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Educatori sempre più in crisi a Milano. A subire soprattutto i più bisognosi. Intervista al Dottor Maurizio Mazzoni, sindacalista CIGL

 mazzoni 2

Lavorare per pochi soldi oppure cambiare lavoro. È questa la situazione di molti educatori della città Milano costretti a lasciare il proprio lavoro in cambio di un impiego  con un  salario più dignitoso  per vivere, invece che sopravvivere.

Una situazione grave, in cui versano tantissime persone qualificate che  vedono la propria occupazione un impiego  sempre meno  valorizzato. A subire sono anche chi ne   usufruisce : disabili, studenti  e tanti altri in cui la figura  professionale di chi educa  è davvero essenziale.

Rocco Carta, educatore professionale, è sempre più stanco di questa situazione: Sono anni che la situazione va peggiorando. Gli educatori professionali si formano continuamente e mettono la loro professionalità a disposizione degli utenti dei servizi.

A questa preparazione e impegno costante, non corrispondono stipendi adeguati seguiti anche dalla costante ricerca di ore per poter eseguire il proprio lavoro e in alcuni ambiti da turni doppi o turni massacranti. Parlando con molti colleghi che mi hanno scritto da molte parti d'Italia, la situazione è diventata talmente esasperata da costringerli a cambiare mestiere, dopo anni di studio e di energie spese.

La nostra professione ha bisogno di una presa di coscienza e di intervento da parte delle istituzioni, svolgiamo una professione importantissima e dopo la pandemia e tutto lo strascico che questi due anni hanno lasciato, il nostro ruolo lo è ancora di più.

Possibile che esistano ancora situazioni dove in assenza di un alunno seguito, a fronte di ore già erogate, molte colleghe e colleghi vengono rimandati a casa perdendo ore, e non vengono inserite a lavorare per la classe o ove vi è bisogno all'interno del plesso scolastico? 

Io sono fortunato e nella scuola dove lavoro, funziona già così. Ma tutte e tutti gli altri colleghi?

Questo è un esempio ma ve ne sarebbero molti altri di cui discutere e questa è una situazione che in questo Paese deve cambiare. Il rischio è quello di perdere, all'interno dei servizi, i professionisti.

 rocco carta

Maurizio Mozzoni, sindacalista CIGL degli educatori ha voluto rispondere così alla nostra intervista. Dottor Mazzoni, il mondo degli educatori è  davvero in crisi. Cosa sta succedendo?

Ci troviamo davanti a una crisi generale del sistema socio educativo. Una crisi per moltissimi versi annunciata, esplosa in tutta la sua drammaticità non appena il Paese è uscito dalla morsa della pandemia. Da una parte il sociale in Italia è gestito quasi esclusivamente dal privato  attraverso cooperative sociali ed enti del terzo settore che da sempre riescono a sopravvivere al sistema degli appalti scaricando tutti i costi sul lavoratore che vive con stipendi ben al di sotto di quanto si potrebbe considerare dignitoso, sottoposti a un sistema di totale assenza di tutele sindacali e spesso minacciati di licenziamento o ripercussioni se solo provano a coalizzarsi per cercare di migliorare la condizione di lavoro. Dall'altra parte le leggi, negli anni hanno obbligato tutti coloro che volessero operare nel sociale a conseguire una laurea in scienze dell'educazione (L-19) o come educatore professionale (Snt-2). Un impiego economico e di studio molto elevato cui, tuttavia non ha fatto seguito alcun sostanziale cambiamento della condizione socio economica. Davanti a questo sfacelo che pare ormai insanabile, moltissimi hanno deciso di cambiare professione e molti altri, al conseguimento della laurea non intendono nemmeno cominciare a praticare il lavoro per cui hanno studiato. Questo nel medio periodo ha provocato enormi buchi di organico che ormai minacciano di inceppare l'intero funzionamento delle strutture a partire dalla comunità residenziali.

Durante la pandemia si è parlato spesso di valorizzare scuola e servizi sociali. Perché ci ritroviamo davanti ad una situazione come questa?

