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Storia di un impiegato: A Teatro Libero Francesco Leschiera rilegge De Andrè

  • Alessio Corini

storiaimpiegato

Storia di un impiegato è un bel disco. Di quelli che una volta si chiamavano concept album, con tutte le canzoni tenute insieme da un'idea, una storia, un pensiero. Uno di quei dischi che “lo mettevi su” e te lo ascoltavi dall'inizio alla fine, magari sdraiato sul divano con la birra in mano o anche, meglio, in compagnia di un amico o di una ragazza che ti piaceva, fermandosi dopo ogni canzone per discutere, argomentare, asserire, che cosa avrà voluto dire, sono d'accordo o no eccetera, eccetera.

Dischi così se ne fanno sempre meno. Sono troppo impegnativi. Non vendono. La gente ha smesso di ascoltare musica. La consuma, e se una traccia non le da subito quello che vuole, la salta. Eppure a me piaceva di più quando dentro le parole di una canzone ci morivi a furia di ascoltarle ancora e ancora, per sentirtele poi risuonare in testa durante il giorno e cogliere significati inaspettati e invisibili al primo ascolto.

Francesco Leschiera in questo Storia di un impiegato, in scena a Teatro Libero fino al 29 maggio, accompagna il pubblico nell'ascolto di quello che è uno dei lavori più controversi e stimolanti di Fabrizio De Andrè, un po' come l'amico con la birra in mano, fermandosi dopo ogni canzone a immaginare insieme, anzi raccontandoci su una storia. Un'altra storia, di un altro impiegato. Più vicino a noi. La storia di un uomo prigioniero nel mondo fasullo del business moderno, con i suoi riti vuoti e stanchi, i sorrisi fasulli, la finta solidarietà di un gioco di squadra in cui alla prima difficoltà ti senti sussurrare perfido: “sei fuori”.

Un'alienazione diversa, rispetto a quella dell'impiegato degli anni 70', soffocato da un sistema in cui la rispettabilità borghese la faceva da padrone e in cui famiglia, automobile, stipendio del 27, domenica sul divano a sentire le partite (non necessariamente in quest'ordine) rappresentavano l'unico spartito possibile che ad un individuo era concesso di suonare. Diversa, sì. Ma altrettanto opprimente, anche perché ammantata di apparente libertà. Viene quasi da pensare che il 68' sia stata per il potere solo un'occasione per riciclarsi. O forse no, chissà. Forse è solo che viviamo in un'epoca che ci rende sempre più atomi persi e incapaci di stringerci insieme come le dita di una mano in quel pugno che qualche tempo fa voleva dire rivoluzione e oggi, nel migliore dei casi è solo causa di sorrisini e battute ciniche e distratte.

Detto questo, vale comunque la pena abbandonarsi al flusso di musica e parole che lo spettacolo propone. Tra l'altro complimenti alla band composta da Fabio Bagnato, Walter Bagnato, Umberto Gillio, Guido Bistolfi per l'ottima e originale interpretazione dei brani di De Andrè che pur innovando, rispetta pienamente lo spirito del disco.

Francesco Leschiera è invece unico attore/narratore/regista nella drammaturgia curata da Antonello Antinolfi in una serata che ha offerto un bel mix di musica e pensieri.

Chiudo la recensione con un ricordo personale. Il giorno in cui morì Faber stavo all'università, ho saputo la notizia da un amico proprio quando stavo andando al laboratorio di teatro. Il mio amico era affranto e ricordo mi disse che il suo disco preferito di De Andrè era Storia di un impiegato. Io non l'avevo ancora mai ascoltato. Mi feci fare subito una cassetta. E, a oggi, non ho ancora smesso di ascoltarla.

Spettacolo perfetto per chi, i dischi, ha ancora voglia di ASCOLTARLI.

Teatro Libero

Via Savona, 10 Milano

Dal 24 al 29 maggio

Orari: tutti i giorni ore 21.00

Prezzi: Intero 18 euro, ridotto under 25- over 60 13 euro, under 18 10 euro

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