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L'umanità crede ancora in Dio?

chiesa pixabayLo spunto per l'articolo mi viene sollecitato da un'indagine effettuata nel 2019 a livello mondiale su questo importante e significativo tema che, contrariamente a quanto può sembrare, rimane ancora attuale. L'indagine è stata compiuta dal "Pew Research Center" con alla base queste tre domande:

  • La popolazione mondiale ha ancora fede?
  • Che importanza attribuisce a Dio nella vita di tutti i giorni?
  • Il pianeta terra si sta secolarizzando oppure no?

Questo quanto emerso da questa interessante ricerca. È subito emerso che una persona su due riconosce la necessità, per vivere con buoni valori e vivere rettamente, di credere in Dio. Un dato questo che emerge fortemente in paesi come nelle cattoliche Filippine, ben il 96%; nell'islamica Indonesia, negli Stati Uniti ma meno nella "vecchia" Europa.

Un'altra fetta importante della popolazione intervistata conferma che Dio e la religione rivestono, nella vita, una decisa importanza, così come è ritenuto importante l'esercizio della preghiera. E la nostra Italia?

I risultati dell'indagine confermano che l'Italia è un paese che sta voltando le spalle a Dio, peggio sono però la Francia e l'Inghilterra, infatti, solo il 30% dei nostri connazionali ammette un legame tra la fede e la moralità. Mi pare di poter dire che questo scollamento porti a risultati negativi che tutti possiamo constatare giornalmente, e in ogni campo del vivere, purtroppo. Le popolazioni che più ammettono l'importanza di Dio nella propria vita sono quelle russe, della Bulgaria e Ucraina, mentre la nostra Penisola sta "marcando visita". Non può non far riflettere il dato che emerge dalla Russia, quasi il 50% della popolazione, ex Unione Sovietica, dove il regime totalitarista e ateista comunista voleva annientare ogni forma di religiosità, stia risorgendo e rifiorendo. È inutile, la religiosità è insita nel cuore dell'umanità da quando ha iniziato la sua esistenza, non si può distruggere, rifiorisce sempre.

Da italiano non posso non fare una valutazione sulla nostra religiosità, e dai dati che emergono sta divenendo una terra di missione, che necessita di ri-evangelizzazione, è triste ammetterlo ma è così!

Ritengo che una parte di responsabilità vada attribuita anche a coloro che hanno avuto il mandato di guidare il "gregge", dove purtroppo alcuni pastori si sono lasciati trascinare in un falso buonismo, aggiustando a questo omelie prendendo a braccetto la cultura dominante, a volte con la pretesa di accomodare le parole e gli insegnamenti di Gesù per restare nel politicamente corretto.

Possiamo allora dire che dall'indagine la risposta alle tre domande sopra poste è positiva, incoraggiante, nonostante forze contrarie continuino a seminare zizzania. La religiosità non è un problema secondario, come una cultura che vuol dominare vuol far credere, ciascuno, nel proprio io, deve fare i conti con questo aspetto della vita.

A questa fondamentale domanda non si può sfuggire, la si può mettere "in naftalina", chiudere "sotto chiave", estraniarla dai propri pensieri, ma alla fine, magari quando già abbiamo in mano quella "cartolina" che ci chiama a partire per l'aldilà, essa si ripresenta, perché una risposta è necessaria. Perché aspettare allora l'ultimo momento?

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