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Il Monsone - una storia di caporalato a Milano dal 9 al 14 novembre : intervista a Beppe Casales

beppe casales

Si svolgerà tra oggi 9 novembre fino a domenica 14, presso il Campo teatrale,  struttura di via Pompeo Cambiasi, n. 10, a Milano, il grande capolavoro dell'attore- regista Beppe Casales dal titolo" Il Monsone - una storia di caporalato".

Lo spettacolo, parla della storia di un ragazzo indiano di nome Harjeet, arrivato in Italia, per lavorare nei campi agricoli dell'agro pontino, dove tantissimi ancora oggi  sono gli  operai agricoli, immigrati e italiani, vittime del  lavoro   disumano da parte di  tanti caporali.

Una storia attuale che l'artista veneto ha voluto realizzare, attraverso la sua grande ispirazione al  libro, , dal titolo “Sotto Padrone”  scritto da Marco Omizzolo, ricercatore dell'Università La Sapienza,  impegnato insieme a tante associazioni nella lotta al caporalato

Abbiamo voluto concedergli un'intervista.

Beppe, un'opera la tua davvero significativa che abbraccia la recitazione ed il sociale. Cosa ti ha spinto a fare questo?

Il tema dell'immigrazione per me è stato sempre importante, dopo aver letto il libro di Marco Omizzolo, "Sotto Padrone", ho capito che questa storia mi interessava e ho voluto continuare quello che avevo già iniziato con un altro evento, "La Spremuta" dove decisi di rappresentare quello che era successo a Rosarno, pero non avevo mai trattato di caporalato, un argomento che non si riferisce solo al lavoro ma abbraccia tanti argomenti,  come per esempio  la filiera alimentare e quella della grande produzione.

L'immigrazione è un argomento che si parla spesso in Italia. Cosa significa per te questa parola?

Sono del netto parere  che quando uno nasce nel mondo, può andare da per tutto.

Ci sono delle persone nate in alcuni luoghi che con  il proprio passaporto hanno delle restrizioni per andare in altri paesi , non riesco a capirne il motivo.

Nel mio spettacolo ho voluto parlare delle persone indiane che lavorano nella vasta area dell'agro pontino, in cui  nonostante abbiano  il permesso di soggiorno, vengono continuamente sfruttati.

Credo che siamo tutti esseri umani   e non c'entra di dove sei oppure che lingua parli, l'importante è rispettare ed essere rispettati.

Spesso si sente parlare di chiudere le frontiere, impedendo a tantissime persone di raggiungere luoghi sicuri.

Proprio oggi si è appreso delle notizie dei profughi  bielorussi bloccati alla frontiera dalla polizia polacca. Che ne pensi di tutto questo?

Questo sarebbe dare una risposta miope priva di soluzione a come sta girando il mondo.

Guardiamoci intorno, dove c'è stata più immigrazione c'è più sviluppo sociale, culturale ed economico.

Chiudere significherebbe negare i problemi reali, rendendo la vita umana terribile.

Non si può accettare che persone bisognose in cerca di rifugio per la propria vita siano fermate da leggi.

Tra oggi  il 9 novembre e domenica 14, in una città importante come Milano andrà in scena il tuo spettacolo, "Il Mansone - una storia di caporalato". Cosa ti aspetti?

Ho lavorato tantissimo  su questo spettacolo, spero di trasmettere una vera empatia al pubblico, facendo  capire veramente che significato hanno  alcuni argomenti e soprattutto riuscendo  a far scomparire dalla mente di tanti  alcuni stereotipi.

Spero che vengano in molti.

I tuoi obiettivi per il futuro?

Adesso penso allo spettacolo, stasera ci sarà il debutto, poi in cantiere c'è sempre qualcosa da fare, esempio scrivere qualcosa  dal punto di vista teatrale interconnesso tra  uomo e natura.

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