Anni del pontificato di Papa Pio IV
2° PARTE - GLI ANNI DEL PONTIFICATO DI PIO IV IL PAPA DELLA BOLLA DEL PERDONO
L’Europa che vide l’elezione di Pio IV la notte di Natale del 1559 stava vivendo uno dei periodi più travagliati dall’epoca delle invasioni barbariche. L’Europa Cristiana, infatti, era ormai minacciata ed accerchiata dall’incipiente vento della “Riforma”: Lutero in effetti aveva conquistato alla “nuova Fede” oltre ad una fetta consistente del popolo, anche molte famiglie principesche tedesche che vedevano, da una parte, nella secolarizzazione dei beni della Chiesa un notevole introito ed espansione dei propri territori, dall’altra un appoggio alle continue rivolte di popolazioni affamate che, come la “Rivolta dei Contadini” nel 1525, stavano mettendo a ferro e fuoco intere regioni.
Nel 1526 Lutero diede alle stampe la Deudsche Messe, il nuovo Messale di Culto, mentre l’Imperatore Carlo V, che in un primo tempo era rimasto indifferente, cercava di porre rimedio e dirimere la faccenda, convocando la Dieta imperiale a Spira. L’appoggio dato dall’Imperatore ai principati tedeschi rimasti fedeli alla “vecchia” religione e a quanti cercavano con ogni mezzo di fermare la Riforma provocò la “Protesta” di Lutero e dei suoi adepti, capeggiati dal Landgravio Filippo d’Assia: da allora in poi “Protestanti” si chiamarono tutti coloro che abiurando la Religione Cattolica si fossero convertiti a quella Riformata di Lutero.
Si stabilì così il principio del Cujus Regio ejus Religio, cioè il popolo avrebbe seguito il culto del Signore al quale apparteneva lo stato o il territorio in cui aveva la propria abitazione. Tra gli uomini di cultura il primo ed il più importante tra quanti avvertirono il pericolo imminente fu Erasmo da Rotterdam (1466-1536). Considerato uno dei Fari del pensiero di ogni tempo, una specie di Voltaire ante litteram, aveva già stigmatizzato con l’opera Elogio della Pazzia, del 1509, la vita dissoluta e simoniaca dei papi e del clero. Davanti però alla minaccia dell’eresia e dello scisma luterano, si schierò apertamente con la Chiesa con l’opera De libero arbitrio, nel 1524, a cui Lutero, stizzito, rispose con il De servo arbitrio; la querelle andò avanti fino alla morte dei due protagonisti, fra un continuo batti e ribatti di tesi contrastanti senza fine. In Inghilterra, dopo il breve regno di Edoardo VI (1547-1553) e quello della sorellastra Maria I (1553-1558), la quale aveva cercato di riportare il paese sotto l’obbedienza romana, usando metodi coercitivi che non rifuggivano dalla tortura e dal rogo, tanto da essere soprannominata Maria la Cattolica o la Sanguinaria, si arrivò al regno di Elisabetta I (1558-1603). Se in un primo tempo essa rimase indifferente alle questioni religiose, in un secondo tempo approvò il culto imposto dal padre, Enrico VIII, creando, in campo politico, i presupposti della futura potenza sui mari e coloniale dell’Inghilterra.
Mentre in Europa accadevano questi rivolgimenti la Roma del 1559 stava profondamente cambiando sia fisicamente che religiosamente sotto la ventata moralizzatrice del precedente pontificato e sotto gli impulsi del nascente movimento riformistico del Concilio di Trento ancora in atto. Tra i motivi di preoccupazione e che costituiva uno dei tratti salienti della Roma cinquecentesca e che, tra alti e bassi, purtroppo, sarà una delle caratteristiche di quella secentesca, era l’altissima percentuale di prostitute, tanto da essere definita dagli storici come la capitale del cristianesimo e della prostituzione in Italia. La splendida Roma rinascimentale non solo aveva attratto da ogni dove artisti incomparabili, brillanti pensatori o letterati di fama, ma anche avventurieri di ogni risma, centinaia di domestici impiegati nella curia o nelle sfarzose dimore cardinalizie. Questa folla di cortigiani e di parassiti, a cui andavano aggiunti quei nobili che, per decisione familiare, erano stati costretti a scegliere lo stato ecclesiastico o monacale, cercavano naturalmente i propri piaceri lontano dalla famiglia e dai conventi tra “salotti di alto o di basso bordo”; secondo lo storico U. Gnoli a Roma, nel 1526, vivevano quasi 5000 prostitute su 55000 abitanti. Papa Paolo IV ed ancor di più il successore di Pio IV, S. Pio V Ghislieri (1566-1572), cercarono di porre rimedio alla situazione con misure, a volte draconiane, atte almeno ad una limitazione del fenomeno.
