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La pittura come documento e denuncia

giuseppe fava milano 1La mostra La pittura come documento e denuncia, presso la Sala del Grechetto della Biblioteca Sormani, a Milano fino all’8 giugno, fa parte del programma d’iniziative dedicate a Giuseppe Fava.

Fava, nato a Palazzolo Acreide il 15 settembre 1925 e assassinato dalla mafia a Catania il 5 gennaio 1984, fu giornalista, scrittore, drammaturgo, saggista e pittore.

Durante la sua lunga attività, Giuseppe Fava utilizzò non solo la carta stampata, ma anche la pittura, il teatro, la narrativa, il cinema, la televisione, la radio, uniti da un unico intento, praticati tutti in modo assiduo, come l’incessante attività di cronista.

Curata da Giovanna Mori, La pittura come documento e denuncia intende divulgare l’attività artistica del giornalista siciliano che utilizzò il suo talento come strumento di comunicazione e di denuncia sociale, con un linguaggio artistico tagliente, incisivo e autentico.

La mostra presenta sessanta opere, tra dipinti a olio, incisioni e disegni realizzati dalla fine degli anni Cinquanta ai primi anni Ottanta, tra figure disposte su un ravvicinato primo piano si stagliano contro case addossate e chiese barocche, simbolo della Sicilia con i suoi abitanti, le sue architetture e le sue piaghe profonde.

Della metà degli anni Sessanta sono Studio sul dolore, La vendetta e Posa per un mafioso, sull’oppressione di una mafia sempre più aggressiva. 

Negli anni Ottanta il desiderio di Fava di fare della pittura si arricchisce nell’analisi delle fonti con un’iconografia allegorica e in alcune tele del 1980 e 1981 usa riferimenti al repertorio iconografico surreale e macabro di Hieronymus Bosch.

Sono presenti in mostra molte acqueforti, cui Giuseppe Fava si dedicò dal 1975 per elaborare soggetti e trattare tematiche siciliane, come Cerimonia patriottica, La consegna delle case popolari, Il fatto di cronaca, sono scorci efficaci e autentici sulla Sicilia sofferente e offesa, sulle sue speranze trasformate in illusioni.

L’opera grafica si distingue anche l’umorismo pungente con cui il pittore deride la figura del mafioso, visto come goffo, ottuso e grossolano, consapevole di quanto lo scherno fosse odiato dai malavitosi.

Altri disegni evidenziano invece il desiderio dell’artista di fermare sulla carta un volto, l’emozione di un attimo, un’espressione fugace, sempre denunce fatte con il coraggio degli uomini onesti, compiute anche con inchieste, romanzi, opere teatrali e il suo mestiere di giornalista.

Nel 1982, dopo essere diventato il direttore del Giornale del Sud, dal quale fu licenziato per il tono dei suoi articoli che non contemplava compromessi, fondò il mensile I Siciliani, che da subito fece della ricerca della verità il suo scopo.

La mostra è un’occasione per apprezzare la poliedricità di Giuseppe Fava, che si è mosso con efficacia su vari ambiti espressivi strettamente integrati ma uniti dal medesimo intento, sempre raccontare con sguardo lucido e senza timore.

All’interno dell’esposizione c’è anche la proiezione a ciclo continuo di spezzoni di I Siciliani, realizzata nel 1980 con la regia di Vittorio Sindoni e la sceneggiatura di Giuseppe Fava, e nelle teche della mostra ci sono disegni e bozzetti, articoli originali, copie di giornale, dattiloscritti e copioni delle opere teatrali e di narrativa, fotografie, per testimoniare l’incessante attività creativa e documentaria dello scrittore e artista.

La pittura come documento e denuncia è visitabile dal lunedì al venerdì dalle 15 alle 19 e sabato dalla 9 alle 12.30 ed è chiusa la domenica e nei festivi.

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