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Arrampicare. L'ultimo libro dello scrittore, alpinista e scultore Mauro Corona

“A me, se non arrivo in cima, manca qualcosa, come se fosse rimasta una sfilacciatura, un nodo non fatto. Arrivare in cima è l’unico modo di annodare un filo che deve essere annodato”

MAURO CORONA

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“Arrampicare”, l’ultimo libro dello scrittore, alpinista e scultore ligneo Mauro Corona. E’ un diario intimo, tra cose successe e il suo pensiero, con citazioni e con l’invenzione, la conoscenza e l’esperienza.

Cosa aspettarci nella sua lettura? Nel sottotitolo, la risposta, semplice e diretta: «una storia di rocce, di sfide e d’amore».

L’amore è quello per la montagna. Ma anche l’amore per la vita. Perché la montagna ha regole e solo chi osa può ricevere i suoi doni e può amarli.

Una storia di rocce, di sfide e d’amore.

Mauro ha solo tredici anni e un’attrezzatura a dir poco inadeguata quando per la prima volta arrampica sul monte Durano, ne ha diciotto quando apre la sua prima via sul monte Palazza, in Val Zemola.

Il suo allenamento? La vita di montagna – in cui tutto è salita, dalla raccolta della frutta alle spedizioni per far legna – e i racconti degli alpinisti, in osteria.

“Nella vita ho capito che per l’avventura non serve andare in Himalaya, basta uscire di casa e non seguire i sentieri. Basta eliminare le comodità. E un po’, almeno un po’, devi farti male, nel senso di sbilanciarti, di perdere la tranquillità” - scrive Mauro

Spronato dall’audacia della giovinezza e dal talento, Mauro per decenni è in cordata con i più̀ grandi. È tra i più̀ assidui frequentatori del gruppo del Nuovo Mattino, che negli anni Settanta cambia il modo di vivere l’arrampicata in Italia.

Partecipa a due spedizioni storiche: una in Groenlandia, dove perde la strada e rischia la vita, e una in California, insieme a Manolo, eccezionale scalatore e amico, in un clima di goliardia e scoperta (e qualche scontro con i ranger).

Oggi, chiunque si cimenti con le cime, tra cui Mauro ha passato tutta la vita può̀ farlo anche grazie alle centinaia di vie che lui ha aperto, ai chiodi che ha piantato. Grazie alla sua passione, alle sue mani e alla sua storia.

In pagine piene di sincerità̀, ironia, poesia, lo scrittore e alpinista racconta gli aneddoti di una vita di scalate, ma soprattutto ne restituisce con vividezza le emozioni: il tocco della roccia, la ruvida amicizia della cordata, ma anche il dono del legno e la filosofia semplice che accompagna le imprese e i giorni.

Un diario di avventure tra le cui righe scorre la testimonianza di una ricerca continua: della cima, della pace con sé stessi, del senso più̀ profondo delle cose.

Nel corso della lettura la voce dell’autore diventa una spalla, una guida, una compagna di bevute, l’altra metà della salvezza su una parete di pietra; e allora non importa più nient’altro, nemmeno quel po’ di boria che talvolta lo contraddistingue, perché c’è onestà, perché c’è passione, e l’unica voglia che si ha è quella di seguirlo ancora e ancora.

In fondo, le cose diventano belle dopo. Chi non ricorda un amore finito? Bisogna sparire, per essere apprezzati, e questo è uno dei dolori della vita. L’altro, come scriveva Edgar Lee Masters, è che si può essere felici solo in due. Ma la vita separa chi si ama. E il mare cancella dalla sabbia i passi degli amanti divisi. Cioè, tradotto, facciamo baruffa, facciamo casino e poi, nel momento in cui ci colpisce la mancanza, capiamo che si stava bene.

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