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Un linguaggio mite aiuta la pace

Nel prosieguo degli incontri giubilari si è svolta la giornata dedicata alle Comunicazioni sociali. Un tema ricorrente è stato la mitezza nel linguaggio e il suo legame con la comunicazione, in tutte le sue forme.

Il termine mitezza deriva dal latino mitem, che significa mite, tenero, maturo, e in senso figurato indica l’essere mansueto, soave, piacevole, benigno. Anche il Vangelo richiama questa virtù con le parole:

“Beati i miti, perché erediteranno la terra.”

È evidente che la mitezza si oppone a un linguaggio aggressivo, irrispettoso, carico di disprezzo e offese. Un’informazione che si esprime con violenza verbale non solo manca di rispetto per l’altro, ma può trasformarsi in un’escalation di tensione e, nei casi peggiori, anche in azioni violente.ragazzi mf ai

Essere miti non significa essere deboli

Chi crede che una persona mite sia debole si sbaglia di grosso. Essere miti non significa essere tolleranti su tutto, né indulgere in un buonismo sterile e ingenuo. Non significa minimizzare atti gravi trovando scuse banali o voltare lo sguardo di fronte alle ingiustizie, come le tre famose scimmiette del “non vedo, non sento, non parlo”.

La persona mite vede, ascolta e comprende ciò che accade nel mondo:

  • le violenze,
  • le ingiustizie,
  • le guerre insensate,
  • le sopraffazioni sui più deboli,
  • lo sfruttamento di donne e bambini,
  • le persecuzioni e ogni altra forma di oppressione.

Ciò che la distingue dagli altri è il modo in cui reagisce. Usa un linguaggio rispettoso, che non alimenta odio o rancore. Il mite non evita di esprimere critiche e di affrontare i problemi, ma lo fa con parole che generano speranza e invitano alla riflessione, evitando di alimentare lo scontro verbale o fisico.


La mitezza nella comunicazione quotidiana

La mitezza non riguarda solo giornalisti, scrittori o chi lavora nei media. Riguarda ognuno di noi.

Ogni volta che comunichiamo—nel sociale, sul lavoro, nella vita privata—dovremmo chiederci:

Mettiamo il cuore nelle nostre parole o ci lasciamo guidare solo dalla pancia?

Viviamo in un’epoca in cui abbondano gli urlatori e i malati di protagonismo, i tuttologi che vogliono sempre dire la loro, anche senza avere nulla di utile da aggiungere. A volte sarebbe meglio tacere e riflettere prima di parlare o scrivere.

Parole che costruiscono o distruggono?

Prima di dire qualcosa, dovremmo domandarci:

  • Le mie parole generano bene o male?
  • Esprimono amore o odio?
  • Portano speranza o sconforto?
  • Fanno crescere o distruggono?

Può sembrare un’esagerazione, ma basta ascoltare attentamente ciò che viene detto, scritto o cantato per capire quanto le parole possano influenzare le persone. Sui social, in particolare, troppe parole vengono lanciate in pasto al pubblico senza alcuna riflessione.

Questi messaggi possono attrarre i più fragili, gli esaltati, le persone confuse. Impariamo a non fermarci al significato superficiale delle parole, ma ad analizzarne l’origine e le conseguenze. È in questo che si distingue il mite dall’intransigente, dal fanatico, da chi semina odio e divisione.


Un linguaggio di pace per un mondo migliore

Quando ci mettiamo davanti a una tastiera, un microfono o una telecamera, fermiamoci un istante a riflettere. Davanti a noi ci sono persone in carne e ossa, non solo adulti, ma anche bambini e ragazzi, che assorbono ciò che diciamo.

Chi comunica ha una responsabilità: scegliere parole che incoraggiano, educano, costruiscono.

Dobbiamo imparare a usare un linguaggio mite, perché la mitezza è un ingrediente essenziale per costruire la pace, quella vera, non quella urlata nelle piazze da chi predica la non violenza ma poi fomenta scontri e vandalismi.

Ritorniamo alla frase iniziale:

“Beati i miti, perché erediteranno la terra.”

Un insegnamento che oggi, più che mai, dovremmo fare nostro.

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