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Festa del teatro. I lavoratori dello spettacolo occupano il Piccolo Teatro

  • Alessio Corini

occupazionepiccolo

Oggi 27 marzo, la giornata mondiale del teatro un collettivo formato da studenti e lavoratori dello spettacolo ha occupato il Piccolo Teatro studio di Via Rovello per dire basta alle chiusure, alla penalizzazione continua della cultura, alle scelte a senso unico che i governi che si sono succeduti durante l'emergenza Covid hanno praticato, colpendo per primo un settore che appare, nella narrazione di chi si trova a dover gestire questa difficile situazione, da un lato economicamente irrilevante e dall'altro pericolosissimo per la diffusione del virus.

Tale narrazione, nell'opinione di chi scrive, rappresenta invece il vero pericolo. Perché il deserto umano in cui stiamo vivendo questa pandemia è il frutto del continuo e ininterrotto scempio che in questo paese si fa della cultura, di quel tessuto di idee, visioni, pratiche che dovrebbe tenere insieme e cementare la nostra società, ormai sfilacciata e ridotta a un arcipelago di atolli sconnessi condannati all'incomunicabilità. 

Il collettivo di attori, artisti e studenti che ha occupato il Piccolo al grido di "facciamo come in Francia" intende lanciare un segnale, l'ennesimo, perché chi ci governa e soprattutto un ministro che aveva annunciato la riapertura dei teatri per oggi nelle zone gialle (che ovviamente al momento non ci sono) dimostrino quanto meno un minimo di sensibilità e di attenzione alle problematiche di donne e uomini dello spettacolo, che non vedono davanti a loro un futuro, nemmeno post-pandemia, ma solo un lento e inesorabile brancolare nel buio che va di pari passo con la disintegrazione della socialità in questo paese.

Secondo quanto dichiarato dal collettivo il Piccolo Teatro Grassi di Via Rovello è stato scelto appositamente, per l'occupazione pacifica, come luogo simbolo :" per la sua storia" perché "primo teatro comunale di prosa d'Italia" nato con l'impegno di essere: "un teatro d'arte per tutti". Ciò che gli occupanti intendono fare sarebbe: "costituire un parlamento culturale permanente come luogo di incontri, assemblee, dibattiti e proposte artistiche" chiamando a partecipare: "le lavoratrici, i lavoratori, le imprese culturali, le piccole e medie compagnie, le istituzioni e tutte le realtà che compongono il settore per un'assunzione di responsabilità condivisa". Tutto questo per "costruire una ripartenza sostenibile da tutti, a partire dai più fragili, considerando il Lavoro come centralità e motore di tutte le categorie, non solo del settore culturale". I lavoratori sottolineano che anche studenti e studentesse universitari si sono uniti alla loro protesta perché "saranno al nostro fianco oggi per non diventare i precari di domani".

Si è parlato, si parla e ancora si parlerà di "distanziamento sociale" come unico sistema per combattere la diffusione del virus, ma non ci si rende conto, una volta di più, del peso delle parole. Distanziamento "sociale" esprime, infatti, in modo sotterraneo una eclissi della socialità, la distopia di una civiltà destinata alla sempre più accentuata atomizzazione degli individui. Sarebbe meglio, come da più parti si fa notare, parlare di distanziamento "fisico", perché posto che proteggere e proteggersi dal virus è sacrosanto, non è possibile farlo cancellando anche solo l'idea dello stare insieme e della condivisione che sono ben altro dallo scambiarsi fotografie e messaggi vocali sui social network.

I teatri hanno fatto molto per prevenire la diffusione del contagio, riduzione della capienza, mascherine agli spettatori, organizzazione del tracciamento, ma l'efficacia di queste iniziative non è stata, in pratica neppure testata, perché a ottobre appena i contagi hanno cominciato a salire i teatri e i cinema sono stati i primi (senza una vera ragione) a essere chiusi e saranno gli ultimi a riaprire (e speriamo che riaprano!). 

Rappresenta, forse, un'ironica consolazione a tutto questo che tutte queste chiusure e questo colpire i teatri si fonda probabilmente su un retroterra simbolico a partire dal quale il teatro e il mondo dello spettacolo in generale rappresentano davvero ciò che tiene insieme la comunità e ciò che avvicina le persone anziché allontanarle. Teatro e attori pagano cioè molto più per quello che rappresentano che per quello che sono in questa infinita quaresima, in cui i valori della vita sembrano essersi ridotti alla semplice perpetuazione il più a lungo possibile delle funzioni vitali di base e alla produzione di beni materiali da spedire per posta e fruire soli nel chiuso di una stanza impermeabile al mondo come una monade di Leibniz.

Per fortuna, oggi, al Piccolo c'è ancora chi crede al futuro, e va sostenuto. Il presidio è attivo dalle 11.00 di questa mattina. Per le 17.00 è prevista un'assemblea pubblica. E per favore non date dell'incosciente a chi manifesta per i propri diritti, che incosciente è solo chi trascura i loro bisogni.

Torniamo a fare teatro. Presto, ve ne prego.

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