Nonostante le tante parole spese durante la pandemia non si sono fatti investimenti seri nel settore. Per poter davvero cambiare le cose serve un completo ripensamento del sistema dell'organizzazione del sociale a partire dal sistema degli accreditamenti e degli appalti che sono sempre più spesso giocati al ribasso. Servirebbe una nuova legge quadro sulle professioni educative. Servirebbe un superamento del modello formativo che, così com'è, basato sull'esistenza di due facoltà che erogano insegnamenti simili e formano per operare in campi spesso sovrapponibili non ha alcun senso. Al di là delle parole, buone a fare propaganda politica, è evidente che quanto ho detto andrebbe a toccare sin troppi interessi e non ci si metterà mai mani. Ogni soluzione di ripiego, moratorie alle leggi vigenti, utilizzo di altro personale residuale per motivi di emergenza è un pannicello caldo e crea, nel medio periodo più danni di quanti non ne possa sanare.

Persone qualificate che devono lavorare con salari bassissimi, costretti a lasciare il proprio lavoro soprattutto la propria passione in cambio di un altro lavoro per un salario migliore. Cosa ne pensa tutto questo?

In oltre vent'anni di professione educativa e dieci di sindacato mi sono reso conto che questo settore è quasi del tutto impermeabile al cambiamento, intendo dire un cambiamento sistemico del modello di lavoro. Si possono migliorare piccole cose all'interno di realtà locali ma il sistema non modifica, soprattutto perché chi è al vertice non si interroga se non quando la situazione diventa insostenibile e siamo passati dalla gestione del problema all'arginamento dell'emergenza. Davanti a questo stato di cose non è possibile biasimare il collega che decide di cambiare posto di lavoro e andarsene.

Troppe persone che stimo e conosco da anni hanno scelto, arrivati a quarant'anni, di andarsene e questa scelta è stata fatta con sofferenza perché, quando decidi di fare l'educatore, lo fai anche per un portato ideologico che ti fa credere che sia possibile migliorare le cose con i propri sforzi. Come si può sentire un educatore quando dopo vent'anni di lavoro e di sforzi si rende conto di non essere riuscito nemmeno a cambiare la sua, di situazione?

Ma ancora, come si deve sentire una lavoratrice di quarant'anni, laureata che si occupa di migliorare la condizione sociale di un alunno problematico a scuola quando non è in grado di dare al proprio figlio una condizione di vita decente perché pur lavorando nella scuola prende a malapena mille euro (per nove mesi l'anno perché d'estate, quando la scuola è chiusa, nessuno la paga ma, essendo dipendente della cooperativa non può andare a trovare un altro lavoro?

Ad essere penalizzato non è soltanto chi lavoro ma anche chi usufruisce del servizio: ragazzi disabili, studenti. Come faranno questi se non ci saranno più figure importanti come gli educatori? Secondo lei, ci saranno delle soluzioni?

Nel sistema iperliberista che gli Stati stanno costruendo con la loro inazione prima ancora che con scelte consapevoli di politica sociale mi vien da rispondere: “BES, Disabili, Stranieri e altri soggetti fragili si arrangeranno”. Metto la frase precedente tra virgolette perché è ovvio che non trovo giusta questa affermazione. Però la palla deve cadere nel campo della politica, ministri, assessori, dirigenti locali e tecnici vari; presidenti di cooperative ed enti del terzo settore; Presidi di facoltà e professori di varia natura devono essere consapevoli che per anni abbiamo denunciato una situazione e abbiamo avvertito in tutti i modi che si stava correndo verso questa catastrofe (mi sono permesso di coniare il termine CATASTROFE EDUCATIVA, per dare un nome a quanto accade) e per anni siamo stati bollati come Cassandre. Sembrava un mondo in cui il bacino dei candidati non si esauriva mai, fuori quarantenni bolliti con problemi psicologici enormi che nessuno prendeva in carico e dentro ragazzini di vent'anni mandati a farsi triturare dal sistema come carne da macello. Adesso il sistema è crollato e con lui crollerà il sociale. A settembre ci sarà da metter mano agli organici dell'educazione scolastica e ne vedremo delle belle. Da sindacalista e da autore, non posso.

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