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La storia del dottor Luca Rossi: Dopo la pandemia farò il medico di base

Luca Rossi, medico cinquantasettenne, dopo ben trent'anni di lavoro in ospedale, ha deciso di cambiare e cominciare a lavorare, come medico di famiglia, a Garlasco in provincia di Pavia. 

Il Dottor Rossi, nato a Milano, felicemente sposato, con due figli, si è  laureato trent'anni fa e, dopo una lunga carriera in ospedale, ha deciso che era giunto il momento di cambiare, praticando in quel settore dell'assistenza sanitaria che giace da anni in difficoltà, con un numero basso di medici di base rispetto ad una popolazione numerosa come quella lombarda. Una vera scelta di vita, secondo noi, quella del dottore milanese, al quale abbiamo voluto fare un'intervista. luca rossi
Dottor Rossi, dopo ben trent'anni di lavoro in ospedale, ha deciso di lavorare come medico di base. Perché questa scelta? 

Prima di tutto mi definisco "Medico di Famiglia" per sottolineare il desiderio di recuperare il rapporto medico-paziente. Dopo la mia esperienza ospedaliera in un reparto convertito a Unità COVID (la mia U.O. era ed è tornata ad essere una Riabilitazione Specialistica) ho avuto la netta sensazione che la mia carriera era giunta a una svolta, mi servivano nuovi stimoli e avevo il desiderio di coronare il mio desiderio di bambino: essere Medico come lo era il mio Medico di Famiglia negli anni settanta e ottanta, quello che mi visitava a casa ogni volta che ero malato. Ho poi approfittato della necessità di nuovi medici sul territorio, per non fare un salto nel vuoto dal punto di vista economico, per la mia famiglia.No ha mai lavorato come medico di base. 

Quanto è difficile secondo lei oggi fare questo lavoro? 

Per anni ho raccolto i racconti di un amico Medico di base, con lui ho spesso discusso. Ho ascoltato le lamentele dei Pazienti mentre si sottoponevano agli ecocardiogrammi che due volte la settimana effettuavo in ambulatorio. Così ho deciso di essere "simile" a quel Medico di tanti anni fa. Ho deciso di ascoltare, visitare (anche al domicilio se necessario). Per creare e mantenere una vicinanza con i miei assistiti, impiego in modo massivo organizzazione e tecnologia. Certo, la burocrazia è molta, ma al momento non ne sento il peso: forse commetto qualche errore in più, ma soprattutto godo del prezioso aiuto di due colleghi di Garlasco che sono sempre disponibili, cosa non scontata aggiungo.

Sappiamo molto bene che la pandemia ha evidenziato le carenze della sanità pubblica, tra cui anche la grave carenza di medici di famiglia. L'Italia nel passato era il fiore all'occhiello della medicina pubblica assistenziale nel mondo, oggi forse potrebbe essere considerata quasi il fanalino di coda in ambito europeo. Cosa è successo? 

La prima cosa da dire è che la situazione pandemica è stata emergenziale e che i medici, in fondo sono uomini e quindi non sempre hanno saputo trovare dentro se le forze per affrontare un periodo "caotico" e tragicamente "mortale". Dall'alto le scelte, oggettivamente complicate, non li hanno aiutati.

Le carenze di sistema erano già in essere prima della pandemia; la classe medica era già "vecchia" e non è mai stata fatta una pianificazione che permetta oggi un adeguato ricambio.

In Italia al momento è molto difficile iscriversi alla facoltà di medicina, sia per la difficile prova selettiva, e per il costo che tante famiglie non riescono a sostenere. Cosa ne pensa di tutto questo? 

Torniamo alla mancanza di una pianificazione a lungo respiro. Parliamo del "blocco" legislativo che permette a me, laureato prima di un certo anno, di passare alla medicina di base, ma non lo consente a molti altri che ne avrebbero il desiderio essendosi accorti che il lavoro in ospedale non li soddisfa. Parliamo di risorse economiche sempre più scarse (uno Stato "padre" come pensato dalla Costituente, non dovrebbe mettere a bilancio previdenza e assistenza condizionando le difficoltà di pareggio sciaguratamente inserito, da qualche anno, nelle norme costituzionali).

Si potrebbe continuare ancora ma voglio dire solo: quanto è impoverita la nostra gente?

In Lombardia dovrebbero esserci al più prestouna riforma  della sanità pubblica, accompagnata ultimamente  da molte  proteste. Come vede questo cambiamento  che riguarderà anche la medicina territoriale? 

Per quel che mi riguarda sarà una questione di organizzazione, un’ attività "spoke" e passaggio in Casa o Ospedale di comunità. Ma si sta progettando di costruire scatole vuote che non si riempiranno di materiale umano che al momento non c'è e che sarà sempre meno disponibile.

Spesso mi i chiedo: “sono stati previsti i pre-pensionamenti in massa che ci saranno?”.

Servirebbe invece un piano che punti sul numero adeguato di   persone da formare: medici, infermieri, operatori, per riportare a livelli di eccellenza la sanità del territorio.

Inoltre il legislatore non tiene conto dell'insoddisfazione dei cittadini che desiderano vicinanza e ascolto, oltre che un più rapido accesso alle prestazioni.

Nel progetto in discussione c'è un grande assente: il cittadino che è all'oscuro di tutto.

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