questo me lo potrai dire, non ci rimetti proprio niente."

Il vecchio Geronimo sorride e strizza un occhio.

"L'ho adoperata, allora?"

Lui strizza ancora l'occhio. Ma una sovrana mestizia improvvisamente illumina il suo volto.

"Quante volte? Non fare il prezioso, su, dimmi, quante volte?"

"Quante volte non so, guarda, parola mia d'onore. Anche se l'hai pronunciata, io udirla non potevo. Però mi è parso, ecco, che a un certo punto, ma ti giuro non mi ricordo dove, ci sia stata una pausa, un brevissimo spazio vuoto, come se tu avessi pronunciato una parola e il suono non me ne fosse giunto. Può anche darsi però che si trattasse di una involontaria sospensione, come succede sempre nei discorsi."

"Una volta sola?"

"Oh, basta. Non insistere."

"Sai cosa faccio allora? Questo colloquio, appena ritorno a casa, io lo trascrivo, parola per parola. E poi lo do alle stampe."

"A che scopo?"

"Se è vero quello che hai detto, il tipografo, che possiamo presumere sia un buon cittadino, non vedrà la parola incriminata. Dunque le possibilità sono due: o egli lascia uno spazio vuoto nella riga di piombo e questo mi spiegherà tutto; o invece tira diritto senza spazi vuoti e in questo caso non avrò che da confrontare lo stampato con l'originale di cui naturalmente tengo copia; e così saprò qual è la parola."

Rise Geronimo, bonario.

"Non caverai un ragno dal buco, amico mio. A qualsiasi tipografo tu ti rivolga, il conformismo è tale che il tipografo automaticamente saprà come comportarsi per eludere la tua piccola manovra. Egli cioè, una volta tanto, vedrà la parola scritta da te - ammesso che tu la scriva - e non la salterà nella composizione. Sta pur tranquillo, sono ben addestrati i tipografi, da noi, e informatissimi."

"Ma scusa, che scopo c'è in tutto questo? Non sarebbe un vantaggio per la città se io apprendessi qual è la parola proibita, senza che nessuno la nomini o la scriva?"

"Per adesso probabilmente no. Dai discorsi che mi hai fatto è chiaro che non sei ancora maturo. C'è bisogno di una iniziazione. Insomma, non ti sei ancora conformato. Non sei ancora degno - secondo l'ortodossia vigente - di rispettare la legge."

"E il pubblico, leggendo questo dialogo, non si accorgerà di niente?"

"Semplicemente vedrà uno spazio vuoto. E, semplicemente, penserà: che disattenti, hanno saltato una parola."

 

Grazie Sig. Buzzati, per averci regalato " perle". Si ringrazia per le bellissime foto Alessandro e Annalisa Mastelli.

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