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Laicità e libertà religiosa: leggi e dubbi dei nostri tempi

  • Mirella Elisa Scotellaro

Lo Stato italiano è laico e, non avendo una religione ufficiale, si ispira al pluralismo confessionale tanto da fare della libertà religiosa un diritto non negoziabile, una bandiera della nostra cultura, uno degli elementi fondanti della Costituzione. Le condizioni preliminari imprescindibili per l’esercizio di tale libertà consistono unicamente nel rispetto dell’ordinamento giuridico italiano e del buon costume, per il resto non esistono limiti. Il dettato costituzionale parla chiaro.

  • Art. 3 - “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
  • Art.8 - Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.

Tutte le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti  in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.

  • Art. 19 - “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.

Qualsiasi limitazione della libertà religiosa rappresenta una violazione dei principi cardine della nostra Legge fondamentale. La Costituzione italiana, infatti, è incentrata sulla persona e sui diritti inviolabili ad essa garantiti (compreso il diritto alla libertà di culto) nel perseguimento di una sua piena realizzazione, sia nella sfera individuale, sia in quella sociale.

Il senso della legge fa sì che il piano di uguaglianza formale e sostanziale su cui il nostro Stato pone tutte le religioni non riguardi le varie confessioni  in sé e per sé, ma sempre e comunque in quanto espressioni della particolarità di ogni singola vita umana che, come tale, va rispettata fin dentro il più profondo del proprio sentimento religioso. Detta “uguaglianza” -  da un punto di vista delle norme di diritto  -  si traduce  non nella pura e sterile contemplazione del principio teorico secondo cui tutte le confessioni sono uguali, bensì nella medesima tutela giuridica ad esse accordata dalla legge, la quale consente che ciascuno sia davvero pienamente libero nella propria diversità.

L’ordinamento francese, diversamente dal nostro, è caratterizzato da una forma di laicità che si accosta con marcata “indifferenza” al  tema della libertà religiosa, reputando che “il momento religioso” attenga alla sfera più intima dell’individuo, rispetto al quale la legge deve restare completamente estranea, riservandosi di prendere in considerazione solo le manifestazioni esterne del culto, quelle che escono dall’ambito privato per trasferirsi nel sociale. Da qui discende un’assoluta “neutralità” dello Stato francese, che finisce per inibire la presenza di qualsiasi simbolo religioso negli spazi pubblici.

Di fronte ad una impostazione pur democratica, ma al tempo stesso così distaccata in fatto di realizzazione della personalità dell’individuo attraverso la sua partecipazione alle attività di culto religioso, merita particolare apprezzamento l’approccio legislativo di considerazione paritaria, nonché di rispetto  tra le diverse confessioni, con cui nel nostro Paese viene accolta, garantita  e promossa ogni espressione della  libertà religiosa.

Tuttavia, una complessiva così ampia apertura di credito nei riguardi delle aspettative di quanti professano fedi  lontane dalle nostre tradizioni e dalla nostra cultura, non sempre viene oggi recepita  nella sua effettiva portata - né contraccambiata con altrettanta disponibilità d’animo - da parte di certi nostri interlocutori, alcuni dei quali, nel manifestare qualche insofferenza per la nostra concezione di legalità (fatta non solamente di diritti ma anche di doveri) o, peggio ancora, nel giustificare posizioni integraliste da noi non condivise, nel contempo (opportunisticamente) scelgono di continuare ad  usufruire dell’ospitalità loro offerta sul nostro suolo con estrema disinvoltura. Tanto basta per innescare, non di rado, una reazione di perplessità e di disappunto da parte chi finisce inevitabilmente per doversi sentire quasi uno straniero nella propria stessa terra!

 Una minoranza di intellettuali, fra i più pessimisti, vede negli ultimi accadimenti internazionali il germe di una sorta di “guerra di religione”, più o meno dichiarata ovvero sotterranea, a seconda dei casi. Volendo evitare, però, una interpretazione eccessivamente allarmistica delle cronache recenti, resta necessario  comprendere le ragioni di una diffusa preoccupazione sul deterioramento di quel sentimento di tolleranza religiosa che con autentica ingenuità il Popolo Italiano ha coltivato per anni, nel contesto di una troppo facile e indiscriminata accoglienza, la quale adesso ingenerosamente gli si ritorce contro.

Serve un approccio equilibrato a problematiche così delicate, e forse sarebbe giunta l’ora che, paradossalmente, intervengano delle norme imperative dirette a salvaguardare sul suolo della Repubblica - oltre al rispetto delle altrui identità - anche il rispetto dell’identità nazionale di noi Italiani, dei nostri usi e costumi, taluni dei quali oramai in via di sopraffazione per il sopravvento di altre culture, che hanno dimostrato un modo decisamente “aggressivo” di intendere l’integrazione.

Ma era proprio questa la “società multiculturale” che in tanti avevamo sognato? Tra amari interrogativi e risposte incerte, si percepisce una malcelata, bruciante delusione.

Mirella Elisa Scotellaro

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