Sapessi com'è strano in bici a Milano
Nonostante le statistiche testifichino che la bici a Milano tiri, un giro del cronista per le vie meneghine raccoglie poche conferme e insieme molti pericoli.
Rispetto a dieci anni fa le piste ciclabili a Milano sono aumentate: ma chi le usa? A parte il fatto che alcune sembrano progettate da alieni... volete un esempio? Andate in via san Giuseppe Cottolengo, al limite del quartiere Barona. Qui inizia un tracciato che termina in via santa Rita, dinanzi all'omonimo tempio. Ma dove finisce? Sul marciapiedi! Così che il ciclista o prosegue sull'asfalto destinato ai pedoni oppure scende dal mezzo e percorre diversi metri per immettersi nella carreggiata. Sarebbe gradito il nome dello scienziato del territorio (sic), autore di un simile svarione, ma dubitiamo venga rivelato: certi segreti sono più inviolabili di Fort Knox.
Un'osservazione mirata rivela che le donne sono la maggioranza assoluta al manubrio mentre i giovani latitano. E' comprensibile, alla pedalata preferiscono la sgommata, possibilmente a tutto gas e a cento decibel. Di uomini se ne notano pochini e tutti di una certa età. Il mito del manager in bici è tramontato da un pezzo. In gessato e collo della camicia slacciato - in ossequio al detto: l'eleganza è morta - preferisce lo scooter, possibilmente a manetta e contromano. Quei pochi imberbi che usano l'ultimo modello di bicicletta, ultra leggero e costosissimo (ambito dai ladri..), magari comperato da Gaiardoni (il Bartali della pista degli Anni Sessanta, ove Coppi era Maspes), si divertono a scorrazzare sui marciapiedi tra le parolacce dei passanti e la paura degli anziani.
Fuori dalle piste ciclabili, pedalare è un rischio. Un pericolo costante sono le portiere delle auto che si aprono all'improvviso. "Scusi, non l'ho vista", dicono, tra il candido e il trasognato, specialmente le signore, come se il retrovisore fosse uno specchietto di bellezza. Né mancano i pirati che curvano senza freccia, stringendo il ciclista in un angolo. Quando va bene, sovviene lo spavento, altrimenti un infortunio è assicurato. Sulle circonvallazioni - ma non solo - i bus e i camion sorpassano a pelo, senza tener conto degli ondeggiamenti del ciclista. Negli anni Settanta, quando il buon senso imperava anche in Cassazione, una sentenza precisava - con lodevole acume - che "bisogna lasciare al ciclista lo spazio per cadere quando lo si affianca".
Altro tasto dolente - per quanto sembri fuori luogo- sono i parcheggi. Ricordo - ai bei tempi andati - i custodi di biciclette. Ce n'era uno, dietro al Mercato comunale di piazza XXIV Maggio, col quale avevo stretto amicizia. Mutilato di guerra, campava sorvegliando velocipedi e motorini. E le sue rastrelliere erano in permanenza occupate. Adesso bisogna fissare il mezzo a cancellate o pali mettendo in conto che pochissimi antifurti resistono alle tronchesi. Curiosamente crescono sulle inferriate dei condomini i cartelli che vietano di fissare ad esse biciclette e scooter.... cartelli per lo più bellamente ignorati.
Secondo i medici pedalare è un esercizio principe per tenersi in forma, ma nei parchi e lontano dagli scappamenti. Altrimenti i benefici cardiaci vengono cancellati dai malefici polmonari. Fanno una certa impressione le mamme che - fissati ad un incerto seggiolino - spupazzano i loro pargoli sulle bici. Temerarie? Incoscienti? Suffragette del traffico ecologico? Lasciamo alle statistiche degli incidenti stradali l'ardua sentenza.
Gaetano Tirloni