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Hopeball, la felicità è uno stato d'animo. Intervista a Gian Marco Duina

Gimma, così viene chiamato Gian Marco Duina, ha scelto il calcio. Detto così, potrebbe sembrare uno dei tanti luoghi comuni di cui i ragazzi italiani sono bersaglio: eppure non è questo il caso.
Gian Marco Duina ha scelto il calcio come speranza, da qui "Hopeball", in aiuto di chi dall'altra parte del mondo ha bisogno di una mano concretamente.

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"Hopeball non è uno sport, non è una filosofia, non è didattica, non è semplice volontariato… Hopeball è passione!!" - a lui piace definire così questo progetto nato all'inizio del 2016, in collaborazione con "Whanau Onlus" seguendo l`intento di trasmettere nelle aree più povere del Pianeta una passione che sappia dare speranza.

Grande amante di calcio, Gian Marco ha dovuto smettere di giocare a causa di un infortunio, e dopo una esperienza lavorativa a Londra, ha deciso di mettersi in gioco in prima persona con un primo viaggio a Monze, in Zambia, dove ha allenato diversi ragazzi dai 5 ai 22 anni. 

A Monze, dove studiare è un privilegio, i ragazzi spesso non riescono neanche a trovare un lavoro: per questa ragione lo sport diventa un mezzo per riprendere in mano la propria vita affidandosi ai propri sogni e alle proprie speranze.

Con grande carisma e voglia di fare, la prima squadra formata nel villaggio in Zambia è riuscita a iscriversi al campionato, grazie anche al materiale spesso proveniente dall'Italia che permette loro di vivere a 360° il proprio sogno.
A causa dello scadere dello Status di soggiorno nel paese africano, Gian Marco è dovuto rientrare in Italia a giugno promettendo a se stesso che questa non sarebbe stata l'ultima esperienza.
Per questa ragione ha deciso di dare continuità al suo progetto partendo agli inizi del mese per Chakama, in Kenya.

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Milano Free ha raggiunto Gian Marco per una interessante intervista sulla sua esperienza passata e le prime impressioni circa l'attuale iniziativa in Kenya.

Gian Marco, quanto è stato importante il tuo anno all'estero a Londra per la creazione di un progetto come Hopeball?

L'anno all'estero mi ha dato la possibilità di mettermi in dubbio: il dover affrontare una realtà nuova ha fatto luce su quelle che sono davvero le mie priorità e su cosa valga la pena dedicare la mia vita. Ho capito che spesso molte delle decisioni che prendiamo scaturiscono dalla semplice abitudine o da degli schemi prefissati: mettere in dubbio se stessi significa svincolarsene.

Dove hai trovato il coraggio per metterti in gioco?

Il coraggio l'ho trovato dentro me stesso. Nasce da un sentimento di amore verso il mondo in cui viviamo e nello stesso tempo di rifiuto verso la società attuale che non è in grado di garantire una vita dignitosa a tutti. È nello sport che ho sempre trovato maggiormente il coraggio di esprimermi ed è tramite lo sport che ora voglio diffondere speranza.

Cosa ti hanno detto le persone più importanti e come hanno reagito quando hai comunicato la tua scelta?

Credo che le persone a me più care non siano state affatto sorprese della mia scelta, chi mi conosce sa che è questa la mia strada! In questo cammino non mi sono mai sentito solo,ho sempre avuto supporto da chi mi é accanto e questo é un aiuto prezioso in situazioni del genere.

Esiste un episodio che ti ha particolarmente colpito all'interno della tua esperienza in Zambia?

Poco dopo aver fondato le "Zesco Stars" stavo parlando con Gift Machokoza, un meccanico locale di venticinque anni che mi aiutava a gestire la squadra. Gli raccontavo di quanto fosse a volte difficile gestire un intero progetto come "Hopeball" completamente in solitaria. Dopo avermi fatto finire di parlare Gift mi ha preso la mano e detto: "non sei da solo ora siamo in due!". Gift ha lasciato il suo lavoro ed oggi grazie a lui la squadra procede a gonfie vele.

Che aspettative hai dal tuo attuale viaggio?

Voglio lasciare un segno. Chakama è un villaggio piccolissimo e in pochi giorni ho già visto le enormi potenzialità che il pallone può fare per i ragazzi che qui hanno davvero poco. Voglio che con me si divertano e imparino a crescere e a rispettarsi, voglio essere un punto di riferimento. Di certo sono una novità! Non capita spesso di giocare a calcio con un "musungu" (uomo bianco).

Paolo Frascarolo

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