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Jean Dubuffet e l’Art Brut in mostra a Milano (2024-2025)

Di nuovo, il MUDEC di Milano propone una mostra dedicata al rapporto tra arte, ritualità ed etnografia, temi fondanti delle esposizioni della sede di via Tortona.

Protagonista è un fenomeno poco conosciuto ma estremamente interessante che ha caratterizzato l’arte del Secondo Dopoguerra: l’Art Brut. Questo movimento si sviluppa intorno alla figura del suo fondatore e promotore, Jean Dubuffet, ed è al centro della mostra “Dubuffet e l’Art Brut. L’arte degli outsider”, curata da Sarah Lombardi e Anic Zanzi. L’esposizione, aperta dal 12 ottobre 2024 al 16 febbraio 2025, ospita circa settanta opere di artisti appartenenti a questo movimento, in gran parte provenienti dalla più grande collezione esistente di Art Brut: la Collection de l’Art Brut di Losanna, fondata nel 1976 per volontà dello stesso Dubuffet.

La mostra ha l’obiettivo di far comprendere il concetto di Art Brut, dove “brut” significa grezzo, spontaneo e privo di condizionamenti culturali, celebrando l’originalità e la singolarità delle opere. Nato nella Parigi del Secondo Dopoguerra, questo fenomeno si sviluppa fuori dai circuiti tradizionali dei musei e delle gallerie, distaccandosi dai canoni dell’arte del tempo.

L’Art Brut, definita come un’estrema propaggine dell’avanguardia, supera i confini tradizionali e accoglie una varietà di creatori definiti outsider: autodidatti, emarginati, persone con difficoltà psicologiche o traumi, spesso lontani dal mondo dell’arte professionale. Questa è la vera rivoluzione: l’arte non più come disciplina esclusiva, ma come espressione libera e autentica.

L’Art Brut è stata, insomma, un’estrema propaggine dell’Avanguardia storicamente intesa, ma che ha superato i confini tradizionali dell’Arte e, per il tramite di Dubuffet, si è estesa verso il mondo di quelli che, giustamente, il titolo della mostra chiama “outsider”. Si tratta di soggetti autodidatti, ai margini della società, poveri, spesso con problematiche psichiche e psicologiche legate a traumi vari (da situazioni sentimentali tormentate ai danni dovuti alle esperienze vissute al fronte durante la Seconda Guerra Mondiale) e, non di certo, artisti professionisti. Questa è la rivoluzione dell’Art Brut: Dubuffet, visitando, in Svizzera, a partire dal 1946, non solo musei e raccolte etnografiche, ma anche ospedali psichiatrici, scopre la creatività sincera, genuina, spontanea e libera di queste figure che, spesso, dipingevano, per scopi terapeutici. L’artista francese, creando le collezioni di Art Brut e organizzando mostre a Parigi, fornisce a queste persone l’opportunità di uscire dalle tenebre della malattia attraverso una manifestazione artistica lontana tanto dai circoli ufficiali quanto dalle convezioni dell’epoca. Come l’Avanguardia, anche l’Art Brut è rifiuto del convenzionalmente imposto e dell’universo artistico ufficiale parigino, e costituisce un passaggio molto importante verso quei fenomeni culturali che, tra gli anni ‘50 e ‘60, superano, stravolgendo, quei movimenti, come Cubismo e Futurismo, che, quarant’anni prima, avevano scardinato, per sempre, la Storia dell’Arte, segnando la cesura tra passato e presente. E, inoltre, l’Art Brut si estende anche al di fuori della Francia, conducendo nel novero di questo fenomeno anche artisti di tutto il Mondo annoverabili tra gli outsider ma che, con la loro creatività spontanea e libera, tra gli anni ‘40 e la contemporaneità, hanno lasciato un segno tangibile della loro presenza, mescolando il loro disagio interiore a creazioni in cui i concetti, meramente etnografici, di credenza e corpo, hanno parte preponderante.

