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Gucci veste i marmi del Partenone. E l'Unesco tuona

  • Rossella Atzori

gucci.partenone.2Gucci veste le statue del Partenone.

Questa la notizia che ha fatto il giro del web, suscitando indignazione e disappunto per quella che è parsa una campagna pubblicitaria di cattivo gusto, addirittura un’offesa per il popolo greco, e quasi una sorta di profanazione dei capolavori di Fidia. Insomma: la maison italiana guidata da Alessandro Michele, direttore creativo, ha scatenato quasi un caso internazionale, facendo tuonare il Club Unesco del Pireo e delle Isole.

Perché?

Tutto è nato dalla pubblicazione di Gucci, sul proprio account Instagram, di alcune immagini animate delle divinità greche del Partenone che, cellulare alla mano, si scattano compiaciute dei selfie indossando abiti e accessori delle collezioni Gucci Blooms e Gucci Caleido: occhiali, borse, sneakers e foulard drappeggiati.

image1Ma cosa ci fanno le statue del frontone ovest ed est del Partenone di Atene in posa tra gerani e motivi caleidoscopici, agghindate come ridicoli manichini? Vorremo chiederlo a Derya Ayhan Cakirsoy, graphic designer tedesca trapiantata a Istanbul, autrice di queste controverse animazioni che fanno parte del progetto creativo (e pubblicitario) #GucciGram, voluto da Michele per rilanciare le collezioni Blooms e Caleido attraverso opere di artisti del web. Un potenziale trampolino di lancio per creativi più o meno noti, che si è però rivelato uno scivolo.

Si, perché se già di per se è da considerarsi mercificatoria e di cattivo gusto la scelta di utilizzare per fini pubblicitari capolavori d’arte antica, anche peggiore è stata la scelta proprio delle sculture del Partenone, conosciute anche con il nome di “marmi Elgin”, che rappresentano ancora un nervo scoperto nelle relazioni tra Grecia e Inghilterra, quasi un simbolo di identità nazionale per i Greci.

gucci.marmi.partenone.1Nei primissimo anni dell’Ottocento lord Elgin, ambasciatore britannico ad Atene, chiese e ottenne al governo turco (le circostanze sono però, in realtà, poco chiare), sotto il cui dominio si trovava allora la Grecia, i marmi del Partenone e di altri edifici dell’Acropoli. Lui stesso, a proprie spese, si occupò degli scavi e del trasporto delle opere, che nel 1816 vendette al British Museum, dove si trovano ancora adesso. Fin da allora, anche nello stesso Regno Unito, il gesto di Elgin venne visto come un saccheggio, una barbara spoliazione, anche se si cercò di giustificarlo, in qualche modo, come un estremo gesto conservativo. Dopo la caduta dell’Impero Ottomano, nel 1822, la Grecia contestò il “furto” subito da Elgin chiedendone la restituzione e aprendo un caso internazionale, di cui fu portabandiera Melina Mercouri, nel 1980 ministro della Cultura della Grecia.

La questione è spinosa e complessa, e queste sculture hanno quindi un profondo significato che va oltre, se possibile, il loro inestimabile valore storico artistico. Al British Museum molti greci si commuovono non per la sindrome di Stendhal, ma quasi per l’identità rubata.

Ecco perché situazioni analoghe, seppur criticate anche duramente, non hanno suscitato lo stesso scandalo. Si tratta della “trovata” di un allievo di Warhol, Gerald Bruneau, che nel 2014 umiliò i Bronzi di Riace mascherandoli con tanga leopardati, boa fuxia e velo da sposa, durante un “blitz al museo archeologico di Reggio Calabria; poco prima il fotografo Lèo Caillard realizzò il progetto “Hipster in Stone”, vestendo secondo questo stile sculture della sala Richelieu del Louvre. C’è da dire che se il gesto di Bruneau andò a intervenire direttamente sulle sculture originali, di ben altro stampo e non assimilabile a questo fu invece quello di Caillard, noto per le sue campagne in favore di Amnesty International, che usò modelli veri attuando poi una sovrapposizione di immagini.

Tornando alla campagna pubblicitaria di Gucci, invece, sottolineiamo che non si sono toccati fisicamente i marmi del Partenone, le cui sculture originarie, conservate al British, sono acefale e frammentarie, ma si è fatto un lavoro digitale in cui sono state usate ricostruzioni eseguite sulla base di disegni conservati al museo dell’Acropoli di Atene.

Questo ovviamente non fornisce una scusante a un gesto di cattivo gusto, interpretato come di disprezzo e mercificazione della cultura (pensiero ben sintetizzato da La Venere di Stracci di Pistoletto), e che va a riaprire un dibattito, quello della restituzione dei marmi, che stava assumendo toni più pacati. Proprio pochi mesi fa, infatti, la Grecia aveva rinunciato alle vie legali, preferendo quelle della diplomazia e della politica.

Le immagini sono tratte dall’account Instagram di Gucci.

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