Antonio Rosmini Serbati e Milano
I RAPPORTI DI ANTONIO ROSMINI E MILANO (1824-1855).
Antonio Rosmini Serbati (1797-1855), fu una figura ricca e complessa di filosofo, sacerdote, rinnovatore nel campo degli studi filosofico-religiosi.
A. Rosmini arrivò a Milano, dalla natia Rovereto, nel 1824 ospite per alcuni mesi di un cugino, trovando una città viva, ricca e aperta agli influssi culturali e commerciali d’oltralpe. La Milano della prima metà dell’Ottocento viveva una nuova stagione, dopo i tormenti seguiti alla caduta del Regno italico, nel 1814 e del quale la città era stata la capitale, grazie soprattutto all’episcopato dell’arcivescovo Carlo Gaetano conte di Gaysruck (1818-1846). Il cardinale, con polso fermo ed energico, aveva operato una vera e propria riforma degli studi teologici nei seminari tendendo alla formazione di una generazione di sacerdoti colti ed aperti agli influssi della nuova società; nonostante appartenesse all’alta aristocrazia austriaca e fosse Cappellano di Corte, dimostrò sempre indipendenza di giudizio, non accettando nessuna interferenza esterna in quelli che egli considerava i suoi campi di azione ed arrivando ad opporsi, in molti casi, alle decisioni della Corte (famosa fu la sua presa di posizione in difesa del conte Federico Confalonieri già condannato, per motivi politici, al carcere dello Spielberg).
La città e la sua popolazione fecero un’ottima impressione sul roveretano tanto che, in una lettera ad un amico, esprimeva così il suo compiacimento: “I Milanesi hanno un carattere eccellente, nella serietà lombarda c’è una forza di tempera che dà solidità alla stessa cortesia ed alla affabilità”. Dopo una breve parentesi, il Rosmini tornò a Milano nel 1826 per rimanervi fino al 1828. In questo lasso di tempo, grande fu l’influenza di Rosmini sulla vita della Città tanto che alla sua partenza egli “vi lasciò il seme di una tradizione che, sia pure con alterna fortuna, si sarebbe protratta per tutto il secolo, informando di sé quasi le istituzioni di assistenza e di beneficenza, gli studi nei seminari e i giornali, così che Milano divenne il maggiore centro di irradiazione del pensiero rosminiano in Europa”, secondo le parole di Alessandro Pestalozza, teologo, insegnante nel Seminario Maggiore e suo intimo amico.
Tra le personalità incontrate a Milano spicca per importanza il conte Giacomo Mellerio (1777-1847), appartenente alla ricca aristocrazia lombarda ed influente membro di varie istituzioni caritative. Fu grazie al suo appoggio che prese corpo il suo Istituto della Carità (I Rosminiani) nel 1827 (l’approvazione ecclesiastica si ebbe nel 1828), inaugurato sul Monte Calvario di Domodossola nella residenza estiva del nobiluomo milanese. Nel palazzo del Mellerio, il Rosmini, ebbe modo di conoscere anche la marchesa Maddalena di Canossa (1774-1835), fondatrice, nel 1816, dell’Istituto della Carità (le Canossiane) e con la quale stabilì un lungo rapporto di amicizia esemplificato da oltre 400 lettere. Nel 1830 Rosmini pubblicò a Milano il “Nuovo Saggio sull’origine delle idee”, nel quale dimostrò come il rinnovamento religioso e quello della filosofia fossero due momenti dello stesso disegno; pare, secondo alcune testimonianze coeve, che Alessandro Manzoni, dopo aver letto questo saggio abbia detto: “Qui c’è un uomo”. L’amicizia con il Manzoni, conosciuto dal Rosmini nel palazzo del Mellerio, lo seguì per tutta la vita tanto da volerlo al suo capezzale, nel 1855, ed al quale indirizzò le sue ultime parole: “Adorare, Tacere e Godere”.
Dopo l’ascesa al soglio pontificio di Pio IX, nel 1846, un vento di libertà parve invadere tutta l’Italia e a Milano coincise con Ministero dell’arcivescovo Carlo Bartolomeo Romilli (1847-1859), accolto trionfalmente dal popolo, il quale vedeva in lui “l’italiano” contrapposto all’”austriaco” Gaysruck. Il Romilli parve accogliere favorevolmente le nuove idee libertarie e permettendo, durante le Cinque giornate scoppiate nel marzo del 1848, che i seminari fossero uno dei centri dei moti antiaustriaci ai quali parteciparono la maggior parte dei sacerdoti.
Il Rosmini proprio nel 1848 aveva pubblicato a Lugano l’opera “Delle Cinque piaghe della Santa Chiesa”, subito diffusa a dispense nella Milano liberata e nella quale veniva invocata come necessaria la “libertà della Chiesa dai vincoli dei beni materiali, dai privilegi, dai condizionamenti del potere politico”. Il Rosmini fu pure incaricato dal comitato sorto dopo le Cinque giornate di formulare un progetto di Costituzione per il governo della città. Purtroppo dopo il rientro degli austriaci la “falce absburgica” si abbatté su tutti gli attori del dramma. L’Arcivescovo venne ridotto al silenzio e obbligato all’epurazione dai seminari di ogni individuo e idea sospetti (il corpo insegnante fu licenziato quasi al completo). Forti pressioni a Roma determinarono la messa all’Indice, nel 1849, dell’opera “Delle Cinque piaghe” del Rosmini, il quale fu costretto a discolparsi, mentre veniva costretto al ritiro presso la Casa del suo Ordine a Stresa. Dopo un attento esame ed un’accesa difesa dell’amico Alessandro Pestalozza, nel 1854, il Rosmini fu prosciolto da ogni accusa di eresia con la formula “Dimittantur”. Ma nonostante la censura ed il bavaglio imposto alla stampa, grazie al Pestalozza e ad altri studiosi che non avevano paura ad esporsi, il pensiero rosminiano, poté comunque diffondersi mantenendo sempre acceso il dibattito ben oltre la morte del Rosmini avvenuta nel 1855.
Federico Bragalini
Vedi anche la Storia di Milano