La mostra prende le mosse dalle opere del fondatore dell’Art Brut, ovvero Jean Dubuffet (1901-85), ex-commerciante di vini di Le Havre che, come molti suoi contemporanei, da Picasso a Max Jacob, vive a Parigi da immigrato e frequenta il mondo artistico dell’Avanguardia. Il suo concetto di Arte è una creatività sincera, libera dalle tradizioni e dalle mode del tempo che gli stanno molto strette, ed è un processo che si muove sempre tra il suo essere “contro” e il paradosso, sviluppando forme estetiche nuove legate all’utilizzo dei materiali più eterogenei. La figura umana, per Dubuffet, è figlia del primitivismo spinto alla semplificazione estrema, così come i materiali che utilizza sono, spesso, nel loro stato più elementare, come provato dalle tele su cui sparge, negli anni ‘40, terra grezza, aprendo le porte agli sviluppi successivi dell’informale e della Land Art. Questa, in fondo, è l’Art Brut, di cui organizza la prima mostra nel 1944 e per la quale, poco dopo, nasce una Compagnia, destinata non solo alle esposizioni, ma anche alla promozione e allo studio di tale fenomeno e al rintracciare artisti non professionisti, catalogabili sotto il profilo di questa tendenza, la cui creatività fosse, come quella di Dubuffet, una libertà totale e radicale. Nel foyer in cui installa la prima collezione di Art Brut, successiva al suo viaggio ispiratore elvetico, e dove tale raccolta sarebbe rimasta fino al 1976, il pubblico può scoprire l’originalità di figure come Äloise Cordaz, con i suoi disegni al limite del ritorno all’infanzia, in cui le figure diventano simili a bambole, Gaston Dufour, con i suoi clown ricchi di colori vivaci, e Carlo Zinelli, originario di Verona, che, nella sua spontaneità, riprende alcune scelte del ready-made dadaista.

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Gaston Dufour, Le nâin pôlichinê pastriqûe, 1950-56, Matite colorate su carta, Collection de l'Art Brut, Losanna, Crediti fotografici: Atelier de numérisation – Ville de Lausanne

La seconda parte della mostra si incentra sulle opere di quegli artisti dal 1945 a oggi, che aderiscono al substrato etnografico della rappresentazione della credenza e del corpo. Si tratta di figure accomunate dall’adesione a tutto quel cosmo di idee e teorie in campo (soprattutto) filosofico e religioso che rispondono agli interrogativi personali e le aiutano a vivere e, di conseguenza, a creare. Queste opere sono inscindibilmente legate ai loro creatori e alle loro credenze più profonde e si distinguono per le modalità insolite con cui si pongono gli interrogativi e cercano di risolverli. Questi artisti, ai margini della società, sono, spesso, in rotta con il Mondo moderno e trovano le risposte in punti di riferimento usuali ma reinterpretati in chiave personale. La prova migliore è il lavoro del bergamasco Giovanni Battista Podestà, in cui la sua persona, e il suo pensare, di fronte a una crisi personale con il Mondo del tempo, reagisce attraverso un’Arte semplice ancorata al Medioevo, vista come punto di riferimento anche in virtù del suo essere molto cattolico, ma ricca di riferimenti artistici anche al di fuori del Periodo di mezzo: il suo lavoro guarda alle Sacre Rappresentazioni, con la teatralità che ci ricorda Jacopone da Todi, ma anche a quel brulicare di vissuto che si sviluppa nel gioco tra Pittura e Scultura tipico dei Sacri Monti tra Lombardia e Piemonte a cavallo tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600. Anche la rappresentazione del Corpo è anticonvenzionale e si muove contro l’idealizzazione delle mode dell’epoca, ma anche contro la riproduzione “a stampino” della Pop Art. I punti di vista ci spiazzano e ci fanno guardare alla rappresentazione fisica come qualcosa di nuovo. Le rappresentazioni sono soprattutto femminili, colte nella loro potenza creatrice ma anche con un tocco erotico, ma il corpo resta un punto di riferimento, sia quando è tangibilmente esistente e visibile nell’opera che nei casi in cui è associato a dimensioni simboliche e al di fuori del concreto vissuto dell’artista.

Informazioni Utili 📍

Dubuffet e l’Art Brut. L’Arte degli Outsider
📍 MUDEC, Via Tortona 56, Milano

🕒 Orari:

  • Lunedì: 14:30-19:30
  • Martedì, Mercoledì, Venerdì, Domenica: 9:30-19:30
  • Giovedì, Sabato: 9:30-22:30

🎟️ Biglietti:

  • Intero: 16,00 €
  • Ridotto: 14,00 €

🔗 Info: www.mudec.it

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