L’altro aspetto saliente fu l’incremento urbanistico: infatti uno dei primi atti del nuovo pontefice fu, fra il 1563 ed il 1566, la trasformazione del Tepidarium delle Terme di Diocleziano nella Chiesa di S. Maria degli Angeli su progetto di Michelangelo; secondo il desiderio dei nipoti del papa, in questa Chiesa, le spoglie di Pio IV vennero traslate nel 1583 e ivi si trovano ancor oggi. Negli splendidi giardini il pontefice fece erigere una villa, ancor oggi nota come la “Casina di Pio IV”, considerata dagli storici dell’arte, un “capolavoro architettonico per l’armonia delle proporzioni e per la bellezza della composizione. Uno dei più alti esempi dell’architettura Manierista in Italia”. Tra i fatti del nostro Risorgimento spicca poi per importanza la celebre “Breccia di Porta Pia”, attraverso la quale il 20 settembre 1870 i bersaglieri entrarono nella “Città Eterna” realizzando così il desiderio dell’Unità nazionale con Roma Capitale d’Italia; tale atto portò alla ribalta un’altra delle opere di Pio IV: la porta omonima, ultima opera di Michelangelo, con la quale il pontefice volle sistemare, nel 1563, l’asse viario sulla via Nomentana, aumentando così la viabilità e il traffico commerciale. Egli ordinò inoltre la ristrutturazione di altre strade consolari e la costruzione di fontane ed il restauro degli antichi acquedotti, con le quali si tentò di migliorare l’apporto di acqua in alcuni quartieri romani.
Da un punto di vista politico Pio IV confidava ai suoi collaboratori che, una volta eletto, tre “C” lo avrebbero tormentato: la prima, erano i nipoti del defunto Paolo IV, i Caràfa, giovani smidollati, innalzati alle più alte cariche dallo zio e che, abituati a spadroneggiare nei territori dello Stato della Chiesa, si erano macchiati di nefandezze e crimini di ogni genere; con rapidi processi il cardinale Carlo e suo fratello Giovanni vennero condannati e giustiziati come monito a tutti coloro usi ad avvalersi delle proprie prerogative e della propria influenza per commettere violenze di ogni tipo; “le dure condanne dei Caràfa e la confisca dei loro beni, dei benefici e delle prebende, significarono un duro colpo inferto al Grande nepotismo [...], vera strategia familiare volta a promuovere la supremazia sociale e politica del casato”. La seconda “C” fu costituita dai Cardinali; Pio IV fu il creatore di quella figura che storicamente andò sotto il nome di “Cardinal Nepote”, un parente del pontefice che grazie alle proprie capacità umane e culturali veniva assunto dal papa come collaboratore e mediatore tra il pontefice, la Curia e le autorità politiche; il primo fu il nipote, San Carlo Borromeo, che abbiamo visto essere investito del titolo cardinalizio a soli 22 anni.
E’ proprio in questi anni che cade l’avvenimento che si suole chiamare il “Perdono di Melegnano”. Il Borgo aveva vissuto il primo cinquantennio del ‘500 con ansia e trepidazione, dato il continuo stato di guerra, le pestilenze e le vessazioni, a cui furono sottoposte le popolazioni lombarde dagli occupanti francesi e spagnoli. All’epoca la Chiesa di Melegnano era retta da don Battista Pavesi (1527-1570), effigiato su un quadro, della metà del ‘600, da Giovanni Battista della Rovere detto il Fiamminghino, situato nella attuale Basilica di S.G. Battista sopra il Confessionale del Parroco a sinistra della Cappella di S. Carlo; la scena rappresenta il papa Pio IV che crea Cardinale il nipote S. Carlo Borromeo. Il Parroco don Pavesi si trova sulla destra del quadro, in veste talare nera e con nelle mani la Bolla del Perdono. La Bolla Salvatoris et Domini nostri (denominata così dalla Bulla, il Sigillo metallico che serviva ad autenticare e a solennizzare il documento; non si sa che fine abbia fatto quello che sicuramente l’accompagnava) venne emanata il 20 gennaio 1563. Si ritiene sia stato il Parroco don Pavesi a sollecitare dal papa l’emanazione del solenne documento dato che il Borgo stava assumendo una certa importanza, come crocevia di traffici commerciali e come punto fermo della religiosità della zona. Infatti come riporta la Bolla: “la Chiesa di San Giovanni Battista in Melegnano sia portata ad alta considerazione; i cristiani abbiano a ricevere un dono che li fortifichi maggiormente nella fede”. Inoltre essa voleva concretizzare il desiderio del pontefice “di diffondere l’uso delle indulgenze secondo il rinnovato clima della Riforma Tridentina e della nuova disciplina penitenziale”.
Pio IV morì nella notte tra il 9 ed il 10 dicembre 1565 dopo una breve malattia; al suo capezzale si trovava l’affezionato nipote Carlo Borromeo del quale furono registrate le seguenti parole: “Padre santissimo, ora bisogna pensare alla patria celeste. In questo crocifisso [Carlo Borromeo stava mostrando al papa un crocefisso da baciare] tutte si hanno a collocare le speranze nostre. Questi è la vita, questi la risurrezione nostra, questi l’intercessore, questa è l’ostia offerta per i nostri peccati, questi non rifiuta alcuno che in lui creda, che confessa esser Lui vero Dio e ripone in Lui tutte le speranze. Il Signore si diletta del dolore dei peccati commessi e della vera penitenza, benigno, paziente, misericordioso e clemente”.
Federico Bragalini
Vedi anche la Breve storia di Milano
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